Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 30 Mercoledì calendario

Biografia di Federico Garolla

• Napoli 22 luglio 1925 – Milano 31 maggio 2012. Fotoreporter.
• «Roma, interno giorno, 1953: le sorelle Fontana osservano compiaciute l’ultima creazione. È la nuova collezione di moda, il vestito sembra avvolto dal vento. Napoli, manicomio giudiziario, 1959: dietro le sbarre un uomo osserva impotente l’universo che gli scorre davanti. Centocelle, borgata di Roma, 1960: in un prato senza erba Pier Paolo Pasolini sfida un gruppo di giovani in un dribbling. Una partita a pallone con i suoi ragazzi di vita. Sono solo alcune delle tante immagini di Federico Garolla» (Gianluigi Colin) [Cds 1/6/2012].
• «Mio padre mi regalò una Condor Ferrania con la quale fotografavo luoghi e persone delle quali parlavo nei miei articoli. Negli anni Quaranta volevo fare il giornalista, raccontavo i fatti attraverso la scrittura e li corredavo con le foto. Un giorno Sandro Pallavicini, che dirigeva La Settimana Incom Carta per la quale avevo appena iniziato a collaborare, mi inviò un telegramma in cui diceva perentorio ”Mandi anche suo rullino”. Ebbi così la confer­ma del fatto che la mia vera passione poteva trasformarsi in una professione. Fino a che mi resi conto che il fotogiornalismo pagava parecchio di più. E cambiai strada. (…) Venni chiamato da Arrigo Benedetti, allora direttore dell’ Europeo. Mi presentai e lui mi fece promettere che, se mi avesse assunto, avrei fatto solo il fotografo perché di giornalisti, disse, ne aveva già quattrocento. I reporter di livello allora erano pochi. Mi offrì uno stipendio alto, per quei tempi. Poi abbassò, ma mi mandò a Parigi a farmi le ossa a Paris Match. (…) Già dalla metà degli anni Sessanta il mondo editoriale cam­biò, le riviste diventarono più dozzinali e io presi un’altra direzione. Mi occupai di enogastronomia, illustravo rubriche di cucina e i volumi pubblicati da mia moglie Ada. E girai l’Italia per i grandi libri Mondadori e Rizzoli occupandomi di storia dell’arte» (da un’intervista a Barbara Silbe) [Grn 23/7/2010].
• «Straordinari e precoci i suoi reportage tra L’Infanzia Abbandonata e l’architettura arsa ed arcaica di Verso Sud, privilegiata dalla scelta di Uliano Lucas, e il suo lavoro nella moda, forse prima di Beaton e di Avedon, “schiaffando” le sue modelle tra l’alba nebbiosa dei netturbini e la Roma sulfurea, avviata a divenire della Dolce Vita. Ma i ritratti sono saggi magnifici di penetrazione critica: Ungaretti che strizza le sue mitiche sopracciglia veggenti ad una pipetta da luna park, Silone che centellina il piacere disgustato del suo caffè, Lattuada seminarista peccaminoso dell’immagine, la Morante “contadina” sperduta in una casa orfana di libri, nient’altro che nudi scaffali» (Marco Vallora).
• «Un occhio attento si accorgerebbe che da Roma in giù la qualità del mio lavoro cambia. Dipendeva dal fatto che quando andavo verso sud sentivo “l’odore di casa”» (a Silbe cit.).
• «Garolla ha contribuito con il suo sguardo discreto ed elegante a creare l’identità complessa del nostro fotogiornalismo. E lo ha fatto incarnando, quasi alla Pessoa, “una sola moltitudine”, il senso di un’ identità artistica plurale con la quale metteva insieme reportage giornalistico impegnato ed etico, (nasce nel ’46 come giornalista al Mattino di Napoli) la fotografia glamour del mondo dello spettacolo, il ritratto intimo di scrittori, la raffinatezza della fotografia di moda, creando un nuovo linguaggio. Garolla è riuscito a far convivere questi diversi “modi di vedere” interpretando con sensibilità il cambiamento culturale e sociale dell’ Italia del dopoguerra. Lo ha fatto con uno spirito libero, o liberale, non ideologico, entrando in un rapporto di fiducia con il mondo con cui veniva in contatto» (Gianluigi Colin cit.).