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 2013  aprile 12 Venerdì calendario

Barca: «Il Pd che ho in mente»

La Stampa, venerdì 12 aprile 2013
C’è il testo, e la sfida «a mettersi in discussione». Fabrizio Barca «scende» in politica. E nella sua «memoria» che «La Stampa» pubblica in esclusiva descrive il «partito che vorrebbe». Un partito che guarda allo «sperimentalismo», e le cui coordinate sono fissate nel documento, «Un partito nuovo per un buon governo». Il battesimo arriva nel giorno in cui il ministro si «iscrive al Pd» e ribadisce che non bastano alcuni anni di militanza giovanile in un partito e poi i lavori di tecnico, amministratore, ministro e «neppure la vicinanza profonda con un protagonista della migliore politica - mi riferisco a mio padre - per proporre in modo solitario il programma politico di un partito nuovo». Un partito, scrive il ministro, «rigorosamente separato dallo Stato, sia in termini finanziari -riducendo ancora il finanziamento pubblico - sia prevedendo la separazione fra funzionari e quadri del partito o nominati in organi di governo, sia stabilendo regole severe per scongiurare ogni influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente(...) Affinché questi requisiti siano soddisfatti, è necessario che l’iscrizione sia legata a una genuina partecipazione e che sia affettivamente aperta sia a individui sia ad associazioni (...) evitando il prevalere dei (...) «controllori di tessere».

Radicati nel territorio

A questo fine - è scritto nel documento di cui pubblichiamo ampi stralci - «serve un partito di sinistra saldamente radicato nel territorio che, essendo animato dalla partecipazione e dal volontariato e traendo da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti e simpatizzanti una parte determinante del proprio finanziamento, sia capace di promuovere la ricerca di soluzioni per l’uso efficace e giusto del denaro pubblico»(...)

Un partito diverso, nuovo, profondamente rivisto.

«In partito di sinistra - si chiarisce - che serve al Paese non è, dunque, il partito scuola di vita (e di lotta), il partito di massa dove si ascoltano bisogni e si insegna “la linea” per ottenere soddisfazioni di quei bisogni e costruire un nuovo “avvenire”... Non è il partito di occupazione dello Stato, dove si vende e si compra tutto: prebende, ruoli, pensioni, appalti, concessioni, ma anche regole, visioni, idee. Non è il partito liquido, quello della crisi della politica, vetrina dove sono in mostra manichini e prodotti “dell’offerta politica”(...) È un partito palestra che offre lo spazio per la mobilitazione cognitiva (...) che rappresenta il metodo nuovo per promuovere, riempire di contenuti gli strumenti dello sperimentalismo democratico e, al tempo, di scegliere i quadri del partito non solo sulla base dell’adesione ma della capacità di andare per strada, incontrare, scoprire, esprimere dubbi(...) A ben guardare il partito della mobilitazione cognitiva rappresenta il superamento dello scarto tra democrazia e tecnocrazia (...)».

Controllo dei fondi

E già. «La copiosità del finanziamento pubblico dei partiti, mirando a liberare i partiti stessi dal condizionamento dei “fondi neri” provenienti dalla degenerata conduzione dei grandi enti pubblici nazionali e locali, li ha in realtà legati stabilmente allo stato (...). Ciò consolida il “controllo” dei gruppi parlamentari, attraverso filiere di comando che da singoli “capi-cordata” nei gruppi scendono lungo il partito stesso e sono alimentate dai flussi di risorse disponibili.

L’attuale legge elettorale suggella questo stato di cose, creando a sua volta una filiera gerarchica perversa che vede i “capicordata” concordare con il leader del partito i singoli eletti (...)». Dunque il tema della primarie. Una risorsa o una matassa troppo intrecciata?

«La selezione dei candidati via primarie - spiega Barca - ridà un ruolo a iscritti e simpatizzanti e può produrre buone sorprese ma non risolve in alcun modo il problema (...). Quanto al ricorso alle primarie per l’elezione del leader del partito o del candidato premier, esso assicura condizioni minime di “democrazia elettiva” rispetto a ogni forma di auto-proclamazione, ma non tocca in sé la deriva descritta. Al contrario, se sono accompagnate da una radicale separazione tra partito e dalla ricostruzione di un rapporto continuo, (...) le “primarie del popolo” tendono a dare legittimità al cesarismo, appagando a poco prezzo la domanda di democrazia dei cittadini (...). Le nuove generazioni che in un contesto normale rimpiazzerebbero gradualmente le élite attraverso processi di accompagnamento, sono così spinte a emigrare o a sfidare le élite esistenti in termini di contrapposizione manichea fondata sulla data di nascita e non su competenza e capacità».

