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 2012  luglio 16 Lunedì calendario

Il nuovo ministro dell’Economia, Vittorio Grilli (subentrato allo stesso Mario Monti), ha concesso la sua prima intervista al direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio de Bortoli

Il nuovo ministro dell’Economia, Vittorio Grilli (subentrato allo stesso Mario Monti), ha concesso la sua prima intervista al direttore del “Corriere della Sera”, Ferruccio de Bortoli. Un testo pieno di spunti interessanti e particolarmente stimolante quando i due cominciano a parlare della possibilità di vendere patrimonio pubblico per fare cassa e diminuire il debito.

 

Ci conviene? Siamo sicuri? Il momento, con i prezzi così giù, non è sbagliato?

Grilli ipotizza di vendere poco per volta, e forse non proprio tutto. Il problema è questo: il nostro debito è adesso al 123% del Pil e le stime lo dànno in crescita, sempre in rapporto al Pil, almeno fino al 2014. Quest’anno pagheremo di interessi (stima contenuta nel Def, Documento economico-finanziario del ministero) 84,2 miliardi e se lo spread non scenderà dovremo tirar fuori 88,4 miliardi nel 2013 e quasi cento miliardi nel 2014. Questo aumento è facilmente spiegabile: man mano che scadono i vecchi titoli italiani, quelli caricati di interessi più bassi, ci restano sul groppone i titoli venduti per ultimi, cioè quelli dai rendimenti più alti. Le dico questo anche se Grilli, rispondendo a De Bortoli, ha sottolineato che «prima i rendimenti a breve termine erano superiori a quelli a lungo termine, oggi accade il contrario. I tassi a breve sono più bassi di quelli a lunga».

Mi sto perdendo.

Significa che sul debito che scade subito – fra tre mesi o fra un anno – pago meno, e questo è un vantaggio. Però Grilli ha aggiunto: «Sono comunque troppo alti anche questi».

Dunque?

Dunque, il vero problema è il debito e gli esborsi per interesse a cui ci costringe. Per gli interessi una strada è lottare per abbassare lo spread, via lunga e complicata, che ci ha fatto vedere la magica quota di 280 punti per troppo poco tempo. Adesso, come sa, oscilliamo intorno ai 480 e non va bene (più di 80 miliardi l’anno, appunto, e puntando purtroppo ai 90). L’altra via è quella di incidere la base su cui si calcola questo interesse, cioè il debito in sé. Qui una via è vendere, e destinare i proventi della vendita all’abbattimento del debito. Tra l’altro i mercati, vedendo che stiamo seriamente lottando contro il debito, smetterebbero forse di dar via i nostri titoli, con vantaggio anche sullo spread. Come vendere, però? Perché buttare sul mercato tutto quello che abbiamo è insensato per due motivi: primo, vendendo a piene mani si deprimono i prezzi; secondo, in ogni caso il momento è disgraziato e i prezzi stanno giù. Quindi, l’idea: vendere a blocchi dell’1 per cento l’anno e farsi comprare gli asset dalla Cassa depositi e prestiti.

• La Cassa depositi e prestiti non è pubblica? Che trucco è? Ci passiamo la roba dalla mano destra alla mano sinistra?

Beh, è una bella domanda. Tecnicamente la Cassa depositi e prestiti (chiamiamola Cdp) è considerata esterna al perimetro pubblico. I suoi debiti – per dire – non vengono calcolati nell’indebitamento italiano. I suoi interventi non sono considerati aiuti di Stato. Lo Stato, del resto, la possiede al 70 per cento, mentre le analoghe tedesca e francese (Kreditanstalt für Wiederaufbau, cioè KfW, e Caisse des Dépots) sono possedute dallo Stato al cento per cento. Il presidente della Cdp, Franco Bassanini, se fosse qui a chiacchierare con noi le spiegherebbe che Cdp non è pubblica perché non amministra denaro pubblico ma il denaro dei 25 milioni di risparmiatori che mettono i loro soldi nei conti correnti postali.

Se non ci fosse il trucco sotto non ci sarebbe voluta tutta questa lunga spiegazione…

Francesi e tedeschi hanno scaricato un sacco di loro problemi sulle rispettive Casse depositi. Perché non dovremmo fare lo stesso? Grilli ha ragione. La Cdp, magari prendendo in prestito i soldi dalla Bce all’1% (Bassanini non lo ammetterà mai, ma lo hanno fatto, e a quanto pare per 20 miliardi), potrebbe comprarsi asset pubblici italiani al giusto prezzo, tenerseli in pancia e poi rivenderli, magari, quando giungessero tempi migliori. A colpi dell’1% cento l’anno, cioè facendo sborsare alla Cassa una ventina di miliardi tutte le volte, si avrebbe una riduzione del debito di un quinto in cinque anni. Ci sarebbe un effetto positivo anche sullo spread. Badi che l’idea non è nuova. Il primo a immaginare operazioni sul debito adoperando il patrimonio pubblico fu il professor Giuseppe Guarino che nel 2006 illustrò al Senato la creazione di una Debiti spa in cui mettere beni per 465 miliardi e da piazzare poi in Borsa. Il debito pubblico si sarebbe ridotto a un migliaio di miliardi (in quel momento 75% del Pil), gli interessi da pagare sarebbero stati tagliati nettamente. Guarino, quando Veltroni fece capire che la cosa gli piaceva, spiegò: «La parte del debito pubblico superiore al 60% (quota che secondo le regole di Maastricht non dovrebbe essere superata) comporta per l’Italia un esborso per interessi di circa 30 miliardi di euro l’anno (oggi di quasi 45 – ndr); metà della somma va all’estero e senza questa spesa vi sarebbero ogni anno circa 30 miliardi da destinare all’economia (di nuovo: 45 – ndr). Inversamente, fino a quando il peso degli interessi sulla quota del debito che supera il 60% non verrà azzerata, mancheranno risorse per qualsiasi cosa, si litigherà per aver qualcosa di più, ma resteranno tutti con un pugno di mosche».


[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 16 luglio 2012]