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 2005  luglio 09 Sabato calendario

Il matrimonio di Stefano Ricucci e Anna Falchi

Testo tratto da Laura Laurenzi, Il giorno più bello,
Rizzoli, Milano, 2008

Porto Santo Stefano (Grosseto), 9 luglio 2005, sabato

Si sono sposati a picco sul mare, in una delle ville più belle del mondo. Si abbracciano al tramonto su un tappeto di petali di rosa, nello spiazzo erboso accanto alla Torre Saracena. Che incanto: da queste terrazze la vista spazia dall’Isola del Giglio fino a Montecristo. Lui è uno degli uomini più solvibili d’Italia, il finanziere d’assalto che sta dando la scalata al «Corriere della Sera», lei è un’attrice da calendari che ha promesso di non spogliarsi mai più. «Stefano è il mio alter ego maschile, è l’altra metà della mela».

Ad accomunarli sono le origini: tutti e due vengono dal niente. Tutti e due si sono fatti da soli. Lui, odontotecnico dei Castelli, grazie a un formidabile fiuto per gli affari; lei, miss e prezzemolina, grazie alla sua prorompente bellezza: merito di madre natura ma anche del chirurgo plastico Paolo Santanchè, che l’ha equipaggiata di una quarta di reggiseno.

Metà finlandese, metà di Rimini, un’infanzia di ristrettezze alle spalle, Anna Falchi è cresciuta senza padre e ha sempre agognato al riscatto sociale. Sin da quando era bambina sognava un matrimonio tradizionale, in grande stile, con l’abito bianco, e in chiesa. Quello che oggi Stefano Ricucci, immobiliarista rampante, le offre non è esattamente ciò che Anna desiderava, ma ci si avvicina parecchio. Il vestito è bianco, bianchissimo, lungo, costoso e griffato. «Voglio qualcosa che ricordi la Venere del Botticelli», sono le istruzioni che la Falchi ha impartito alla stilista Alberta Ferretti, anche lei romagnola.

La festa di nozze, pur se limitata a soli ventisei invitati, è di super lusso, sembra il set di un film dei Vanzina, in total white con buffet alla moda sovraccarico di sushi e aragoste, lo champagne che ovviamente scorre a fiumi, l’orchestrina jazz che suona Summertime, mille orchidee bianche, poltroncine di plexiglass trasparente, fiaccole, baldacchini, gazebo e candidi veli d’organza che vibrano alla brezza marina.

Quel che manca è il matrimonio religioso: pazienza, tanto gli sposi in chiesa ci sono andati lo stesso. La Cacciarella infatti, la sontuosa villa appartenuta ai Feltrinelli, oltre ai suoi quattro corpi di fabbrica, al suo meraviglioso giardino panoramico che digrada sul mare, ai suoi trentacinque ettari di olivi e vigneti e al suo porticciolo privato, ha anche una piccola cappella, oltretutto intitolata a santo Stefano, dove Ricucci & la Falchi - lui cattolico e divorziato, lei luterana molto credente - si sono raccolti in preghiera. E poiché oggi una benedizione non si nega a nessuno, Anna si sente un po’ come se si fosse sposata anche in chiesa. Né sembra dare troppo peso alla leggenda sinistra che aleggia su questa villa di cui oggi è diventata proprietaria e castellana, un alone di disgrazia che secondo le dicerie popolari circonfonde la ricca dimora, tutta colpa di quella misteriosa scia di sangue (sangue?) che un giorno, all’improvviso, ha cominciato a scendere da una lampada posta sotto una statua della Madonna, su una rampa dell’atrio.
Ma oggi è una giornata di festa per la Venere dell’Argentario e per il suo innamoratissimo sposo, che ha trascorso la vigilia delle nozze confinato su un megayacht di cinquantadue metri, il Sairam, ancorato a Porto Santo Stefano, battente bandiera lussemburghese. Una sorta di ritiro spirituale durato ben due giorni. Anna, si sa, pretende che le tradizioni siano rispettate alla lettera: mai dormire sotto lo stesso tetto la vigilia del matrimonio, porta male. Quindi fuori, e Ricucci ha obbedito.

