Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 10 Venerdì calendario

Ottavio Missoni, una vita tra sport e moda

• La vita di Ottavio Missoni si è divisa tra sport e moda. Paracchini (Cds): «Che Ottavio fosse nato (l’11 febbraio 1921, a Ragusa ora Dubrovnik) predestinato ad affascinare, lo aveva presto capito da come la mamma Teresa dei conti di Sebenico, gliele desse tutte vinte nonostante la sua pervicace renitenza allo studio. Il papà Vittorio? Capitano di lungo corso, quindi sempre per mare. Infanzia e adolescenza spesa a Zara acchiappando polipi con le mani e piazzando le prime irresistibili falcate nei campi e per strada. Poi l’Arena di Milano, sedicenne e la maglia azzurra della nazionale («nesun mai zoven come mi!») con cui a Parigi batte i francesi nella staffetta dei 400. Avrebbe voluto fare le Olimpiadi ’40 e ’44 ma la guerra le cancella entrambe e invece della tuta gli tocca la divisa kaki, addetto alla telefonia di collegamento, fronte africano. Quando “dopo quattro anni prigioniero-ospite di Sua Maestà britannica” torna, è talmente magro che la bora triestina lo fa sbandare. A Milano incontra fotografi, artisti, attori come Mulas, Morlotti, Buazzelli, diventa amico di Gianni Brera che lo soprannomina “Ottavio figlio d’Apollo” e fa perfino girare la testa a Lucia Bosè poco prima che diventi Miss Italia (“Era bello come un dio!”). Per una promessa dell’atletica saltare due Olimpiadi e presentarsi alla terza, dopo 4 anni di fame non è il massimo ma Londra ’48 sarà per lui comunque un trionfo perché oltre a correre la finale dei 400 metri, incontrerà tra tifose plaudenti e già innamorate, la sedicenne Rosita Jelmini da Golasecca (Varese).  Una piccola esperienza di maglificio con un ex atleta-amico e soprattutto il fatto che i genitori della signorina siano industriali tessili agevolano le scelte per il futuro. Nel ’53 si va a nozze, quindi fabbrichetta a Gallarate e infine a Sumirago, attuale distintivo della famiglia. Nel ’58 il successo dello spigliato abito “Milano Simpathy”, presentato alla Rinascente. Nel ’68 il nude look (in realtà soltanto fasciato e trasparente) di clamorosa risonanza nella collezione a Palazzo Pitti. Poi i complimenti pubblici di Diana Vreeland, mitica direttora di Vogue e una galoppata che spingono Ottavio e Rosita nella serie A dello stile Made in Italy».

• Enzo Bettizza sulla Sta: «La moda, le sfilate, i guadagni che gli procuravano? Non ne parlava mai, assolutamente mai, come se la cosa concernesse i talenti e le inclinazioni naturali delle donne di famiglia. Lui, che era un falso naif, preferiva passare le sue ore a leggere libri, anche astrusi, piuttosto che sperperarle in clangori mondani. Figlio autentico della propria terra, nel fisico atletico, nei lineamenti bellissimi e marcati, nel bilinguismo in cui il veneto coloniale si univa a nostalgiche e temerarie battute in croato: amava sottolineare il cognome della madre, una Vidovich, nobildonna di Sebenico, che lo esortava a non dimenticare la lingua slava che egli infatti parlava correntemente. Usava non a caso definirsi così: “Sono un mediterraneo multiforme, nel quale si rimescolano le acque dell’Adriatico e del Danubio”».