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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Claudio Abbado

• Milano 26 giugno 1933 – Bologna 20 gennaio 2014. Direttore d’orchestra. Senatore a vita (nominato da Giorgio Napolitano il 30 agosto 2013). «Fa suonare i fortissimo con un piccolo gesto» (Robin Ticciati).
Vita Terzo figlio del violinista Michelangelo (1900-1979). La mamma Maria Carmela detta Linuzza («grassa, simpatica, allegra» ha raccontato a Dacia Maraini) scriveva favole: «Era una vera incantatrice, fantasiosa e generosissima. Sapeva tante novelle siciliane e persiane, imparate da suo padre», Guglielmo Savagnone (1867-1956), «piccolo piccolo, bianco, occhi celesti di normanno» (insegnava Diritto ecclesiastico, esimio papirologo, ogni sette anni imparava una lingua nuova). «Mia madre, che fu donna di generosità meravigliosa, Fece scappare vari partigiani durante la guerra e riuscì a far passare in Svizzera molti ebrei. Tanti sono tornati a ringraziarla, nel dopoguerra» (a Leonetta Bentivoglio).
• Ha scritto Gianandrea Gavazzeni in Le mogli dei musicisti: «Maria Carmela, la più perfetta moglie di musicista che esista nei tempi nostri: nata due secoli prima avrebbe potuto diventare Anna Maddalena Bach senza mutar nulla di sé». Fu lei a trasmettere i primi rudimenti di tecnica al figlio.
• Scelse di diventare musicista che aveva appena cominciato ad andare a scuola: «Facevo il liceo e parallelamente studiavo musica: composizione, pianoforte, direzione d’orchestra… Alle due di notte mio padre non mi lasciava andare a letto se non avevo terminato tutto. Grazie a lui ho imparato che le cose cominciate vanno concluse e non rinviate». Sandro Cappelletto: «Entrò alla Scala per la prima volta a sette anni. Arrampicarsi fino al loggione e da lassù, circondato dall’immensità di quel teatro sporgersi fino a vedere “Antonio Guarnieri, un uomo piccolissimo che stava facendo meravigliosamente suonare l’orchestra”. I bambini sono capaci di sentimenti e decisioni assolute; spesso restano desideri, o diventano frustrazioni, talvolta si realizzano. Quel giorno, Abbado decise di diventare direttore».
• «Ascoltando alla Scala i Notturni di Debussy, scoprii il mio sogno, che non era di fare il direttore ma di poter un giorno ricreare quella magia. Studiavo musica ed ero così entusiasta da scrivere sui muri “Viva Bartók”. La cosa mise in allarme la Gestapo, che cercava qualcuno con un nome analogo. Vennero a casa mia e io bimbetto dovetti spiegare l’equivoco mostrando loro la partitura. Qualcosa di analogo accadde molti anni dopo: quand’ero direttore musicale della Scala qualcuno a cui le mie idee innovative non andavano a genio, mi denunciò sostenendo che avevo conti all’estero. Per due volte la finanza venne a perquisire tutto. Invano. Un giorno mi convocarono: abbiamo trovato i conti, dissero. Sono a Kassel, in Germania. E tirarono fuori una lettera su cui erano notati K. 136, K. 642... Per loro la prova. Per me il catalogo Köchel delle opere di Mozart. Tirai fuori i dischi con in copertina proprio quei numeri. Sono i conti di Mozart non i miei, spiegai».
• Tra i 10 e i 20 anni, l’età dell’ascolto ma anche della lettura divorante dei grandi romanzi russi. Il fratello Marcello (vedi): «Io ho sette anni più di lui e sono stato il suo maestro di pianoforte. Ha studiato con me cinque anni e poi è entrato in Conservatorio. Come pianista era bravissimo. All’inizio degli anni Cinquanta, a Parigi, nella Sala Gaveau, mio padre, Claudio ed io ci siamo alternati come solisti in concerti di Bach, ciascuno suonando e dirigendo contemporaneamente. Alla fine, io e Claudio ci siamo esibiti nel Concerto in do minore per due pianoforti di Bach. Una serata memorabile».
