31 gennaio 1959
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«Ciao, ciao “pampina”»
• «(…) Parliamo ancora di Domenico Modugno, perché il Festival ha ruotato intorno a lui ed egli è stato comodo come un bel pavone a guardarsi la coda lucente. La sua canzone è gracilina e scoppietta soltanto se la interpreta lui, in quel particolare modo che può anche non piacere. In bocca ad un altro cantante diventa un modesto motivetto per il repertorio di orchestrine impegnate in sale di ballo periferiche. I competenti dicono che avrà successo, e quasi certamente vedono giusto, ma ciò non toglie che Piove sia la canzone meno riuscita di Modugno. A sentirla cantata da lui si rimane inizialmente perplessi, ma alla fine si scopre il trucco, e vien fuori il personaggio, non la canzone, un Modugno dartagnanesco che gioca sugli sbilanci del corpo per accompagnare un ritmo appena accennato, lancia lontano le braccia e subito le raccoglie sul petto con sapienti dosaggi istrionici che lo rendono simpatico. Storpia le parole, muta le consonanti, tronca la frase vocale per creare un effetto, ma ciò non serve ad aumentare il valore di Piove. Dice, ad esempio: “Ciao, ciao pampina”, anziché “bambina”, perché già pensa al lancio sul mercato americano ed alla inevitabile storpiatura cui sarà sottoposta quella parola. In sala, appena accennava a quel “Ciao, bambina”, il pubblico pareva toccato dalla corrente elettrica, e si abbandonava a scene di scomposto entusiasmo con urla ed applausi da arena. Un signore dall’apparenza molto distinta è venuto in sala con un ombrello che al termine dell’esecuzione data da Modugno ha spalancato e agitato con gesti frenetici. Una nota di Modugno ha il potere di scatenare le folle, quel suo gestire legnoso, da marionetta, affascina i milioni di suoi ammiratori che scorgono in esso, chissà perché, un lume d’arte. Ma il fenomeno Modugno sta assumendo proporzioni imponenti, ancora due canzoni e lo zazzeruto cantante-chitarrista-musichiere caccerà non solo Claudio Villa, ma anche Giuseppe Verdi dal cielo della patria lirica». [Francesco Rosso, Sta. 1/2/1959]