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 2013  giugno 14 Venerdì calendario

Oggi vanno a votare cinquanta milioni di iraniani e il mondo spera che, uscito di scena Ahmadinejad, le tensioni nell’area scendano

Oggi vanno a votare cinquanta milioni di iraniani e il mondo spera che, uscito di scena Ahmadinejad, le tensioni nell’area scendano. Si vorrebbe un presidente moderato, che aiutasse a sciogliere il nodo siriano (Teheran rifornisce di armi i ribelli), la smettesse di invocare l’annientamento di Israele e tranquillizzasse l’Occidente sulle ragioni per cui si continua ad arricchire uranio.

Pie illusioni?
Quasi. Intanto perché l’Iran continua ad essere uno stato teocratico. Al vertice c’è la Guida Suprema, ovvero l’ayatollah Khamenei. Faccia conto che si tratti del Papa, regna da quando è morto Khomeini (1989), ha 73 anni, è un prete sciita. Al suo fianco, il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione, composto di dodici membri, sei dei quali nominati proprio dal papa Khamenei. Se tu ti vuoi candidare alla presidenza della Repubblica, devi prima passare l’esame di questo Consiglio dei Guardiani, i quali fanno sostanzialmente quello che vuole il Papa. In queste elezioni, le undicesime nella storia dell’Iran, si volevano candidare in 686. I Guardiani li hanno ridotti a otto. Di questi otto, due sono poi usciti di scena per conto loro.  

Quindi i sei concorrenti sono tutti filo Khamenei?
Chi lo sa. C’è un candidato moderato, che però è stato a suo tempo nel cuore della Guida Suprema e addirittura tra quelli che chiedeva di mandare sulla forca tutti quelli che chiedevano una libera informazione... E tuttavia, adesso...   • Potrebbe essere che dalla Guida Suprema Khamenei emani sia il governo che l’opposizione, sia la destra che la sinistra, sia la sintesi che l’analisi?
Non solo potrebbe essere, ma probabilmente è. Questo candidato moderato si chiama Hassani Rohani, o Rouhani, ha scelto di caratterizzarsi con il colore viola, è l’unico dei concorrenti a girare col turbante, è infatti l’unico mullah, ha naturalmente anche una gran barba e raccomanda a tutti prudenza, moderazione, la via del cambiamento non può che essere graduale, eccetera. A un comizio, sentendo che una parte della folla gridava il nome di Mousavi, ha subito imposto di star buoni, di non esagerare. Mousavi era l’uomo su cui aveva puntato la parte progressista del paese alle elezioni di quattro anni fa, quando Ahmadinejad vinse in mezzo a manifestazioni di dissenso enormi, i baiji e i pasdaran sparavano sulla folla, ci furono decine e decine di morti e abbiamo ancora negli occhi l’immagine di Neda, quella bellissima ragazza colpita dal fuoco dei cecchini che muore tra le braccia dei suoi e il viso le si ricopre a un tratto di sangue e tutti videro la scena su YouTube...  

Me lo ricordo anch’io, fu tremendo.
Mousavi è ancora oggi agli arresti domiciliari e il nuovo Mousavi, cioè questo Rohani, cerca di muoversi senza irritare il regime e chiede di far lo stesso ai suoi. Le intemperanze dei radicali sono così continuamente smorzate. I giornali occidentali vedono quasi solo la corsa di Mousavi e alimentano nei loro lettori la speranza che possa vincere. Ma – possiamo sbagliare naturalmente, e anzi ci auguriamo di sbagliare – bisogna intanto prendere atto del fatto che la linea di Ahmadinejad nemico dell’Occidente e di Tel Aviv ha comunque un grande seguito nel Paese, che vive gli Stati Uniti e Israele come le moderne incarnazioni del diavolo. E, in secondo luogo, come può il candidato scelto dalla guida suprema Khamenei essere battuto? L’altra volta le elezioni furono evidentemente truccate, con quella buffa statistica per cui Ahmadinejad aveva vinto in tutte le circoscrizioni con il 62% dei voti (e la sua vittoria venne annunciata praticamente subito).  

E chi sarebbe, adesso, il candidato della Guida Suprema?
Said Jalili, 47 anni, segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. È l’uomo che ha negoziato con l’Occidente la questione nucleare, mostrandosi soprattutto una testa dura: non ha fatto che ripetere, come in una litania, i diritti di Teheran, senza fare neanche mezzo passo verso un qualunque compromesso. L’incarico di negoziatore gli è arrivato direttamente dalla Guida Suprema. Non ha la gamba destra, persa durante la guerra con l’Iraq degli anni Ottanta. Campagna elettorale imperniata su slogan intransigenti, con priorità al risanamento dell’economia. Un bel problema: le sanzioni hanno stremato il paese, girano migliaia di giovani senza lavoro (e l’Iran, nonostante le donne facciamo meno figli di un tempo, è un paese molto giovane), l’inflazione è al 30%. Dati impressionanti se si pensa a quanto il Paese è ricco. Quanto agli altri candidati, basterà citarli per dovere di cronaca: uno è il sindaco di Teheran, Mohammad Baqer Qalibaf, veterano della guerra irachena, di cui si dice un gran bene. Poi ci sono l’ex ministro del petrolio, Mohamed Gharazi, e l’ex comandante delle Guardie rivoluzionarie, Mohse Razaee. Infine l’ex ministro degli Esteri Velayati, consigliere di Khamenei per la politica estera. Sorprese non dovrebbero essercene. Ma non si sa mai.