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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Mina

• (Anna Maria Mazzini) Busto Arsizio (Varese) 25 marzo 1940. Cantante. «Siamo delle povere cose esposte al vento della stronzaggine».
Vita «Cinquant’anni spaccati fa, una lungagnona col vestito da cocktail sottratto di nascosto alla madre, saliva sul palco traballante di una balera lombarda. Si ricorda che l’abito era blu e bianco. Lucido. Si ricorda che dopo aver cantato la prima canzone, il titolo? no, è troppo, si arrabbiò perché la gente applaudiva. “Io canto per me. Cosa c’entrano loro?”. Non aveva le idee chiare. O forse era troppo lucida. Si ricorda che alla fine di quella primissima esperienza scappò via perché i genitori non sapevano... non volevano. A diciott’anni era d’obbligo ubbidire. Ma non l’aveva fatto. E doveva correre a rimettere l’abito a posto il più in fretta possibile. Si ricorda che poco dopo, dietro le sue insistenze, il padre aveva convinto la madre a lasciarla fare: “Tanto, cosa vuoi, durerà qualche settimana questa follia. Lasciamola fare”. La lungagnona, invece, è ancora qui che rompe le scatole con quel piccolo meccanismo misterioso che sono le canzoni. Che lei ama e rispetta. E... e... e la lungagnona non si ricorda altro» (Mina celebrando con un breve ricordo i 50 anni dal debutto, La Stampa 22 settembre 2008).
• Famiglia benestante (padre imprenditore), spinta dagli amici esordì nel 1958 alla Bussola di Marina di Pietrasanta. Nello stesso anno incise il primo disco con lo pseudonimo di Baby Gate. Fattasi conoscere nel 1959 con Nessuno al Festival del Rock di Milano, fece la prima apparizione tv al Musichiere. Seguirono Tintarella di luna (1959), Coriandoli e Il cielo in una stanza (1960), Le mille bolle blu e Io amo, tu ami al Festival di Sanremo del 1961, Città vuota (1963), E se domani (1964), Un anno d’amore e Brava (1965), Se telefonando (1966), La banda e Se c’è una cosa che mi fa impazzire (1967), la tv come showgirl di Canzonissima e Studio Uno, le canzoni Bugiardo e incosciente e Non credere (1969), Insieme (1970), Amor mio (1971), Grande grande grande (1972), Non gioco più e la trasmissione Mille luci (1974), L’importante è finire (1975). Nel 1978 l’ultimo concerto, alla Bussola di Viareggio, poi solo dischi (Attila, Rane supreme, Caterpillar ecc.) e sparizione totale: impossibile intervistarla, impossibile fotografarla (ma fotografi appostati mostrarono prima che era diventata grassa, poi magra: l’invisibilità fece delirare il pubblico quando nel 2005 concesse un frammento di otto secondi di una sua registrazione in studio).
• È stata anche una star della tv e il pubblico di oggi la vede solo, ormai, attraverso le registrazioni in bianco e nero di sue performance divenute celebri: i duetti, per esempio, con Celentano o con Alberto Sordi o con Totò, mandati in onda più volte ogni anno e con qualsiasi pretesto. Studio Uno (1965, Brava), Sabato sera (1967, celebre per la serata con i quattro presentatori del momento: Baudo, Bongiorno, Corrado e Tortora), la Canzonissima del ’68, il Teatro 10 del ’72 con Alberto Lupo (Parole parole), il Milleluci del ’74 (con la Carrà). Tutti show in cui è diretta da Antonello Falqui.