I fotografi già si affollano attorno alla mole scenografica della Fortezza Spagnola, cupa sede comunale dove vengono officiati i matrimoni civili, quando – colpo di scena – arriva la notizia che le nozze saranno celebrate in villa. Anna Falchi infatti ha prodotto un certificato medico che attesta la sua impossibilità a uscire di casa per un’improvvisa sciatalgia lombare. Il colpo della strega - questa la versione ufficiale - l’ha fulminata mentre era china sul talamo nuziale a rimboccare le preziose lenzuola di lino ricamato in compagnia della madre e della sua amica del cuore. In Finlandia si usa così: è la sposa a preparare il letto in cui trascorrerà la prima notte di nozze.
Lei 33 anni, lui 42, coppia da rotocalco se mai ce ne furono, là dove «Novella 2000» incontra «Milano Finanza»: sono i protagonisti dell’estate. Il loro si preannuncia come un matrimonio blindato sin dal primo minuto. L’assedio dei paparazzi e delle troupe televisive è imponente, ma vano. Per evitare la sovraesposizione mediatica, ma forse anche per tutelare un’esclusiva fotografica, Falchi & Ricucci hanno scelto di convolare a nozze in famiglia, al riparo dagli sguardi indiscreti.

A sposarli, con una solennità che qualcuno definisce chiesastica, è il sindaco di Santo Stefano, Nazareno Alocci, della Margherita, che tiene un discorso lungo e forbito neanche fosse l’omelia di un sacerdote. Non solo: invoca sulla coppia abbondanza e prosperità offrendo a entrambi un sorso di Ansonica, vino doc dell’Argentario, in un calice d’argento, e una fettina di pane locale intinto nell’olio extravergine d’oliva. E per finire cita Omero. «C’è poco da dire: sono due sposi innamoratissimi», commenta a nozze avvenute.
Che bello, che lusso potersi sposare «in casa», come fanno gli attori di Hollywood, specie se «casa» è una reggia. Due cuori e un quartierino. Lei è bella proprio come una diva, nel libero e virginale remake della Venere del Botticelli: flessuosa, sottile, il seno pieno, l’abito elegante, a piegoline, due lunghi nastri a trattenere le bretelle di pizzo, scollatura profonda ma sul dorso. Niente velo sui capelli semisciolti, acconciati alla Brigitte Bardot prima maniera, ma cinque minuscole rose bianche appuntate sulla sommità della cotonatura. Alle orecchie due cascate di diamanti. Un’apparizione. Lui è molto più terreno, in blu scuro, la camicia bianca, i gemelli preziosi. Da Zagarolo a via Solferino, che carriera.

Si sono sposati con oltre un’ora di ritardo, alle otto e mezzo della sera: la moglie di Sergio Billè, testimone di Ricucci, si era eclissata per andarsi a cambiare di corsa, dopo aver scoperto che un’altra invitata, la signora Gnutti, aveva il suo identico tailleur pantaloni, stesso colore e stesso modello, uscito dall’atelier Gattinoni. L’imprevisto ha comportato uno slittamento di orari, e si è corso seriamente il rischio - non sia mai - di arrivare davanti alla Torre Saracena a sole già tramontato. Ci teneva moltissimo Anna alla foto ricordo su un fondale tanto romantico. A scattarla avrebbe dovuto essere l’americano Greg Gorman, ritrattista di fiducia di star come Nicole Kidman e Madonna. Ma spostarlo dagli Stati Uniti è stata giudicata una spesa eccessiva, così la scelta è caduta su tale Marcello Serra, virtuoso del bianco e nero, e toscano di Capalbio. Anche la selezione del catering a qualcuno è sembrata un ripiego: inizialmente avrebbe dovuto cucinare Gianfranco Vissani, ma le sue le richieste economiche - si vocifera cinquemila euro a coperto - sono state ritenute francamente troppo esose.

