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 2013  giugno 07 Venerdì calendario

Domenico Quirico, il giornalista della “Stampa” di cui non si avevano notizie dal 9 aprile, ha telefonato alla moglie Giulietta e le ha detto di star bene

Domenico Quirico, il giornalista della “Stampa” di cui non si avevano notizie dal 9 aprile, ha telefonato alla moglie Giulietta e le ha detto di star bene. Pochissime parole, e la comunicazione è caduta. Chiamava dalla città di Qusayr, appena sottratta ai ribelli dalle forze di Assad. La notizia della telefonata è stata confermata da Mario Calabresi, direttore della “Stampa”, e poi da un comunicato del ministero degli Esteri, in cui si legge tra l’altro: «[...] in questa fase particolarmente delicata si fa appello al senso di responsabilità degli organi di informazione nel divulgare notizie provenienti da fonti non verificate e nel mantenere la linea di riserbo necessaria per favorire l’esito positivo del caso[...]».

• Come se si trattasse di un rapimento.
Non deve essere senza significato che Qusayr sia stata ripresa l’altro giorno dalle forze di Assad alleate con gli Hezbollah libanesi. Potremmo arguire che i rapitori, se si è trattato di un sequestro, erano elementi comunque mescolati alle milizie contrarie al regime, messe in fuga dalla fine del vittorioso assedio lealista. L’ostaggio potrebbe essersi ritrovato così libero, o magari è passato da una banda all’altra, e adesso siamo alle fasi finali della trattativa.

• Sarà pagato un riscatto?

Come si può rispondere a una domanda simile? Siamo oltre tutto tenuti a non arzigogolare troppo, proprio per non rendere complicata l’operazione di rientro. Il nostro ministero degli Esteri ha adottato ormai da un pezzo la strategia del silenzio, con un buon successo nel caso dei quattro giornalisti che furono sequestrati nel nord del Paese ad aprile. Sembrerebbe prossimo un esito felice anche nella vicenda di Quirico.

• Mi pare di ricordare, però, che il giornalista della “Stampa” era partito alla volta di Homs. Come mai poi è finito a Qusayr?
Qusayr è al confine con il Libano e di qui passavano le armi iraniane dirette ai ribelli. Un posto interessante, cioè, per un inviato. Oppure è stato portato lì dai suoi sequestratori. Il direttore della “Stampa” ha raccontato che il suo giornalista era entrato in Siria attraverso il confine libanese il giorno 6 aprile, e aveva effettivamente dichiarato la sua intenzione di raggiungere Homs, dove si combatteva accanitamente, e da Homs raggiungere poi la periferia di Damasco. Quirico, 62 anni, di impressionante magrezza, ma anche di straordinaria forza fisica (finita la riunione di redazione, invece di andare a pranzo, si va a fare venti chilometri di corsa sulle colline torinesi, dorme poco, mangia pochissimo e quasi solo riso), ha sempre sostenuto che non si può fare il nostro mestiere senza andare sui posti, senza raccontare la sofferenza dei popoli. Ricorderà che l’avevano rapito già in Libia, due anni fa, assieme ad altri tre colleghi, e pure quella volta se l’era cavata.

• Che è successo dopo l’arrivo a Homs?
Glielo racconto con le parole di Mario Calabresi: «La mattina di sabato 6 aprile gli abbiamo telefonato per avvisarlo del rapimento dei colleghi della Rai nella zona di Idlib. Lui ci ha spiegato che il suo percorso sarebbe stato completamente diverso e che ci avrebbe richiamato una volta passato il confine. Nel pomeriggio, alle 18,10, ha mandato un sms con cui annunciava al responsabile Esteri de “La Stampa” di essere riuscito a entrare in territorio siriano. Due giorni dopo, lunedì 8, ha prima mandato un messaggio alla moglie Giulietta, per dirle che era in Siria e che era tutto ok, poi verso sera l’ha chiamata a casa. La linea era molto disturbata, ha spiegato che di lì a poco il cellulare non avrebbe preso più e che le persone con cui viaggiava gli avevano chiesto di non utilizzare il satellitare, che sarebbe stato quindi in silenzio per qualche giorno ma di non preoccuparsi. Martedì 9 ha ancora mandato un sms a un collega della Rai nel quale diceva di essere sulla strada per Homs. È stato questo l’ultimo contatto diretto avuto con lui. Prima di partire ci aveva avvisato che non avrebbe scritto niente mentre era in Siria e che per circa una settimana sarebbe rimasto in silenzio: la copertura delle rete dei cellulari è saltata in molte zone dell’area di Homs e usare il satellitare non è prudente perché così si segnala la propria presenza». “La Stampa” è poi uscita in questi due mesi con un fiocco giallo in testata, «come fanno le famiglie che attendono il ritorno di una persona cara di cui non si hanno notizie».

• Che cosa diceva, Quirico, della guerra in Siria, dei suoi quarantamila morti?

«Quella siriana è una delle tragedie più terribili degli ultimi anni. Io l’ho attraversata in modo diretto: dal 2011 ci sono andato varie volte. E ho visto l’impotenza del nostro lavoro a trasformare i fatti in coscienza, anche collettiva. La Siria non è diventata un problema della società civile occidentale. Io credo che questo sia accaduto perché non si riesce più a creare compassione. Questo è il problema dei giornali, non il bilancio in rosso, la pubblicità. Ma l’incapacità a raccontare il dolore. Si va nei luoghi in cui l’uomo soffre, ma non si comunica nulla, ci si perde dietro ad altre cose».