• «Tra i 20 e i 30 il momento della scelta. Difficile perché a quell’età uno vorrebbe tutto. Io suonavo, componevo, cantavo persino. Con Zubin Mehta ci infilavamo nel coro del Musikverein di Vienna per ascoltare le prove di Bruno Walter e di Karajan, allora quasi sempre chiuse. In quel periodo mi sono anche sposato, sono nati i miei due primi figli. Tra i 30 e i 40, la Scala, dove ho aperto le porte a molti compositori contemporanei, da Luigi Nono a Stockhausen, Luciano Berio, Sylvano Bussotti, Penderecki. E tante prime esecuzioni, Schubert, Bruckner, la Terza di Mahler... Aprire vie nuove mi ha sempre entusiasmato. Ho cercato di farlo anche negli anni successivi, a Vienna, a Londra, a Berlino».
• Studi al Conservatorio di Milano, con Antonino Votto, poi a Vienna con Hans Swarowsky. Debutto alla Scala nel 1960, vincitore del Concorso Mitropoulos di New York nel 1963, quindi invitato da Karajan per un concerto a Salisburgo, dove scelse la Seconda Sinfonia di Gustav Mahler. Nel 1968 fu nominato direttore principale dell’Orchestra della Scala: era sul podio per il Don Carlos la famosa sera del 7 dicembre 1968, quando le signore in pelliccia vennero bersagliate di uova marce dagli studenti guidati da Mario Capanna.
• Nel 1982 fondò, con Ernesto Schiavi, la Filarmonica della Scala, dando seguito a un’idea, nata durante una cena in Giappone, di «un’orchestra indipendente, in grado di proporre un repertorio sinfonico nel tempio della lirica e portarlo nel mondo» (Maria Serena Natale). Restò alla Scala fino all’86, quando diventò direttore musicale dell’Opera di Vienna. Nella capitale austriaca creò Wien Modern, un festival dedicato alla creazione contemporanea, una passione costante della sua attività direttoriale. Tre anni dopo, i Berliner Philharmoniker lo chiamarono a dirigere un’orchestra guidata, prima di lui, da Wilhelm Furtwängler e Herbert Von Karajan. Nel 2002, annunciando l’addio ai Berliner («Non ho raggiunto tutto, è uno dei motivi per cui me ne vado»), ha raccontato: «Al mio arrivo si era posto il problema di una certa uniformità di suono ereditata da Karajan. Grandissima personalità. Ma quel suo suono caldo e bellissimo, ideale per la musica romantica, finiva per riguardare tutto, dal barocco al contemporaneo». Ultimo concerto con i Berliner seguito dal lancio di quattromila fiori e da trenta minuti di applausi.
• Ha sempre esaltato la gioia del suonare insieme, al punto che Bergman s’ispirò a lui quando in Sarabande, il suo ultimo film, raccontò la storia di una giovane violoncellista che rinuncia alla carriera di solista per entrare in un’orchestra. Il fratello Marcello (vedi): «Il maestro Gianandrea Gavazzeni, in un suo libro, ha scritto che la nostra casa “era la più sonora scatola musicale di Milano”. Ricordo che un giorno una vicina si lamentò con mia madre perché suonavamo troppo, e mia madre le rispose: “Non si preoccupi, signora, stia tranquilla, vedrà che sarà sempre peggio”».
• Restò alla Scala fino al 1986. La sua ultima prima (Carmen, nel 1984) è rimasta famosa perché Shirley Verrett fu beccata dal pubblico dopo le prime due arie, concluse l’esibizione piangendo e non tornò mai più alla Scala.
• Discografia molto selettiva. Da segnalare: Le nove Sinfonie di Beethoven registrate con i Berliner; Tutte le sinfonie di Gustav Mahler (Wiener, Berliner); Wozzeck di Alban Berg (con i Wiener e il soprano Hildegard Behrens); Viaggio a Reims e Cenerentola di Gioacchino Rossini; Simon Boccanegra e Macbeth di Giuseppe Verdi; Don Giovanni e Il flauto magico di Mozart.