Non che Ricucci sia avaro, tutt’altro. Oculato negli affari, in amore si sta dimostrando generosissimo. È stato lui a volere la comunione dei beni, secondo quanto ha raccontato la sposa: «Non è stata una mia idea, Stefano ha un cuore incredibile, una generosità impensabile, cosa molto rara perché i parvenus sono tutti tirchi». Tuttavia era sembrata lei la vera ispiratrice di questa decisione patrimoniale. Intervistata un mese prima delle nozze da «Oggi», alla domanda: «A proposito, comunione o separazione dei beni?» aveva risposto con un soprassalto: «Come? Ci sposiamo e già ci separiamo nei beni? Comunione, ci mancherebbe. Il matrimonio non è un patto. Se ti sposi come puoi pensare di mettere dei paletti? Se cominci a pensare questo è mio, questo è tuo, non ti sposi nemmeno!». E spesso ha ripetuto: «Sono Cenerentola e avrò metà del regno».

Un regno già molto consistente, se è vero che la società di Ricucci, la Magiste, ha un patrimonio che supera i due miliardi e duecento milioni di euro. Sarà per questo che gli sposi hanno pregato gli invitati di non fare regali di nozze ma opere di bene, offerte da devolvere in beneficenza. Sono davvero pochi gli eletti ammessi in questo paradiso fortificato: il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio con signora, il finanziere bresciano Chicco Gnutti, il super furbetto del quartierino Umberto Fiorani, il presidente della Confcommercio Sergio Billè, il sottosegretario alla difesa Salvatore Cicu di Forza Italia, il senatore Nicola Latorre, dell’Ulivo, la stilista Alberta Ferretti, gonfia d’orgoglio.

E poi i parenti più stretti: i genitori di Ricucci, il figlio di primo letto Edoardo che ha 12 anni, naturalmente la madre della sposa, Kaarina, legatissima ad Anna, il fratello Sauro, ma non il padre, Tito Falchi, che vive in povertà a Nizza sbarcando il lunario come venditore di oggetti usati nei mercatini delle pulci. Anna non ha più rapporti con lui da quando era bambina e lui se ne andò da casa: non ne vuole sapere. Lui rilascia interviste lacrimose ai rotocalchi in cui chiede tardivamente perdono: «Non ho neppure il suo numero di telefono», piange.

Nozze per pochi intimi, dunque, anche se non esattamente di basso profilo. «Di matrimoni sbandierati ai quattro venti non se ne può più», proclama la sposa. «Vogliamo solo le persone che amiamo sul serio.» L’ambientazione della festa è new age: cinquecento candele incastonate dentro grandi conchiglie bianche, piramidi di orchidee identiche a quelle del bouquet a ornare ogni centrotavola, tappeti di petali su cui incedono gli sposi. Lancio non di riso ma, forse, di un’opa, un’offerta pubblica di acquisto, sul «Corriere della Sera»: questo, si mormora, potrebbe essere il regalo più clamoroso di Ricucci alla nuova moglie.

Nell’aria tiepida della sera galleggiano le note languide di un pianoforte a coda e la voce roca e sensuale della cantante soul Elsa Poppin. Si balla, si brinda, si posa per altre foto. E a mezzanotte, visibile da Capalbio fino a Montecristo, una pioggia di fuochi d’artificio da lasciare senza fiato, esplosi dall’acqua, come colonna sonora la Gazza Ladra di Rossini, l’ouverture. «L’unica megalomania che mi sono concessa», racconta la sposa.

Ha curato tutto lei, con precisione maniacale: preparativi durati tre mesi, nella massima segretezza. Le fedi le ha volute in oro bianco, di una nota gioielleria parigina. Come pegno di fidanzamento Ricucci si era offerto di comprare all’asta un anello tempestato di diamanti appartenuto a Marilyn Monroe, ma lei non ne ha voluto sapere, forse per scaramanzia. «No grazie, è usato». E così le è arrivato in dono un magnifico rubino nuovo di zecca, consegnato assieme a un fascio di cento rose cento, rosse naturalmente, alte un metro e mezzo. Da ex ragazzo povero, gli è sempre piaciuto sorprenderla con gesti teatrali e doni dispendiosi, andarla a prendere in Ferrari, portarla su aerei privati con le poltrone di pelle bianca. Anche se lui la conquistò, racconta l’interessata, regalandole a sorpresa un aspirapolvere modello Folletto.

