La Gazzetta dello Sport, 4 luglio 2013
Fotografiamo la situazione in Egitto alle nove di ieri sera: al Cairo, centinaia di soldati e di blindati percorrono le strade davanti al palazzo presidenziale

Fotografiamo la situazione in Egitto alle nove di ieri sera: al Cairo, centinaia di soldati e di blindati percorrono le strade davanti al palazzo presidenziale. La piazza Tahir è piena di forse un milione di persone che agitano drappi bianchi, neri e rossi, i colori della bandiera. C’è anche una manifestazione in favore del presidente Morsi di fronte alla moschea di Rabaa el Adaweya. I soldati devono badare a che non entrino in contatto i manifestanti delle due fazioni (quelli che vogliono la caduta del regime sono assiepati anche davanti ai palazzi presidenziali di Ittahadeya ed el Kobba). È certo che, scaduto l’ultimatum e passata ancora un’ora, i militari hanno occupato la televisione di Stato. Non è invece sicurissima la sorte del presidente: sulla tv el Hayat è apparsa in sovrimpressione una scritta secondo cui Morsi sarebbe agli arresti domiciliari. A questa notizia non è arrivata alcuna conferma ufficiale, e anzi dagli Stati Uniti hanno fatto sapere che «la cosa non risulta». È certo che i capi militari hanno vietato di espatriare a Morsi, al leader della Fratellanza Musulmana Badie e al suo vice Khairat al-Shater.
• L’ultimatum non imponeva a Morsi di raggiungere un accordo con gli oppositori entro le 17.30?
Morsi ha proposto la formazione di un governo di coalizione. Un’idea probabilmente già superata nel momento in cui veniva avanzata. Il capo di stato maggiore e ministro della Difesa Abdel Fattah al-Sisi ha convocato infatti nella tarda mattinata tutti i rappresentanti dei partiti e li ha incontrati nella sede del Consiglio supremo delle Forze armate. Non mancava nessuno: c’erano el Baradei, che guida i ribelli (il loro movimento si chiama 30 giugno, la data della mega manifestazione di domenica scorsa, secondo alcuni – con 15 milioni di persone scese in piazza – la più grande nella storia dell’umanità), Sahadi Khatatmi, capo di Libertà e Giustizia (cioè i Fratelli Musulmani al potere adesso), i rappresentanti del clero sunnita e il papa copto. L’idea dei militari è di dichiarare decaduto Morsi, il Parlamento e la Costituzione, tenere il potere per un anno, nel frattempo far scrivere una nuova Costituzione e andare poi alle elezioni politiche e presidenziali. Morsi invece non vuole cedere e il suo partito – i Fratelli Musulmani – neppure. Si sentono da una parte e dall’altra gli inviti al martirio e alle «difese col sangue», stilemi tipici della retorica di queste parti.
• Supponiamo che si vada alla guerra civile. Chi vincerebbe?
È un’ipotesi sciagurata, ma che non si può escludere. Le due formazioni che si fronteggiano – militari ed islamisti – sono molto forti. I Fratelli hanno vinto le elezioni di due anni fa con più del 60% dei voti. È vero che hanno dimostrato di non saper governare e che il consenso verso di loro è evidentemente sceso. Si tratta però pur sempre di un movimento imponente e che ha nei paesi che circondano l’Egitto e nel Medio oriente asiatico forti agganci. Quanto ai militari, non ci sarà neanche bisogno di descrivere la loro forza: a parte le armi e il milione e mezzo di soldati, i militari, come raccontavamo ieri, sono una vera forza economica, capace di produrre il 40% del Pil del paese. Non bisogna dimenticare che il contesto dello scontro sarebbe quello di un popolo ridotto alla fame, senza più soldi per importare il grano, con black out energetici sempre più frequenti e a secco di benzina. Lo scenario è spaventoso.
• È vero che Morsi aveva intenzione di schierarsi in Siria, dando una mano ai sunniti?
In Siria la guerra civile nasconde un conflitto internazionale di proporzioni sempre più vaste. Da un lato l’Iran e gli Hezbollah libanesi decisi a difendere Assad. Questo è il lato sciita. Dall’altro l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati, schierati con i ribelli, cioè con la parte sunnita. Due settimane fa, al Cairo, c’è stata una grande manifestazione sunnita, promossa dai salafiti e a cui ha partecipato anche il presidente Morsi. Si dice che proprio questa mossa abbia allarmato la casta militare, decisa a tenersi fuori dal mattatoio siriano. Ricordiamo che al vertice di al Qaeda siede un egiziano, Ayman al Zawahiri.
• Che cos’è questa storia che, sulla piazza Tahir, gruppi di teppisti isolano le donne, le picchiano, le stuprano?
Finora i morti sono una quarantina e le donne stuprate un centinaio. I soldati lasciano fare, perché i teppisti appartengono alla piazza e i generali, in questo momento, traggono la loro forza politica proprio dalla piazza. A giudicare dalle foto, però, si sono formati adesso dei gruppi intenzionati a difendere le donne e a impedire che continui questo schifo.
• La crisi egiziana potrebbe avere conseguenze sul prezzo del petrolio?
Ieri il Wti (petrolio americano) ha chiuso a 102,18 dollari, il Brent (petrolio europeo) ha superato i 105 dollari. Sono prezzi che non si vedevano da settembre dell’anno scorso. Il timore è che a un certo punto, per affamare Morsi e i Fratelli, i militari chiudano il canale di Suez, con effetti dirompenti sul costo dei trasporti e, quindi, sul prezzo finale del barile.