• Nel 2007 ha avuto un cancro di cui parlava apertamente. «Mi hanno operato allo stomaco e me ne hanno tolto una buona parte. Di conseguenza sono costretto a una dieta ferrea. Ho sofferto e ho lottato con tutte le mie forze. Come sempre però dal male può nascere qualcosa di buono. A cominciare dai piccoli piaceri del palato, acuito e sensibilizzato come non mai dalla necessità di dosare e selezionare il cibo». «Ho sempre un assistente con me, se non dovessi farcela sa che dovrà dirigere lui. Se non vado in certe città, è perché non posso dirigere più come prima, devo limitare le scelte: l’importante è far bene musica, il pubblico può spostarsi».
• Padre del regista Daniele e fratello del violinista Marcello. «Amo certi amici e nutro amore per i figli. A Daniele, il maggiore, che fa il regista, mi unisce un’autentica amicizia. Abbiamo un rapporto libero e aperto. L’amicizia e l’affetto sono una cosa sola sia con mia figlia Alessandra, sia con Sebastian che fa l’architetto a Londra e sia con Misha, il più giovane, che vive tra Londra e Cambridge. Suona il corno e il pianoforte, oltre al basso elettrico in un gruppo rock, e frequenta l’università. Un gentleman versatile» (Leonetta Bentivoglio) [la Repubblica 12/5/2013].
• Viveva tra la casa di Bologna e la villa di Alghero e non intendeva tornare a Milano: «Una città che pensa solo al denaro e niente alla cultura. Degradata, inquinata, dove nessuno sembra preoccuparsi del futuro». «Mi piace camminare in Engadina, una valle a duemila metri d’altezza, luogo incontaminato che ritrovo ogni anno. Quanto alla Sardegna nove ettari di costa, di fronte a casa mia, sono diventati un parco naturale. Li strappai alla speculazione alcuni decenni fa, quando i soliti costruttori stavano per edificare qualche mostruosità edilizia. Vi piantai novemila piante. Ora sono tante, è diventato un bosco fiorito». Passa stabilmente l’inverno in Venezuela («Non posso dirigere con il freddo perché perdo le energie: per questo non abito più in Svizzera, in montagna, dove il ghiacciaio era troppo vicino, ma sto d’inverno in Venezuela, al caldo»), dove lavora preferibilmente con l’orchestra Simon Bolivar. In Venezuela ha scoperto il giovane direttore d’orchestra Gustavo Dudamel (Barquimeto, 26 gennaio 1981), a suo dire «il miglior maestro della sua generazione». Abbado ha raccontato la sua esperienza in Venezuela, condotta insieme con il direttore d’orchestra José Antonio Abreu, nel libro con dvd L’altra voce della musica.
Sulla Scala e su Muti Ogni volta che si è riavvicinato a Milano, le reazioni sono state scomposte. Manuela Grassi: «Magnifica accoglienza nel 1993, quando venne in tournée con i Berliner. Clamorosa rottura nel 1994 con il sovrintendente Carlo Fontana e, indirettamente, con il suo successore Riccardo Muti. Motivo: dopo aver preso accordi per portare in scena l’Elektra di Richard Strauss, si sentì dire che il costo dell’allestimento era troppo alto. Risultato: il maestro giurò di non rimettere più bacchetta alla Scala. Nel dicembre 1998 il nuovo Piccolo Teatro ha in cartellone il Don Giovanni con la regia di Peter Brook che il maestro milanese ha allestito per il festival di Aix-en-Provence. La notizia, non vera, che Abbado in persona dirigerà una o due rappresentazioni suscita emozioni in Comune e alla Scala: non ci possono essere due teatri musicali in competizione!». «C’è, strisciante, mai dichiarata, l’antipatia – o meglio, l’indifferenza – nei confronti dell’altro famoso direttore d’orchestra italiano: Riccardo Muti. Entrambi negano, ma è quasi scritta nelle rispettive filosofie di vita: mitteleuropeo nella cultura, rivolto alle avanguardie culturali il primo, conservatore nei gusti e nel repertorio il secondo; dal gesto direzionale leggero, danzante il milanese, rude e un pochino goffo il meridionale. Abbado due volte sposato, sempre circondato da donne bellissime (come la violinista russa Viktorija Mullova). Riccardo Muti ben deciso a difendere dalle indiscrezioni l’unità familiare» (Riccardo Lenzi). Nel 2009 aveva promesso che avrebbe di nuovo suonato alla Scala se a Milano avessero piantato novantamila alberi: gli alberi non ci sono, ma il 30 ottobre 2012 è tornato per proporre (con la Filarmonica della Scala e l’Orchestra Mozart di Bologna) il Concerto n. 1 di Chopin e la Sinfonia n. 6 Tragica di Mahler. Al pianoforte Daniel Barenboim: un quarto d’ora di applausi, urla e lanci di fiori.
