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 2013  maggio 28 Martedì calendario

Processo Stato-mafia, nuove accuse a Mancino

• Si è aperto ieri a Palermo il processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. L’ex ministro Nicola Mancino, imputato per falsa testimonianza, ha chiesto il giudizio separato rispetto ai mafiosi. «Io ho sempre combattuto la mafia, non posso stare nello stesso processo in cui c’è la mafia» ha detto. I pm hanno risposto invece avanzando una nuova contestazione di reato nei confronti dello stesso Mancino. Da quello che si può intuire, in attesa dell’illustrazione dell’accusa che avverrà venerdì, alla seconda udienza, all’ex ministro sarà contestato di aver commesso il reato di falsa testimonianza «per occultarne un altro», secondo l’articolo 61 del codice penale. Avrebbe mentito per nascondere ciò di cui sono accusati gli altri imputati che rispondono di «violenza o minaccia a un Corpo politico dello Stato»: il ricatto mafioso da cui è scaturita la trattativa fra le istituzioni e Cosa nostra al tempo delle stragi, fra il 1992 e il 1994. [Bianconi, Cds]

• Spiega Bianconi (Cds): «Nella ricostruzione dei pm Mancino venne a conoscenza della trattativa già nel 1992, quando arrivò a guidare il ministero dell’Interno al posto di Vincenzo Scotti, al contrario di quanto afferma. Perché il suo collega della Giustizia, Claudio Martelli, lo avvisò quasi subito degli impropri contatti dei carabinieri del Ros con l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. E perché alla fine di quell’anno sostenne in un’intervista che dentro Cosa nostra c’erano due anime: quella stragista guidata da Riina e quella più moderata che faceva capo a Provenzano; informazione allora sconosciuta a inquirenti e investigatori, tranne che ai carabinieri informati da Ciancimino che evidentemente la fecero arrivare al ministro dell’epoca».

• Racconta Bolzoni su Rep: «Ore 8.55, il primo che entra con la sua blindata nel bunker è l’ex presidente del Senato (ed ex presidente del Csm ed ex ministro degli Interni) Nicola Mancino. Ore 8.58, ecco il generale Antonino Subranni, nel 1992 comandante dei reparti speciali dell’Arma. Ore 9.02, arriva Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, quello che giocava su tutti i tavoli negoziando da una parte con Cosa Nostra e dall’altra con i carabinieri. “Milano... Milano”, grida una voce alle 9.26 dall’altoparlante incastrato in una delle quattordici tivù sparpagliate nell’aula. È il collegamento in videoconferenza con i detenuti. Milano vuol dire che è in linea il carcere di Opera, nel carcere di Opera c’è il capo dei capi di Cosa Nostra Totò Riina. Passa qualche minuto e la faccia pallida dello “zio” Totò appare sugli schermi. Ha addosso un vestito grigio, è immobile come una statua. Dopo Opera il carcere di Ascoli Piceno: c’è Leoluca Bagarella, venti chili di meno e vent’anni di più. Dopo Ascoli Piceno il carcere di Parma: il mafioso Antonino Cinà. E per ultimo il «sito riservato», la prigione segreta dove è detenuto Giovanni Brusca. C’è tutta la Cupola di quella Cosa Nostra del 1992 che presenzia al processo fra lo Stato e se stessa».