Rassegna, 3 maggio 2013
Strage di musulmani in Birmania
• Martedì scorso a Okkan, 80 chilometri a nord di Rangoon, capitale della Birmania, in un affollatissimo mercato una donna in bicicletta si è scontrata con un monaco buddista facendogli cadere la ciotola con l’elemosina. Un piccolo incidente che ha fatto scoppiare l’inferno. I musulmani sono scappati nei campi per paura di essere uccisi da centinaia di buddisti e il giorno dopo il bilancio era di un morto, 158 case e negozi distrutti, oltre a due moschee rase al suolo. [Ricci Sargentini, Cds]
• A Rangoon i musulmani birmani, che rappresentano il 4% della popolazione, vivono in una sorta di apartheid: erigono barriere di filo spinato e organizzano ronde notturne di volontari pronti a lanciare l’allarme al primo segno di attacco. L’ultimo episodio di violenza risale al 30 marzo quando c’erano stati tre giorni di scontri nella città di Meikthila, nello Stato di Rakhine. Allora erano morte 43 persone sotto gli occhi indifferenti della polizia. A fomentare la violenza contribuisce il gruppo radicale 969 che chiede ai buddisti di evitare i negozi gestiti dai musulmani, mettere al bando i matrimoni misti e né vendere né affittare terra agli islamici. In molte città sui taxi, nei negozi e persino sugli autobus si notano un po’ ovunque gli adesivi con l’emblema del 969. Il movimento ha aperto 200 scuole solo per buddisti in diverse parti del Paese e pare che le iscrizioni fiocchino. Gli scontri religiosi tra islamici e buddisti in Birmania hanno già causato più di 200 morti e circa 130 mila profughi. [Ricci Sargentini, Cds]