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 2013  marzo 26 Martedì calendario

Il Papa della decisione (articolo dell’1/9/2011)

vaticaninsider.lastampa.it, giovedì 1 settembre 2011
Basso di statura, tanto da essere soprannominato «il piccoletto», fragile, asimmetrico per una spalla più alta dell’altra, con il volto spigoloso e spesso emaciato, il nobile genovese Giacomo Della Chiesa il giorno dell’elezione, inattesa per tutti ma a quanto pare non per lui, stupì i cardinali e i collaboratori per la fermezza del suo carattere la sua volontà. Poche ore dopo essere diventato Benedetto XV, il 3 settembre 1917, diede immediatamente una serie di ordini, prima ancora di toccare cibo, tanto da fare esclamare, a un porporato colpito da tanta sicurezza: «Caspita, abbiamo un Papa già “professo”, non un Papa “novizio”».

Figlio di un marchese che discendeva dalle famiglie di Berengario II e Callisto II, e di una nobile discendente dalla famiglia di Innocenzo VII, Giacomo si era laureato in Legge a Genova e nel 1978 era stato ordinato sacerdote. Dopo aver completato gli studi all’Accademia dei nobili ecclesiastici era entrato in Segreteria di Stato, come collaboratore di monsignor Mariano Rampolla del Tindaro, futuro cardinale. Nominato Sostituto nel 1901, aveva fatto carriera nell’entourage papale di Leone XIII. Dopo l’elezione di Pio X, nel 1903, il gruppo dirigente venne cambiato. Il Papa decise di non continuare a utilizzarlo per il servizio diplomatico ma di nominarlo arcivescovo di Bologna (1907) lasciandolo però senza il cappello cardinalizio – tradizionalmente associato alla sede – per ben sette anni. Soltanto tre mesi prima della morte, il 25 maggio 1914, Pio X si decide a conferirgli la porpora. Il nome del cardinale Giacomo Della Chiesa non entrerà mai nell’annuario pontificio.

Quando inizia il suo regno, il Vaticano ha relazioni diplomatiche soltanto con 17 Stati, per lo più di scarso peso politico, se si escludono l’Austria, la Spagna, la Baviera e la Prussia. Alla morte di Benedetto XV, nel 1922, saranno saliti a 27 e comprenderanno la Francia, la Gran Bretagna, la Germania. «Il Vaticano – scrive lo storico John F. Pollard – era diventato una nuova forza nel piano internazionale». Grande e convinto tessitore di una strategia per la pace, definirà la guerra il cui inizio coincide con quello della suo pontificato, uno «spettacolo mostruoso» e un «flagello dell’ira di Dio». Nella famosa Nota alle nazioni, del 1° agosto 1917, parlerà del conflitto come «inutile strage». Una posizione contrastata dalle nazioni cattoliche, al punto che Benedetto XV confida: «Vogliono condannarmi al silenzio. Non riusciranno mai a sigillare il mio labbro. Guai se il Vicario del Principe della pace fosse muto nell’ora della tempesta. La paternità spirituale universale, di cui sono investito, mi impone un dovere preciso: invitare alla pace i figli che dalle opposte barricate si trucidano a vicenda». La condanna della guerra, che per la prima volta si affaccia sulla scena dell’umanità come mondiale e capace di portare alla morte milioni di uomini, non è formulata soltanto in termini morali, ma anche teologici e biblici, che invitano a considerare gli uomini come «figli di un unico Padre che è nei cieli», dotati «di una medesima natura» e «parti tutte di una medesima società umana». E il Papa mette a punto, con il suo Segretario di Stato Pietro Gasparri, il criterio di «imparzialità»: la Santa Sede intende rimanere al di sopra delle parti, fuori dagli schieramenti, ma ciò non significa che essa sia «neutrale» rispetto a quanto sta avvenendo.

Di carattere riflessivo, poco avvezzo agli scatti d’ira, ma fermissimo, Papa Della Chiesa amava a tal punto la puntualità da regalare ai suoi collaboratori degli orologi, dicendo loro: «Tieni, prendi questo. Così non avrai più scuse per arrivare in ritardo». In un suo autografo del 1915 si trova scritto: «Un buon orologio può giovare a renderci esatti e pronti ad ogni convegno, senza perdere tempo con inutili anticipazioni, o senza apparire scortesi con ingiustificati ritardi». Proprio l’attenzione per la puntualità gli sarà fatale, all’alba del 17 novembre 1921, quando dovette attendere per qualche minuto il gendarme che gli apriva la porta che dalla Sala del Sacramento immette nella Basilica di San Pietro. Doveva andare a dire la Messa mattutina dalle suore di Santa Marta e quella breve attesa al freddo gli fece prendere un raffreddore che, diventato bronchite, lo porterà alla tomba il 22 gennaio 1922.

Abile navigatore nel mondo delle astuzie curiali, controllava ogni aspetto della vita della Santa Sede ed era solito stilare una pagella con relativi punteggi da consegnare a fine mese al direttore dell’Osservatore Romano, il conte Giuseppe Dalla Torre, e ai redattori del quotidiano vaticano. Racconterà il direttore: «Le correzioni, invece, giungevano subito. Una volta il giornale aveva segnalato presente a una cerimonia a Bologna – mentre non c’era stata affatto – la signora Augusta Nanni Costa, che il Papa aveva voluto fra i partecipanti alla Giunta direttiva; aveva assegnato all’America una certa isoletta asiatica; aveva visto ad un’altra cerimonia una nota personalità. Benedetto XV scrisse: “La signora Nanni Costa non era quel giorno a Bologna; l’isola appartiene all’Asia; la personalità è morta. Dunque l’Osservatore Romano dona l’ubiquità, trasporta da un continente all’altro le terre, risuscita i morti”».

Giacomo Della Chiesa fu anche un ottimo talent-scout, buon conoscitore delle qualità dei suoi sottoposti. Si deve alle sue decisioni l’ascesa di ben tre suoi successori: è stato Benedetto XV ad avviare alla carriera diplomatica il Prefetto della Biblioteca vaticana Achille Ratti, che diventerà nunzio in Polonia, cardinale arcivescovo di Milano per qualche mese prima di essere eletto Papa. È stato Benedetto XV a consacrare personalmente arcivescovo Eugenio Pacelli, nominandolo nunzio in Baviera, così come è stato sempre lui a chiamare a Roma da Bergamo don Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, affidandogli l’incarico di direttore dell’Opera di Propaganda Fide.

Uomo di grande carità, venne accusato di sperperare gli averi del Vaticano. «Corre voce che io dilapidi i beni della Santa Sede – dirà in un colloquio privato -. Salvo ciò che ho trovato di suo patrimonio, credo che quanto entra in questo cassetto deve puntualmente uscirne. La Provvidenza provvederà. Questo è il suo compito».

Di Benedetto XV si ricorda infine anche lo spiccato senso dell’umorismo. In un suo testo autografo, con relativa fotografia, indirizzato ai Vigili del fuoco vaticani, scrisse: «Benediciamo di cuore le “Guardie del fuoco” nel Vaticano, coll’augurio che non abbiano mai a spegnere incendi, perché Noi siamo anticipatamente persuasi del valore che nell’eventuale circostanza saprebbero dimostrare».

Andrea Tornielli