La Gazzetta dello Sport, 15 settembre 2012
Il Papa è a Beirut, per una visita pastorale prevista da tempo, e questo rende ancora più palpitante il quadro mediorientale, devastato anche ieri da assalti, cortei, sassaiole, spari di migliaia di musulmani offesi dal filmetto californiano
Il Papa è a Beirut, per una visita pastorale prevista da tempo, e questo rende ancora più palpitante il quadro mediorientale, devastato anche ieri da assalti, cortei, sassaiole, spari di migliaia di musulmani offesi dal filmetto californiano. Ci sono stati tre morti in Sudan e un morto nella Tripoli libanese, i diplomatici Usa sono dovuti scappare da Tunisi, dove i manifestanti hanno occupato l’ambasciata e dato fuoco alla scuola americana della capitale (cinque feriti), gli scontri presso l’ambasciata statunitense e nella piazza della moschea Omar Makram registrano per ora undici feriti, mentre scriviamo la polizia sta sparando lacrimogeni sulla folla per convincerla ad allontanarsi dall’ambasciata. In Yemen migliaia di manifestanti hanno puntato le sedi rappresentanza occidentali. Sta arrivando una nave di marines, ma intanto anche in Siria la guerra civile s’è interrotta a un tratto per permettere un sit-in a Damasco. Nel Kashmir e a Madras la polizia ha arrestato 85 manifestanti, cortei sono in corso in Nigeria, Giordania, Pakistan e Marocco, c’è timore anche in Europa, a Milano il consolato americano è circondato da camionette di polizia e carabinieri, in generale le ambasciate occidentali sono tutte in allerta. In America sono arrivate ai centralini di tre università telefonate anonime, annuncianti bombe e stragi: al telefono di Austin nel Texas un uomo con l’accento mediorientale ha detto: «ho sparpagliato esplosivi per tutto il campus», intanto a Fargo, nel North Dakota, un altro tizio avvertiva del pericolo quasi con le stesse parole e un’ora dopo terza chiamata anonima per l’università di Valparaiso, un istituto luterano dell’Indiana. Tutti falsi allarmi, ma lo sgombero in Texas e North Dakota ha comportato l’evacuazione di 60 mila persone.
• Gli incidenti più gravi, mi pare, in Sudan e Libano.
Sì, in Sudan i manifestanti hanno preso d’assalto l’ambasciata britannica di Khartoum e hanno sfondato il cordone che proteggeva la sede diplomatica tedesca issando una bandiera islamica sul tetto e dando poi fuoco all’edificio. Il ministro Westerwelle ha dichiarato che il personale è illeso. Il tentativo di occupare poi l’ambasciata Usa, messo in essere da diecimila persone, è andato a vuoto. È in questa fase che la polizia ha caricato e ucciso tre persone. A Tripoli del Libano 300 fondamentalisti hanno attaccato un Kentucky Fried Chicken, proprio all’ora in cui il papa atterrava a Beirut. Anche qui, il morto è uno dei dimostranti. Le faccio questo resoconto scusandomi per l’incertezza e la vaghezza di quanto riferisco. Siamo tutti appesi a quanto ci fanno sapere i corrispondenti che si trovano in quei paesi per conto di agenzie, siti o televisioni.
• Il papa corre rischi?
Temo che dei rischi li corra. Oggi ci sarà il viaggio alla nunziatura apostolica di Harissa, a 37 chilometri da Beirut, dove pranzerà. Nel pomeriggio visita alla basilica greco-malkita di St Paul, dove firmerà l’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente. In aereo Benedetto XVI ha parlato con i giornalisti, e ha detto di non aver mai pensato di rinunciare. Nessuno glielo ha nemmeno consigliato. Anzi: «So che se la situazione diventa più complicata diventa ancora più necessario dare questo segno di fraternità, di incoraggiamento, di solidarietà. Dunque, questo è il senso del mio viaggio: invitare al dialogo, invitare alla pace, contro la violenza, andare insieme per trovare la soluzione dei problemi». All’aeroporto sono andati ad accoglierlo, oltre al presidente della repubblica Michel Suleiman, di fede cattolico maronita, il premier Mikati, musulmano sunnita, e il presidente della Camera Berri, musulmano sciita. C’erano anche tutti i patriarchi e vescovi del Libano, e personalità ortodosse e islamiche. Siamo obbligati a interpretare questo schieramento come la manifestazione concreta di una volontà di dialogo. Qualunque cosa stia accadendo.
• Non è assurdo questo furore per un trailer di 14 minuti?
Guardando la mappa delle manifestazioni di ieri si scopre che sono in corso rivolte in Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Sudan, Turchia, Siria, Irak, Arabia Saudita, Iran, Pakistan, Myanmar (Birmania). La cosa, per noi, è inconcepibile. Per loro è assurdo che questa cosa sia stata fatta e messa in rete all’insaputa dei governi. Quindi sono imputate in prima persona le istituzioni di ciascun paese. È vero che il cerino è stato buttato su un enorme giacimento di odio per gli americani, come mostra l’assalto al fast-food fi Tripoli, ma le ricordo che le vignette di sei anni fa erano state concepite in Danimarca e diedero luogo a reazioni simili. Quindi è messo in mezzo tutto l’Occidente. Rispetto a sei anni fa, però, si intravede, dietro i cortei e gli assalti, un disegno complessivo che punta a radicalizzare la posizione americana favorendo la vittoria del falco Romney e a spingere giù nel baratro dell’attacco all’Iran Israele. I salafiti e gli altri vogliono la guerra.
• E l’Egitto? Che mi dice della presenza di Morsi a Roma?
Il presidente egiziano è andato a pregare nella moschea della capitale. Ha detto: «Perdono, giustizia, sicurezza, pace». Poi: «Diciamo a questa minoranza che sta cercando di rovinare i rapporti tra i popoli che commette crimini contro la nostra fede e il nostro creedo e il credo degli altri». Ha però anche evocato il rispetto per i valori della sua gente.
• Che è venuto a fare a Roma?
Sta cercando soldi. Il Fondo monetario ha calcolato che se l’Egitto non trova alla svelta nove miliardi di euro, andrà in default. Li troverà di sicuro: i cinesi hanno già 200 milioni in mano, gli americani vogliono saldargli l’intero debito pubblico, ecc.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 15 settembre 2012]