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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Biografia di Carlo Lizzani

• Roma 3 aprile 1922 – 5 ottobre 2013. Regista. «Mi sono servito del cinema per conoscere me stesso, il mio paese, il mondo» [Paolo Di Stefano, Cds 4/4/2011]. David di Donatello per Banditi a Milano (1968), come sceneggiatore per Celluloide (1996), Nastro d’argento per la sceneggiatura di Banditi a Milano. Da ultimo Hotel Maina (2007), film oggetto di molte critiche e polemiche. Becky Behar, figlia del proprietario dell’albergo sul Lago Maggiore dove nel settembre del 1943 le SS presero in ostaggio e trucidarono sedici ebrei lì sfollati: «Quello che più mi ha dato fastidio è l’avermi alzato l’età, dai 13 anni reali ai 18 del film, per consentire di farmi vivere una storia d’amore del tutto inventata. Lizzani sostiene di averlo fatto per attirare un pubblico di giovani, che, a suo dire, vorrebbero sempre e comunque vicende di sesso e amore». Paolo D’Agostini: «Il film forza la realtà soprattutto in un punto: inventando (o modificando) il personaggio di una donna tedesca, resistente antinazista sotto mentite spoglie, che si prodiga per aiutare gli ebrei. Il regista difende questa scelta nel nome di una libertà creativa volta a diffondere più conoscenza della storia. Suo desiderio era inoltre quello di ricordare che c’era anche “un’altra” Germania e di riconoscerne lo sfortunato slancio a riscattare la dignità e il futuro di quella nazione».
• Figlio di Mario, commercialista, giornalista e fotografo dilettante, di famiglia repubblicana e “tiepidamente antifascista”: «Mio padre non immaginava che fra il 1942 e il 1944 da casa erano passati tutti i capi del Partito comunista clandestino: perfino Luigi Longo, alla vigilia dell’8 settembre. Avevo spacciato Trombadori, Mario Alicata, Pietro Ingrao, più grandi di me, per assistenti universitari. Finché un giorno, mio padre incrociò Giorgio Amendola che, con il suo fisico imponente, quasi non entrava dalla porta, “e questo chi è?”, domandò. Inventai che si trattava di un produttore cinematografico».
• Maestro del neorealismo. «Nella sua lunga carriera iniziata come aiuto di Blasetti e De Sica, ha consolidato la propria vocazione al cinema di ricostruzione, di denuncia, di impegno sociale. Ha diretto i massimi attori italiani, da Gian Maria Volonté a Ugo Tognazzi, da Gina Lollobrigida a Giovanna Ralli, da Silvana Mangano a Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Giulietta Masina. È a pieno titolo uno dei padri fondatori del nostro cinema» (Gloria Satta). «Dopo la stagione neorealista ho fatto di tutto per passione e piacere: la vita quotidiana, l’invettiva sociale, la cronaca nera, la storia e perfino il western» [ad Antonio Gnoli, Rep 3/4/2012].
• Per lui in Italia ci sono soltanto tre grandi registi: Tornatore, Moretti e Diritti [Dario Cresto-Dina, Rep 21/2/2010].
• «Ha diretto la Mostra di Venezia fra il 1979 e il 1983, riuscendo a dilatare i tempi cinematografici, proiettando al festival il Fassbinder di Berliner Alexanderplatz, 12 ore, e la versione integrale del viscontiano Ludwig, 5 ore. Ha lavorato anche per la tv. I suoi film, dai primi come Achtung, banditi!, proiettato in anteprima davanti a Togliatti in una sala della Lega delle Cooperative, a Cronache di poveri amanti, al Processo di Verona con una straordinaria Silvana Mangano che interpreta Edda Ciano, intrecciano le due anime del regista» (Barbara Palombelli).
• «So che avrei potuto raggiungere vette più alte nel cinema se avessi seguito un solo sentiero. Ho fatto un cinema popolare, mi sono cimentato con tutti i tipi di personaggi, mi sono divertito, il cinema mi ha portato in Africa, in Cina, in America. Forse mi sono servito del cinema per vivere con maggiore intensità, ma non ho mai messo la mia vita al servizio del cinema» (da un’intervista di Maria Pia Fusco).
• «Mi hanno invitato ovunque. Ho lasciato tracce. E mi accorgo ora che tutto questo è diventato una sfida alla sparizione. I miei 90 anni? Ho cominciato da poco a darmeli. Capisco che sono una condanna perché il tempo accelera e passa come un fulmine. Aver vissuto così a lungo è già una vittoria. O meglio la fine di una scommessa. In fondo, siamo il risultato di uno spermatozoo che è andato a meta a fronte dei miliardi che hanno fallito. E alla fine quello sono io, il frutto del caso» [Antonio Gnoli, Rep 3/4/2012].
• Nella sua autobiografia Lungo viaggio attraverso il secolo breve (Einaudi 2006) ha preso tra l’altro posizione relativamente alla pretesa egemonia culturale del Pci negli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta: «Ricordo un episodio: quando la cooperativa vicina al Pci che aveva prodotto il mio primo film Achtung banditi! e poi Cronache di poveri amanti andò in crisi mentre, siamo a metà degli anni Cinquanta, si diffuse la paura che tutti nel cinema italiano fossero comunisti, da Monicelli a Antonioni, riuscimmo attraverso Pajetta ad avere un colloquio con Togliatti per chiedergli un consiglio. Togliatti si dichiarò contrario all’esistenza di una casa di produzione di partito e disse: meglio navigare in mare aperto. Questa era la politica culturale. Non influenzare, ma semmai raccogliere e sostenere. Personalità come Rossellini e poi De Sica, Zavattini, Germi, che non erano affatto vicine al partito comunista, furono attratte nella sua orbita non perché il partito facesse nei loro confronti del proselitismo, ma perché fu il Pci il principale sostenitore nelle battaglie contro la censura e non solo».
• Ultimi libri: Riso amaro. Dalla scrittura alla regia (Bulzoni 2009), Il giro del mondo in 35 mm. Un testimone del Novecento (Rai-Eri 2012), Carlo Lizzani. Italia anno zero (Bordeaux 2013).
• Soffriva di depressione da quando la moglie, malata, era costretta a trascorrere le sue giornate a letto e da quando aveva preso coscienza di non essere più in grado di badare autonomamente a se stesso. Ha messo fine alla sua vita lanciandosi dalla finestra di casa. Un biglietto: «Stacco la chiave, scusate figli cari».
• Due figli: Flaminia e Francesco.