• Critica
«Detesta i clamori e il divismo (forse il lato paterno, piemontese, rigorista, che proviene da Alba). Perché, così ha raccontato a Lidia Bramani in Musica sopra Berlino (Bompiani), “è l’aspetto più irritante di una scoria ideologica, fatta di prepotenza e volgarità”. Autenticamente umile. Basta leggere il suo gesto per capire che non vuol essere divo: non c’è una barriera d’autorità con i suoi compagni di gioia. Sta facendo musica tra amici, vuole non esibirsi, ma scoprire ogni volta qualcosa di nuovo» (Marco Vallora). «Come direttore ha avuto una trasfigurazione dopo la malattia di qualche tempo fa: la sua forza comunicativa è impressionante. L’incontro con la morte gli ha dato una profondità che hanno solo i sopravvissuti (Salvatore Sciarrino). «Persino nel pieno del lavoro, quand’è in prova con una delle sue orchestre, esprime naturalezza e capacità di non farsi prendere dall’ansia. È una delle sue virtù più sorprendenti. Qualcosa che somiglia a un modo d’essere orientale, cui sono ascrivibili anche il suo amore per la natura, la sua profonda sintonia con gli amici e il suo vivere immerso totalmente nella musica» (Leonetta Bentivoglio) [la Repubblica 12/5/2013].
• Politica
«Si è affermato anche per il suo ferreo aderire a tutti i luoghi comuni dei declinanti anni ’60 e ’70. L’apertura del teatro al popolo, la musica di avanguardia, l’impegno politico» (Pietrangelo Buttafuoco). «Sicuramente di sinistra, è amico personale di Fidel Castro, ha ammirato il Venezuela di Chavez, detesta Berlusconi ed è da sempre ecologista: “Nel fondo del cuore, penso di essere solo un giardiniere”» (Alberto Mattioli). «Non sopporto più certe speculazioni sia di destra che di sinistra. Non tollero i fumi dell’ignoranza e dell’approssimazione. Quando, insieme a Milstein, Kubelik e Barenboim feci un testo contro l’invasione dei russi a Praga, in Italia nessuno volle riportarlo. Alla sinistra non faceva comodo perché si trattava dei russi, e alla destra non faceva comodo perché io avevo un’immagine di sinistra». Nel 2004 ha firmato (con Niemeyer, Saramago e Gordimer) un documento in difesa di Cuba e della sua rivoluzione. All’inizio del ’94, parlando con un settimanale tedesco che gli chiedeva se nel futuro intendesse interessarsi alla politica, rispose: «No, grazie. Non sono mai stato iscritto ad alcun partito». Nel 2001 commentò così la vittoria elettorale di Berlusconi: «Se volessi essere gentile direi che gli italiani sono dei creduloni. Ma si possono trovare almeno altre due parole, meno benevole, che incominciano e finiscono con le stesse lettere». Sempre critico nei confronti dei governi che hanno tagliato gli investimenti sulla cultura, nel 2008 se la prese con l’allora ministro Sandro Bondi («pura dimostrazione di ignoranza»). Nel 2009 ha dedicato a Roberto Saviano il suo concerto a Napoli.
• Sport
Tifoso del Milan, seguiva le partite anche in tournée.