• «Le voci come quella di Mina si possono sentire soltanto dal vivo. Nessuna incisione può restituire quelle sonorità, quelle sfumature, che fanno la differenza. Renzo Arbore ha detto: “La sua è la migliore voce bianca al mondo. Altro che Barbra Streisand”. E Sarah Vaughan: “Se non avessi la mia voce, vorrei avere quella di Mina”. Se la risenti oggi capisci che con Domenico Modugno ha davvero incorniciato un mondo. E forse capisci perché si sia ritirata dalle scene. Se così si può dire: per senso della storia. Perché Mina è una stagione italiana, quella degli anni Sessanta, irripetibile. Ha tutte le stimmate dell’epoca: la nascita e il luogo di nascita; per quanto l’anagrafe dica Busto Arsizio, Anna Mina Mazzini è cremonese. Figlia di Giacomo, piccolo industriale: agiata, senza l’ansia di arrivare al successo a tutti i costi, probabilmente più snob di quanto si immagini. Dunque niente famiglia che agli albori del boom economico spinge la figlia a diventare famosa. Suo padre passò alla storia della canzone per una battuta: “Mia figlia vuole fare la cantante? Ma se è stonata come una campana!”. Intanto lei da ragazzina faceva vacanze in Versilia, e a tarda notte, quando lo spettacolo degli altri era finito, provava a cantare. È Baby Gate, questo il nom de plume, che evoca un esotismo padano che allora doveva sembrare chissà che. Poi dal 1959 è soltanto Mina. Minigonne per l’epoca vertiginose e un modo di cantare che finisce per cambiare i gusti musicali degli italiani. Una voce sofisticata, per canzoni un po’ altalenanti, anche casuali. Il talento era tale che le si poteva far cantar di tutto. Gino Paoli oggi è ancora scioccato per il suo Cielo in una stanza. Dovette inciderla solo alcuni anni dopo, perché il successo di Mina – era il 1960 – fu clamoroso. E quando Giorgio Bocca, cronista di punta del Giorno, viene mandato nel 1961 a intervistare quel piccolo fenomeno, la racconta così: “Ero andato in un cinema di Torino, il cinema Lutrario, dalle parti di Porta Susa. Me la ricordo benissimo. Un antro oscuro fumoso, soffocante. Orchestra in giacchetta rossa. Lei cantava assediata dal pubblico. Talvolta qualcuno riusciva a toccarle il sedere. C’era la mamma a vegliare, ma ogni tanto era travolta dall’entusiasmo degli ascoltatori. ‘Ehi, state attenti a mia madre’. Ma quelli niente”. Orchestra in giacchetta rossa. Lei gli dice, a Bocca: “Sto pagando i miei peccati di impazienza”. E poi: “Non ho mai letto un libro”. Attorno a lei c’è quel mondo lì, da peccati di impazienza. Flirt presunti con Umberto Orsini, Maurizio Arena, Gian Maria Volontè. Una storia d’amore con Walter Chiari, e poi naturalmente Corrado Pani. Lo sanno tutti: lui è sposato. Lei rimane incinta. È il 1963. Il solito scandalo italiano. Ma importa poco. Con Virgilio Crocco, giornalista del Messaggero, si sposa a tempo di record. Bernardini ricorda: “Era una donna dalle grandi passioni”. Certamente era un personaggio fuori da qualunque convenzione, imbrigliata in ruoli via via fintamente banali. Le Canzonissime, gli Studio Uno, le Milleluci, gli arrangiamenti alle sue canzoni: qualche volta anche kitsch. Non subito, perché all’inizio accanto a lei c’è uno come Gorni Kramer (al secolo Kramer Gorni, da Rivarolo Mantovano, luogo dove nel 1958 per la prima volta Mina si esibisce con il complesso degli Happy Boys); e le prime canzoni sono formidabili: Tintarella di luna, Una zebra a pois e poi Le mille bolle blu sono dei capolavori, anche di ironia. Qualche anno più tardi è già vittima dell’onesto mestiere di arrangiatori come Gianni Ferrio, ma soprattutto Bruno Canfora. Di sigle per il sabato sera tv alla Vorrei che fosse amore. E basti pensare a E se domani, con quegli archi arrangiati senza troppe idee. Eppure tutti gli arrangiamenti di maniera venivano spazzati via da una voce stupefacente. Anche quei testi, quei “e sottolineo se”, cose di donne che attendono “lui”, che saranno lasciate, perché non tornerà, non ci sarà e via dicendo. Amanti abbandonate di un’Italia che con il benessere inaugurava il doppio ménage come istituzione borghese. Dove al centro dell’esistenza entravano i sentimenti di donne illuse e disilluse, fragili e pronte a cedere. Tutto il contrario di lei. Fino all’apoteosi di Parole parole, 1971, sigla di chiusura di Teatro 10. Dove Alberto Lupo, divo dello sceneggiato a puntate di un’Italia al declino del bianco e nero, si faceva rispondere: Le rose e i violini questa sera raccontali a un’altra. Ma in quelle canzoni Mina ha raccontato un’Italia: con passioni