Rassegna, 2 ottobre 2012
Addio a Shlomo Venezia, voce della Shoah
• Shlomo Venezia, ebreo catturato a Salonicco nel ’44 e trasportato ad Auschwitz con tutta la famiglia, è morto ieri mattina, a 88 anni. Ricorda su Rep Brera: «Era scampato allo sterminio “per caso”, ma portava sull’anima un peso che piegherebbe le gambe a chiunque. Appena arrivati sul treno galera alla Judenrampe, la banchina su cui venivano fatti scendere gli ebrei, “mi attardai per aiutare mia madre a scendere e un soldato mi colpì due volte, allontanandomi. Fu l’ultima volta che vidi lei e le mie due sorelline, Marika e Marta”. Quasi tutti vennero spediti direttamente alla camera a gas, Shlomo si salvò perché aveva 20 anni, era forte e i nazisti lo reclutarono nel Sonderkommando: addetto al “Krematorium 2”, il grande forno in cui “facevamo i turni dalle 8 alle 20, o dalle 20 alle 8, e cremavamo tra 550 e 600 ebrei al giorno”. È stato uno dei pochissimi al mondo a sopravvivere al Sonderkommando, perché i nazisti non lasciavano testimoni. Ma per tanti anni non era riuscito neppure a raccontarla, la sua storia terribile: tagliava i capelli alle donne davanti alle camere a gas, poi raccoglieva i corpi e li portava alla pira nel grande forno crematorio».
• Lowenthal (Sta): «Per decenni il tormento ha costretto al silenzio anche Shlomo Venezia. Insieme alla moglie mandava avanti un negozietto di souvenir per turisti a Roma. All’inizio degli anni 90 ha cominciato a testimoniare e da allora l’ha fatto con tenacia e schiettezza, senza negare a chi lo ascoltava nulla dell’orrore che aveva vissuto. Raccontava l’inferno nel modo più diretto possibile e così aveva fatto anche per Roberto Benigni, che l’ha avuto come consulente preparando il suo film La vita è bella. Da allora Venezia era stato nelle scuole, aveva testimoniato in pubblico, alla televisione. Parlava con una forza sconcertante, con un’energia vitale che rendeva ancor più obbrobrioso il confronto con la morte di massa di cui raccontava. È stato un testimone unico non solo perché veniva da quel buco nero dell’inferno, non solo perché lui dentro le camere a gas e nel forno crematorio ci era entrato migliaia di volte: anche per il coraggio di una parola franca, vibrante, senza eufemismi. Nel 2007 ha messo per iscritto la sua testimonianza in un libro intitolato Sonderkommando Auschwitz e pubblicato da Rizzoli».