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 2013  maggio 27 Lunedì calendario

C’è qualcuno che ha intenzione di comprarsi l’Ilva, la grande acciaieria di Taranto, come si evince da una dichiarazione di ieri del ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato

C’è qualcuno che ha intenzione di comprarsi l’Ilva, la grande acciaieria di Taranto, come si evince da una dichiarazione di ieri del ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato. Il passaggio è questo: «Il polo dell’acciaio, e l’Ilva in particolare, deve rimanere italiano, dobbiamo fare di tutto per farlo rimanere italiano. È una questione strategica: dalla siderurgica dipende la meccanica, per rimanere competitiva deve avere acciaio prodotto in luoghi abbastanza vicini».

•  Come mai esce fuori questa storia di qualcuno - suppongo straniero - che si vuole comprare l’Ilva?
Allora lei non conosce gli ultimi fatti. La Procura di Taranto ha calcolato quanti soldi hanno risparmiato i Riva evitando di mettere in atto le bonifiche che sarebbero state obbligatorie. Finiti i calcoli, hanno disposto il sequestro della somma venuta fuori: otto miliardi e cento milioni di euro. Non credo che nella storia giudiziaria del Paese la magistratura abbiamo mai tentato di metter le mani su un capitale simile.  

Mi faccia capire: i giudici di Taranto hanno sequestrato ai Riva otto miliardi e cento milioni? E dove li hanno trovati? In qualche cassetto? E i Riva non si sono opposti?
I Riva, compreso il vecchio Emilio, sono agli arresti domicialiari da una decina di mesi. Uno di loro è latitante. La Procura ha deciso di sequestrare gli otto miliardi e cento milioni, ma finora è riuscita a trovare poco meno di un miliardo. «Abbiamo cercato in dodici città. Da Potenza a Milano. Abbiamo visitato 16 banche diverse, bloccato e aggredito depositi, titoli, partecipazioni societarie, immobili. Presto apriremo le cassette di sicurezza». Ma più di un miliardo, per ora, non è venuto fuori. C’è però un punto, nell’ordinanza di sequestro, che mette a repentaglio tutta la fabbrica. I giudici hanno colpito i beni della società che possiede l’83% dell’Ilva, e che si chiama Riva Fire, «e in via residuale gli immobili dell’Ilva che non siano strettamente indispensabili all’esercizio dell’attività produttiva». Cioè, dicono i giudici: sequestriamo gli otto miliardi e cento milioni, prendendoci, se i contanti non bastano, gli immobili di Riva Fire, e se gli immobili di Riva Fire non bastano, prendiamoci i beni della stessa Ilva, purché non siano indispensabili alla produzione. Però il consiglio d’amministrazione dell’Ilva ha risposto che tutti gli immobili dell’Ilva sono necessari alla produzione e che l’ordinanza di sequestro mette di fatto la fabbrica nell’impossibilità di produrre. Sono seguite le dimissioni di tutti i consiglieri, compreso l’insospettabile Enrico Bondi, già risanatore di Parmalat e messo lì a fare l’amministratore delegato da poche settimane. Bondi sarà oggi a Roma per incontrare il ministro Zanonato. Domani dovrebbe esserci un vertice con lo stesso Letta. Il rischio che l’Ilva chiuda per sempre esiste. La preoccupazione, o l’insinuazione, del ministro sono un nuovo elemento di confusione/tensione. Tutto questo baillamme prepara l’ingresso di uno straniero nel complesso tarantino?  

Chiunque arrivasse dovrebbe mettere questi otto miliardi per bonificare.
Si direbbe di sì. Ma la legge varata in tutta fretta dal precedente ministro Clini ne prevedeva tre, da imputare ai Riva, e dava tempo per il risanamento fino al 2017, con il cosiddetto “cronoprogramma”, cioè c’erano delle scadenze, il governo avrebbe controllato, eccetera.  

• Che soluzioni ci sono?
Tutto è reso più difficile dal fatto che anche qui è in corso uno scontro feroce tra coloro che giudicano più importante l’ambiente e coloro che mettono al primo posto il lavoro. Il giudice - una signora, che si chiama Patrizia Todisco - leader suo malgrado degli ambientalisti, ha poi davvero ragione al cento per cento? Girano statistiche dalle quali si evince che a Taranto, benché avvelenata, si muore meno che da altre parti, se chiude Taranto deve allora chiudere più o meno tutto il sistema industriale italiano, inquinante ovunque. La soluzione più ovvia sarebbe quella suggerita da Carlo De Benedetti: lo Stato si piglia l’acciaieria, risana e poi vende. Per statalizzare l’Ilva, però, ci vuole il permesso di Bruxelles.  

• Che cosa stiamo rischiando, sul serio, in caso di chiusura?
L’Ilva di Taranto dà lavoro, compreso l’indotto, a 24 mila persone. Se si considera tutto il gruppo, i posti a rischio sarebbe 40 mila. Federacciai ha calcolato i danni finanziari: senza l’Ilva dovremmo cominciare a comprare all’estero anche i cinque milioni di tonnellate di acciaio che adesso le industrie prendono a Taranto. Fa un danno di 2,5-3,5 miliardi. Le mancate esportazioni ci costerebbero 1,2-2 miliardi l’anno. La bilancia commerciale peggiorerebbe di 3,7-5,5 miliardi. I nuovi costi per la logistica, per gli oneri finanziari, per gli ammortizzatori sociali, il calo dei consumi dovuto al tracollo dei redditi, più lo spopolamento della città, destinata a scendere da poco meno di 200 mila a 30 mila abitanti, valgono ancora un danno di altri 4-5 miliardi. Un danno minimo di 11,5 e massimo di 16 miliardi l’anno. Senza contare le ripercussioni sociali.