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 1975  ottobre 01 Mercoledì calendario

Dal Territorio Libero alla spartizione

Corriere della Sera, 1 ottobre 1975

Il dibattito che comincia oggi in parlamento sulla rinuncia giuridica alla zona B riaprirà per qualche giorno le vecchie e dimenticate ferite della guerra e dei territori perduti. Riascolteremo invettive e lamentanzioni, rimpianti e fantasticherie. È utile perciò ricordar ere alcuni fatti fondamentali, storicamente incontestabili, per comprendere le reale portata della disputa che sta per chiudersi.

Alla Conferenza della pace di Parigi, nel 1916, le potenze vincitrici si accordarono per cedere alla Jugoslavia una larga parte della regione giuliana, comprendente città come Pola, Rovigno, Dignano, Parenzo, Fiume e il capoluogo dalmata Zara. La decisione fu accettata dal nostro governo con la firma del tratato di pace il 10 febbraio 1917. I profughi giuliani e istriani di cui oggi tanto si parla provengono dal 90% da quelle terre. Il loro destino di esuli fu segnato irrevocabilmente ventotto anni fa e non può subire modifiche, né in meglio né in peggio, dalla definizione dello status sella Zona B, che è soltanto un angolo dell’Istria, con dodici Comuni, in cui vivevano circa 30 mila tra sloveni e croati, 35 mila dei quali si calcola che si siano trasferiti in Italia. Sono questi i profughi direttamente e personalmente coinvolti nell’epilogo della vicenda.

La Conferenza della pace non riuscì a risolvere la controversia territoriale silla sorte di Trieste e della fascia istriana fino a Cittanova. Le tre potenze occidentali suggerirono varie linee di confine, più o meno favorevoli all’Italia, ma l’unione Sovietica proponeva di dare tutto alla Jugoslavia, fino alle porte di Udine. In quel momenti, Stalin e Tito agivano di concerto. Alla fine fu escogitata una strana soluzione: il territorio contestato non veniva assegnato né all’Italia né alla Jugoslavia, ma era destinato a costituire il cosiddetto Territorio Libero di Trieste (TLT), uno Stato indipendente e sovrano sotto l’egida dell’ONU. C’è da dire che mentre i diplomatici discutevano, il territorio in questione era già diviso da una occupazione militare: gli anglo-americani a Trieste (zona A) e gli jugoslavi nella fascia istriana (zona B).

Il Territorio Libero di Trieste rimase un fantasma di carta. Se la nuova entità statuale fosse nata, abitata come era da quasi 780 mila italiani (i triestini più gli italiani della zona B) contro 75 mila slavi, sarebbe stata una creatura comunque strettamente legata all’Italia. Ad ogni modo, le trattative per la nomina di un governatore si arenarono presto. In attesa di un accordo, continuò occupazione militare: anglo-americani da una parte e jugoslavi dall’altra. Nella Zona B, il regime comunista jugoslavo cominciò ad estendere il suo dominio, con le leggi, il sistema scolastico, l’ordinamento amministrativo.

La provvisorietà, nonostante la passione degli irredenti, tendeva a congelarsi. Nel frattempo s’erano capovolti gli schieramenti internazionali intorno all’intricata vicenda: l’Unione Sovietica, dopo la rottura con Tito, non appoggiava più le proteste jugoslave, e a loro volta le potenze occidentali per incoraggiare il neutralismo di Belgrado, davano ora meno ascolto alle rivendicazioni italiane.

In questo clima si giunse al famoso memorandum di Londra, firmato il 5 ottobre 1954 da Italia, Jugoslavia, Gran Bretagna e Stati Uniti. L’accodo smantellava definitivamente il progetto del Territorio Libero di Trieste e poneva dine all’occupazione militare assegnando le due zone rispettivamente all’amministrazione civile dell’Italia (zona A) e della Jugoslavia (zona B). Il testo dell’accordo parlava di soluzione “provvisoria” e di “misure di carattere pratico”, ma si capì subito che era l’abbozzo mascherato di una spartizione che il tempo e la saggezza dei due governi avrebbero dovuto prima o poi formalmente suggellare. Tanto è vero che  da qul momento gran Bretagna e Stati Uniti si comportarono come se la questione non li riguardasse più e oggi si pone addirittura il quesito sel ele duie ex potenze occupanti (come anche gli altri governi firmatari del trattato di pace) debbano essere consultati o almeno informati della conclusione del negoziato tra Roma e Belgrado.

Dal 1954 ad oggi, nello status della zona B, nella è cambiato. Ma il tempo ha vanificato le stesse ragioni giuridiche. I due governi hanno completato l’opera di spartizione: la Jugoslavia ha annesso di fatto la Zona B, compiendovi tutti gli atti di sovranità che voleva, e l’Italia ha fatto altrettanto con Trieste, considerandola a tutti i gli effetti ina città italiana come le altre. Di tanto in tanto – spesso per raginoi di politica interna – la polemica si è riaccesa, ma nel contempo – da almeno diciotto anni – le due diplomazie trattavano la definizione finale della disputa.

Se nulla è cambiato in trenta anni, nulla cambierà neppure dopo la firma di un accordo. A che serve, allora, la nostra rinunzia formale di sovranità? Chi vi si oppone mostra in cuor suo di sperare che dopo la morte di Tito la Jugoslavia si sfasci e, approfittando del trambusto, l’Italia si riprenda i dodici comuni della zona B e, chissà, a che qualcos’altro a cui giuridicamente non avrebbe più diritto. Chi invece ha voluto l’accordo ritiene che l’Italia abbia tutto l’interesse a che la Jugoslavia non si sfasci. Per quel che può valere, la nostra rinuncia giuridica è anzi il prezzo che paghiamo per aiutare la Jugoslavia a restare quella che è, uno Stato indipendente e neutrale.

Gaetano Scardocchia