Da quel giorno, fra molti alti e bassi, sono passati più di quattro anni. Quattro anni in cui la Falchi, formidabile esternatrice, ha costantemente cercato di accreditare la figura di un Ricucci uomo di classe dalle grandi qualità, molto diverso dall’immobiliarista d’assalto tenuto ai margini dal capitalismo chic, snobbato dal salotto buono della finanza. «Ricucci chi?», come chiese Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, a chi gli domandava notizie del nuovo socio. Un’ascesa irresistibile, la sua, dal laboratorio odontotecnico Smile alla poltrona per la relazione annuale di Antonio Fazio, dalle angustie degli esordi fino a essere, oggi, il primo azionista della Rcs. «Sono il figlio di un tranviere che da quando aveva 14 anni lavora senza l’aiuto di nessuno, sono un uomo del popolo», ripete lui, il più furbo fra i furbetti del quartierino nelle sue spericolate operazioni finanziarie: «In Italia è un reato se non hai il doppio cognome, e io mi chiamo Ricucci».

A ogni pubblica uscita Anna Falchi continua a parlare di lui come di un adone e del più elegante fra i lord. «Amore, gli dico sempre, quanto sei superchic, dopo Gianni Agnelli, l’erede è Ricucci.» E ancora: «Stefano è il più grande gentleman che ho mai incontrato, mi ha conquistato con le sue premure. È estremamente divertente, con quell’accento romano e la battuta pronta, sembra il figlio di Alberto Sordi, è un mattatore, non ci si annoia mai con lui, ed è un genio della matematica». Lo vede bellissimo: «Solo che non è telegenico, ma di telegenici in famiglia ne basta uno...».

Non ci sono mezze misure: «Amo tutto di lui, è affascinante, è gentile, è buono, è infaticabile. Amo suo figlio Edoardo come se fosse mio. Stefano è un uomo straordinario e soprattutto unico. Se oggi chiudessi gli occhi continuerei a sognare di incontrarlo. Ha personalità, ha carisma, spicca dalla massa. Anch’io come lui vengo da zero, anch’io sono nata povera, anch’io mi sono inventata la vita. Abbiamo gli stessi principi, gli stessi gusti, le stesse ambizioni». Lei lo ha soprannominato Gastone, «perché ha fortuna e trasforma in oro tutto quello che tocca, e io sono la sua Cenerentola». Un misto fra Gastone e re Mida.

Per lui e grazie a lui ha mutato pelle; per lo meno ci ha provato, fondando due anni fa una sua piccola casa di produzione cinematografica. «Non mi spoglio più. Ho già dato. Dopo cinque calendari ho chiuso.» Uno si intitolava La bella e le bestie. All’inizio della carriera era stata salutata come la nuova BB, ma i film che ha girato, da Bodyguards a Paparazzi, non vennero considerati capolavori. A Sanremo fece arrossire Pippo Baudo con una filastrocca in finlandese che suonava come una maliziosa cantilena di volgarità e doppi sensi in italiano. Quando la Lazio vinse lo scudetto non esitò a improvvisare uno spogliarello allo stadio Olimpico né a sfilarsi gli slip in uno studio televisivo e a consegnarli nelle mani del comico Daniele Luttazzi. «Tenetela lontana dai bambini, è sempre nuda!», aveva tuonato don Mazzi.

Da bomba sexy a vera signora la strada è in salita. Nel primo film che ha finalmente prodotto, Nessun messaggio in segreteria, fa la parte di una spogliarellista ma è sempre vestitissima dalla prima all’ultima scena: «Voglio diventare l’erede di Monica Vitti, e non una velina invecchiata». Si è messa a studiare canto, dizione, recitazione, persino storia del cinema, si è iscritta alla non impervia Clayton University di San Marino e in due anni ha preso una laurea breve in letteratura, indirizzo artistico, lo stesso ateneo che ha laureato Ricucci.

Preparandosi a diventare lady Finanza, appellativo che comprensibilmente detesta, ha scelto di cancellare la memoria di fidanzati pregressi come Fiorello e Max Biaggi: «Amori di plastica che oggi rinnego». In questa romantica notte di luglio ha inizio per lei una nuova esistenza: «Dopo il sì tutto cambia. Ci si appartiene, si diventa un’unica cosa. Anche se non ci siamo potuti sposare in chiesa ne sono certa: il nostro sarà un matrimonio indissolubile. È arrivato il momento di fare sul serio. Lo sento: sarà per la vita».
Laura Laurenzi