che si consumavano proprio in quei locali dove lei andava a cantare. Bernardini che era il suo manager ricorderà una volta: “Non è mai accaduto che rimanesse un solo biglietto invenduto”. Arredamenti moderni, luci colorate, quel genere Sheraton si sposava alla perfezione con un’immagine, un modo di truccarsi di Mina: mascara in crema che si seccava sulle ciglia dando quell’effetto a ciocchetti, eye liner, sopracciglia depilate. Niente rossetti intensi, e quello sguardo irrisolto, un po’ inconsapevole, quasi annoiato. In una parola distaccato. Mina è stata una donna dai tanti no. Un no a Federico Fellini che la voleva in un film poi mai girato: Il viaggio di Mastorna. Un no a Francis Ford Coppola che la voleva nel Padrino. E un no a Giorgio Strehler che la voleva, al posto di Milva, nell’Opera da tre soldi. Snobismo? O incapacità di scegliere? Forse incapacità di scegliere. Ha detto anche troppi sì Mina. Ad esempio a una decina di film musicali degli anni Sessanta di cui non resterà nulla. Il primo del 1959, Urlatori alla sbarra (con Celentano), passando per I teddy boys della canzone del 1960, continuando con Io bacio. Tu baci del 1961, e via dicendo fino al 1963. Poi basta. Certo era meglio Fellini, come era meglio Sinatra. Che la voleva. Ma Mina non prende l’aereo, e non se ne fece nulla. Ma cosa sarebbe accaduto se avesse fatto un film con Fellini, interpretato Il padrino, fosse andata in scena nell’Opera da tre soldi, duettato con Frank Sinatra? Domanda inutile avrebbe detto il suo amico Lucio Battisti. Dalla seconda metà degli anni ’70, per lei è tutto un inseguire qualcosa: i classici, le canzoni napoletane, la bossa nova, una Acqua di marzo di Tom Jobim che non fa rimpiangere quella di Elis Regina. Poi il jazz con Renato Sellani, solo voce e pianoforte, in una E se domani e Il cielo in una stanza da antologia. I testi di Paolo Limiti (su tutti Bugiardo e incosciente). E infine i duetti: da Celentano a De Andrè. Fino al 1990 Mina ha inciso 738 canzoni per 80 milioni di dischi venduti» (Roberto Cotroneo).
• «Quella notte d’agosto del 1978 sotto il tendone di Bussoladomani sul lungomare del Lido di Camaiore, la notte di un’estate inquieta dopo eventi politici drammatici e tragici, è diventata, pur nel suo modesto significato, emblematica e non solo per Mina. Chi era presente (gli spettatori erano circa 6.000) ormai è vecchio o comunque invecchiato, e magari ricorda poco di quell’eccitazione, di quella passione, di quella strana sensazione di vivere qualcosa di irripetibile, appunto una fine: anche di un modo di essere, di apparire, di passare l’estate, di essere ricchi, di sentirsi privilegiati, nella spiaggia allora ancora di massima moda. Era un pubblico elegantissimo, luccicante di gioielli, già infatuato della magrezza irrealistica e autocondannato ad abbronzature sinistre e foriere di irrimediabili rughe invernali, se non dell’eterna adolescenza come oggi. E passò un brivido di rimorso e sperdimento quando apparve lei, Mina, che da sei anni non aveva più cantato in pubblico e da quattro non si era più vista in televisione: era bellissima, grande, maestosa, splendente nella carnagione di perla intoccata dal sole, il corpo opulento nascosto dentro un lungo e ampio abito nero, e il suo chiarore, la sua carnalità, erano come un rimprovero a quella platea di donne, e di uomini, penalizzati dalle diete e dalla gara a chi era più marrone. In quell’estate in cui, come ogni estate, si accavallavano desideri d’amore eterno e d’avventura balneare, spesso irrealizzati o venuti male, lei cominciò a cantare non l’amore eterno e neppure l’avventura balneare, ma, canzone per canzone, il vibrare della passione, la violenza del piacere, le ferite dell’abbandono, il vuoto della fine. Con L’importante è finire, con Ricominciare, che senso ha, con Io ti chiedo ancora, il tuo corpo ancora, si donava a quel pubblico estasiato e forse immeritevole, con tutta la violenza del corpo, scuotendo i rossi capelli madidi di sudore, furente d’amore e deliquio erotico. Per l’ultima volta. Lo sapeva, non lo sapeva? Dopo lo spettacolo si eclissò in un baleno, senza concedere bis, come se la sua apparizione fosse stata solo un miraggio. Ma certo di quella vita non ne poteva più, e il tempo non aveva cancellato le umiliazioni e le ferite, soprattutto l’accanimento invidioso e immorale, per sorpassato moralismo, dell’informazione che da ragazza l’aveva braccata e continuamente giudicata. Anche quello, un mondo finito, in questo caso per fortuna» (Natalia Aspesi).