Il capitolo sul buon governo Barca prende a riferimento il voto politico scorso. «Sul piano politico - avverte - l’assenza di un buon governo si è manifestata nelle elezioni del febbraio 2013 in un paradosso, una deriva e uno strappo. Il paradosso, per cui una formazione politica identificata con un leader salvifico sotto la cui guida il paese pur perdendo milioni di voti conserva un consenso assai significativo del paese. La deriva, per cui con una sola rilevante eccezione, tutti i partiti sono stati a trazione personalistica; lo strappo, segnato dal successo di un movimento-partito che raccoglie consensi da segmenti assai diversi della società uniti nella profonda sfiducia e nel risentimento verso l’intera élite politica (...)».

(...) La macchina dello Stato scrive Barca - è complessivamente estranea agli strumenti della democrazia deliberativa, che si vanno affinando nel mondo contemporaneo. A tenerla in queste condizioni sono la coazione a ripetere e l’intenzionalità di un élite estrattiva (...) e i partiti Stato-centrici che anziché trarre legittimazione e risorse finanziarie dai propri iscritti nel territorio le traggono dal rapporto con lo Stato, “attraverso un generoso finanziamento pubblico, la colonizzazione dell’amministrazione, il clientelismo”.

Fratellanza siamese

«Per avere un buon governo bisogna rompere la fratellanza siamese tra Stato arcaico e partiti stato centrici (...). Per fare ciò è necessario “un passo da cavallo” (...) rovesciando i limiti che rendevano la nostra macchina pubblica arcaica e raggiungere quindi, modernità organizzativa, del personale, forte ricorso alle tecnologie informatiche, chiara identificazione della responsabilità (...) Ma una accentuata procedure deliberativa ha bisogno di un aperto e regolato conflitto sociale: serve un partito con forte radicamento sociale, che promuova e dia esiti operativi e ragionevoli a questo conflitto e che sia capace di indicare le priorità e le grandi scelte in termini di uso del denaro pubblico».

Rete e partiti Capitolo a parte la Rete. Che nelle intenzioni di Barca «non può in alcun modo assicurare l’approfondita disamina dei problemi (...). Solo supponendo che la conoscenza richiesta per assumere decisioni di buon governo sia assai limitata(...), si può pensare che il processo decisionale, e dunque l’input dei cittadini governanti, sia esaurito dalla rete (...) La Rete può allora dare ai partiti uno straordinario slancio nel giocare la partita dello sperimentalismo, consentendo e costringendo il processo deliberativo a essere aperto: non può sostituirsi ai partiti. Sono (invece) le idee, a poter rompere l’equilibrio perverso di élite estrattive(...)».

La crisi economica

E’ un tema. «La tensione - si legge - sarebbe inevitabile se fosse vero che il “saper governare” è privilegio di pochi. È l’errore come si è visto durante l’ultimo trentennio affidandosi per decisioni di grande importanza a manager e tecnici privati o alle tecnocrazie degli organismi internazionali, nell’assunto che conoscessero quelle regole e quelle istituzioni(...) La grave crisi economica in atto è anche, in larga misura, il risultato di questo errore. La strada da prendere parte allora dal riconoscere l’errore, aderendo al paradigma dello sperimentalismo. Un partito di mobilitazione cognitiva può cogliere la domanda forte di partecipazione e di “fare politica” che viene da tutti i cittadini, soprattutto dai giovani (...) La domanda di imparare insieme, anche fuori dai luoghi deputati e entro il confronto tra generazioni, mestieri diversi e tra differenti modi e stili di apprendimento intorno alle cose da fare. La domanda sulla cui base un movimento come “5 Stelle” ha costruito la propria offerta politica (pur nello schema angusto e di corto respiro del leaderismo e di tentazioni di segregazione comunitaria)».
Paolo Festuccia