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 2012  luglio 27 Venerdì calendario

La carriera di Loris D’Ambrosio

• Grignetti sulla Stampa ripercorre la carriera di Loris D’Ambrosio: «Una prima impennata nel 1980, quando i terroristi neofascisti dei Nar ammazzano come un cane il suo collega Mario Amato. La procura di Roma si rende conto d’improvviso che il terrorismo nero è una minaccia seria e il giovane D’Ambrosio si ritrova a indagare sugli ambienti dell’estremismo di destra. Trascorsi alcuni anni, sgominati i Nar, incrociate nelle inchieste la Banda della Magliana e le avanguardie mafiose nella Capitale, il giudice D’Ambrosio viene chiamato dal famosissimo Domenico Sica all’Alto commissariato antimafia. E’ il 1989. Sica si fa affiancare da tre magistrati di riconosciuto valore: D’Ambrosio, appunto; e poi Ciccio Misiani, un altro pm romano, e il milanese Frank Di Maggio. (…) Il 5 maggio 1992 Loris D’Ambrosio è ancora sotto i riflettori. Mai avrebbe voluto. Nel frattempo l’Alto commissariato era stato sciolto e lui era approdato al ministero della Giustizia come braccio destro di Giovanni Falcone, voluto a Roma dall’allora ministro Claudio Martelli. Quel giorno si tengono i funerali di Falcone, ucciso con la moglie e la scorta in un attentato a Palermo. Promette sulla bara dell’amico ucciso di dare corpo al suo sogno. E così nasce la Direzione nazionale antimafia, di cui D’Ambrosio è il papà legislativo. Nel pieno di Tangentopoli D’Ambrosio viene chiamato dal nuovo ministro della Giustizia, il professor Giovanni Conso, a fargli da capo di gabinetto. (…) È il principale collaboratore ancora del ministro Flick, e poi di Oliviero Diliberto. Nel 2001, con l’arrivo del centrodestra, chiede di rientrare nei ranghi della magistratura e finisce in Cassazione. Ma già un’altra stagione professionale si avvicina. Carlo Azeglio Ciampi, che ha avuto modo di apprezzare D’Ambrosio quando è stato premier, lo chiama come suo consigliere giuridico al Quirinale».

• «(…) Sabato 16 giugno, in prima pagina con grande rilievo, Il Fatto Quotidiano rivela per la prima volta l’esistenza di una corposa indagine sulla trattativa Stato-mafia del ’92-93 e lo fa con un titolo (“I misteri del Quirinale”) un’intervista al consigliere giuridico di Giorgio Napolitano e un editoriale di Marco Travaglio (“Moral dissuasion”), che danno subito l’impronta a quella che diventerà nei successivi 40 giorni una campagna fatta di scavo giornalistico, di domande taglienti su quelli che vengono ritenuti “buchi neri” della vicenda ma anche di giudizi lapidari sul Presidente della Repubblica e su Loris D’Ambrosio. Scrive quel giorno Travaglio: “Il triangolo telefonico Mancino-D’Ambrosio (Napolitano)-Messineo fa finalmente giustizia della pubblicistica oleografica che dipinge lo Stato da una parte e la mafia dall’altra”. E quanto a D’Ambrosio, per connotarlo, si scrive che è stato “membro del discusso Alto Commissariato Antimafia ai tempi di Sica”, ma dimenticando la collaborazione con Giovanni Falcone». [Martini, Sta]

• Alla fine del suo pezzo su Rep Bolzoni si chiede: «Ma che sta accadendo qui in Italia, fra Palermo e Roma? Perché su questa storia della trattativa si sta lacerando il Paese e si va forse verso un vero e proprio corto circuito istituzionale »? La notizia della morte del consigliere giuridico della Presidenza della Repubblica arriva poche ore dopo il via libera del Csm alla missione del procuratore Antonio Ingroia in Guatemala, l’organo di autogoverno della magistratura che si è spaccato per il suo incarico all’Onu per combattere contro il narcotraffico. E poche ore dopo l’apertura di un’inchiesta dello stesso Consiglio Superiore della Magistratura contro il procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato, “colpevole” di un emozionante ricordo di Paolo Borsellino il 19 luglio, dove Scarpinato ha ricordato il suo disagio “nel vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra la negazione dei valori di giustizia e legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere”».