• «Il fatto è che non l’ho mai cercato, il successo, non ho lottato per conquistarlo, e così non l’ho mai apprezzato. A una certa età, così come all’uomo viene la barba, a me è venuto il successo. L’ho accettato come una cosa normale: senza pena né fatica, senza rendermi conto della fortuna che mi capitava. Me lo sono tenuto come si tiene un regalo di cui si ignora il prezzo, e se lo perdo pace» [a Oriana Fallaci, Eur 1963].
• «Il suo mistero va difeso. Perché non è il mistero cupo di una Greta Garbo, ma un mistero che schizza gioia da tutti i pori in un mix di passione e rispetto» (Andrea Mingardi).
• «La cantante bianca più grande del mondo» (Louis Armstrong) [Franco Tettamanti, Cds 17/3/2010].
Ultime Ha aperto su YouTube un suo canale ufficiale (MinaMazziniOfficial) con video inediti, brani rari, apparizioni televisive provenienti dalla teche della Rai. Nel 2009 un suo video, montato sulle sue apparizioni del 2001, fa da sigla al 59° Festival di Sanremo. Nel 2008 insieme ad Ornella Vanoni incide un brano inedito, scritto da Andrea Mingardi: Amiche mai. Nel 2007 escono Todavía, in gran parte cover dei suoi brani in lingua spagnola, e Love Box, ennesima antologia con le sue più belle canzoni d’amore. Duetta con Miguel Bosè rivisitando in lingua spagnola Acqua e Sale (Agua y Sal), precedentemente cantata con Adriano Celentano, con Tiziano Ferro in Cuestión de feeling (in Todavía), con Giorgia in Poche parole. Nell’album Hits Irene Grandi inserisce una sua versione di Sono come tu mi vuoi, brano che Mina lanciò nel 1966: «Era da tempo che volevo proporre una cover, cercavo una canzone simbolo, che rappresentasse un pezzo di tradizione musicale italiana. Ho pensato di rendere omaggio a una delle mie interpreti preferite». Nel novembre 2006 pubblica l’album Bau: «La famiglia, musicalmente parlando, si è allargata. Nel disco a firmare un pezzo, Per poco che sia, compare anche il nome di Axel Pani, il nipote, figlio di Massimiliano che però precisa: “Lui studia Economia, ma come molti coetanei si diverte a scrivere canzoni. Mamma le ha volute ascoltare e ne ha scelta una, come fa con tutte le cassette che gli arrivano”. Se però c’è un tema dominante nel nuovo disco, è la ruggente figura di Andrea Mingardi. Duetta con Mina nel già noto singolo Mogol Battisti, primo caso di una canzone dedicata a una coppia di autori (...) Mina è particolarmente scanzonata. Con la maturità la sua voce è diventata infallibile, quasi un gioco da ragazzi. Le basta poco per carezzare una espressiva raucedine, per ridere, per illanguidirsi su temi d’amore» (Gino Castaldo).
• Dal 2000 al 2011 editorialista de La Stampa, continua a rispondere alle lettere su Vanity Fair.
Amori Il 10 gennaio 2006 sposò il cardiologo Eugenio Quaini, suo compagno da un quarto di secolo (anche lui cremonese, abita e lavora a Brescia): nozze in gran segreto a Lugano (dove tutt’ora vive), fu lei a parlarne per prima, ma solo il 2 marzo su Vanity Fair. E come prevede la legge svizzera ora il suo nome è Anna Maria Quaini.
• «In amore la Tigre di Cremona è stata generosa. E i suoi matrimoni burrascosi. Nei primi anni Sessanta, dall’unione con l’attore Corrado Pani (all’epoca coniugato) nacque Massimiliano (1963 – ndr) e lei divenne la “ragazza-madre d’Italia” fino al matrimonio. Nel 1970 si risposerà poi con il giornalista Virgilio Crocco, del quale s’innamorò dopo un’intervista (proprio lei che detestava i giornalisti) e da quell’amore nacque Benedetta Crocco (1971 – ndr)» (Leandro Palestini). Virgilio Crocco morì nel 1973, travolto negli Stati Uniti da un pirata della strada (lui e Mina si erano già separati).
Vizi Il 10 settembre 2007 ha smesso di fumare: «Senza cerotti, fioretti, anniversari e senza motivo. Mi era capitato altre volte, con alternanze decennali, paragonabili con indecente parallelismo ai periodi blu e rosa di un tale che fumava e che aveva responsabilità culturali superiori. Questa volta la decisione è senza ritorno, non è dimostrativa, non ha pretese educative».
• Tifa per l’Inter, stravede per Valentino Rossi.