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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Dino Meneghin

• Alano di Piave (Belluno) 18 gennaio 1950. Ex giocatore di basket. Prima commissario straordinario (dal 30 settembre 2008), poi presidente della Federbasket (dal 7 febbraio 2009 al 13 gennaio 2013). Considerato il più grande cestista italiano di tutti i tempi, con la Nazionale vinse l’Europeo dell’83 e l’argento alle Olimpiadi di Mosca (1980). Giocò con Varese, Milano, Trieste, vincendo 12 scudetti, 7 coppe dei Campioni, 2 coppe delle Coppe, una coppa Korac ecc. Dal 2003 nella Hall of Fame del basket (secondo italiano dopo Cesare Rubini, poi seguito da Sandro Gamba), alla quale ha mandato i pantaloncini gialli della Ignis indossati in occasione della vittoriosa finale in coppa dei Campioni del 1973 contro l’Armata Rossa e la maglia della Nazionale con giacca della tuta con cui aveva conquistato l’argento all’Olimpiade di Mosca ’80.
• «Se giocasse adesso sarebbe nella Nba. La valeva già all’epoca dei suoi trionfi italiani ed europei, ma l’oceano allora non lo passava nessuno. Né lo fece lui, che pure nel 1970, a vent’anni, fu “scelto”, primo europeo della storia, dagli Atlanta Hawks. Adesso, della cinquantina d’europei che giocano fra i pro, ce ne sono che Superdino non avrebbe neanche guardato, svellendoli a rimbalzo. Giocava partite vere anche quando s’allenava. E pur rompendosi tutte le ossa dell’atlante anatomico, è arrivato a 28 stagioni in serie A, in una carriera di eventi singolari, se non unici. L’esordio in A, a Varese, a 16 anni. La Nazionale subito dopo. L’ultima maglia, di Milano, appesa in spogliatoio a 45, dopo aver avuto pure l’onore e il piacere di giocare una partita contro suo figlio, e non al torneo dei bar. Dino con Trieste, Andrea con Varese: azzurri entrambi, nelle rispettive epoche, e azzurri vincenti. Ci sarebbe stato bene Meneghin nella Nba. Pivot non altissimo (2.04), ma rapido e agile, nell’era in cui l’altra metà dell’area era presidiata da pachidermi sgraziati, svettava per grinta, carattere e tecnica. Fosse oggi, quel giorno che Atlanta lo chiamò, partirebbe subito. “Di corsa. Non per soldi, o anche per soldi, ma soprattutto per misurarmi, per capire chi ero contro i migliori”. E perché no nel 1970? “Perché oggi della Nba sappiamo tutto, mentre allora era un salto nel buio. Perché qui eravamo dilettanti e là professionisti, e dunque indietro non si tornava: avrei perso la Nazionale e, mi dicevano, anche il posto nella mia squadra, a meno di non tornarci come “straniero”. Così, se dopo 3-4 partite capivi che non era aria, che facevi? Smettevi?”» (a Walter Fuochi).
• Fu scoperto da Nicola Messina, responsabile del settore giovanile della Ignis Varese. «Io non sapevo nemmeno che cosa fosse la pallacanestro e l’indomani avrei dovuto iniziare a giocarla. Come scarpe comprai delle splendide Superga rosse. Cioè il colore del Simmenthal Milano, che ancora ignoravo fosse lo storico avversario della Ignis. Così il giorno successivo, quando mi presentai tutto baldanzoso all’allenamento delle giovanili della Ignis con quelle armi che ricordavano il nemico, Messina mi scrutò dalla testa ai piedi, anzi al contrario, e con molta calma disse: “Ok, la prima cosa da fare è cambiare le scarpe...”» [Cds 3/10/2011].
• «Nel gennaio del 1995, al Forum di Assago, Meneghin e D’Antoni giocarono la loro partita di addio al basket. C’erano ottomila persone a salutarli. Padri di famiglia che piangevano come bambini per la commozione, che abbracciavano il vicino sugli spalti mentre Dino e Mike, a braccia larghe, salutavano dal centro del campo» (Mattia Losi) [S24 7/1/2014].
• Da presidente della Fip si scontrò coi club sul numero di stranieri in squadra, sulle convocazioni nella nazionale azzurra e sulla conduzione tecnica della nazionale. Polemiche anche sull’assegnazione, nel 2009, dell’incarico di responsabile dell’Ufficio Marketing e Comunicazione della Fip a Nicola Tolomei, socio d’affari dello stesso Meneghin.
• Insieme al giornalista Flavio Vanetti, ha scritto l’autobiografia Passi da Gigante (Rizzoli, 2011).
• A proposito del figlio, giocatore come lui: «Non ho forzato Andrea a seguire le mie orme, ha iniziato perché lo voleva. Poi mi sono accorto che aveva talento, ma non ho mai interferito con le decisioni dei suoi allenatori» (a Elena Meli) [Cds 2/9/2012].
• Tifoso della Juventus.