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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Francesco Cossiga

• Sassari 26 luglio 1928 – Roma 17 agosto 2010. Politico. Senatore a vita. Ex presidente della Repubblica (1985-1992). «Un abate del convento di Cluny il venerdì si faceva portare in tavola la cacciagione, la benediceva con le parole Ego te baptizo in piscem e mangiava tranquillo».
Ultime Nel marzo 2007 rinunciò a tutti i privilegi attribuiti agli ex presidenti della Repubblica (autista, scorta, sicurezza ecc.) «per dare un aiuto alle politiche di risparmio del capo dello Stato».
• Nel novembre 2007, infuriato con Giuliano Amato («mi ha recentemente preso a pesci in faccia facendo rispondere a una mia delicata interpellanza il noto ex sindacalista Roberto Sgalla, manutengolo del capo della polizia...»), scrisse una lettera per dimettersi da senatore a vita (proposito presto abbandonato).
• Il 5 dicembre il suo voto al Senato sul decreto sicurezza prolungò di un mese e mezzo l’agonia del governo Prodi (che sulla questione aveva posto la fiducia).
• Nello stesso anno sono usciti il ritratto in forma d’intervista L’uomo che non c’è (Aliberti), scritto da Claudio Sabelli Fioretti e il libro Italiani sono sempre gli altri (Mondadori), scritto con Pasquale Chessa (polemiche perché rivelò di aver davvero avvertito Carlo Donat-Cattin che suo figlio Marco era terrorista di Prima linea, negò invece di avergli parlato delle indagini in corso).
• Nel 2008 ha pubblicato Mi chiamo Cassandra. Arguzie, giudizi e vaticini di un profeta incompreso (Rubbettino), raccolta ragionata degli articoli pubblicati dal 2004 a cura della figlia Anna Maria, con la postfazione dello scrittore Fulvio Abbate.
• Alle elezioni politiche del 2008 ha votato per il Pd.
• Nel maggio 2008 ha votato la fiducia al Berlusconi IV «per carità di patria», attaccando duramente nel suo discorso in aula il ministro degli Interni Roberto Maroni («non lo stimo, sarò il suo nemico») e Antonio Di Pietro («leader dell’Italia dei Disvalori»). Continua l’ostilità nei confronti di Mario Draghi (vedi).
• A luglio è stato nominato dal sindaco di Salemi (Trapani) Vittorio Sgarbi presidente del comitato Matti per Salemi.
• Da ultimo contro La Russa per il caso Granbassi (vedi).
Vita La famiglia dovrebbe essere originaria della Corsica, dato che in dialetto logudorese “Cossiga” (pronunciato “Còssiga”) significa “Corsica”.
• «La mia era una delle famiglie repubblicane del giro nobile e borghese di Sassari, molto austera e severa, al punto che non si usava neanche il bacio della buona notte… credo che io e mia sorella non ci siamo mai neanche abbracciati... Una famiglia dominata dalla figura del padre di mia madre, nonno Antonio Zanfarino, massone, il quale morì a 99 anni, nel 1946, rammaricato di non aver visto nascere la Repubblica. Quanto a me, ero un bambino molto bravo, molto educato, molto signorino di famiglia borghese, non particolarmente vivace ma appassionatissimo di storia e di soldatini, quelli di carta... che però non ho più. Ed ero anche molto studioso (...) Al compito della licenza liceale, che presi a 16 anni, mi dettero 10 meno. Il “meno” perché, come succede in Sardegna, sbagliavo le doppie, e non avevo voglia di consultare il dizionario. A dire la verità le doppie sono una cosa che sbaglio ancora, ma per fortuna, adesso, ci sono i ragazzi della mia scorta che mi correggono...».
• «Mio padre, diventato avvocato, sposa una Zanfarino (...) La famiglia Zanfarino era, tra l’altro, anche una delle famiglie repubblicane del giro nobile e borghese di Sassari, che il ramo paterno della mia famiglia frequentava, giacché mio nonno, diventato professore di Oculistica a Sassari, aveva un comune interesse politico, essendo anche lui radicale, antigiolittiano e cavallottiano. È per questo che io nasco naturalmente antifascista e repubblicano. Non avrei potuto essere altro, avendo passato la mia giovinezza sotto il busto incombente di Cavallotti che troneggiava nello studio di mio nonno».
• «Mio nonno Francesco era fratello del nonno materno di Enrico Berlinguer. E la mamma di Enrico, la zia Maria, essendo rimasta orfana da bambina, era venuta a stare da noi ed è stata cresciuta da mia madre. Quindi, quando la gente non crede che io e Berlinguer siamo parenti, io sono costretto a spiegare che parenti siamo. Tanto più che in Sardegna, essere cugini di secondo grado, vuol dire essere come fratelli. Quando Gorbachov venne a Roma e io ero capo dello stato, appena arrivato mi disse: “Ma mi dica una cosa, è vero che lei era cugino del segretario del Pci?”. E io gli risposi: “Eccome!”. Infatti Giancarlo Pajetta, che lo odiava, quando mi parlava non diceva mai Berlinguer, ma sempre: tuo cugino».
• Frequentando la chiesa di San Giuseppe a Sassari, conobbe don Giovanni Masia, unico sacerdote ad aver avuto tra i suoi parrocchiani due presidenti della Repubblica e tre ministri dell’Interno: «Da quella straordinaria parrocchia, che non ha riscontri nella storia della Repubblica, siamo usciti io, il giovane Segni, Arturo Parisi, Giannino Angius e Luigi Manconi. Abitavamo tutti nello stesso quadrato di palazzi, in un raggio di cento metri: quello che viene ancora chiamato “il quadrilatero magico”» (da una serie di articoli di Antonello Capurso). Democristiano a 16 anni, aveva scalato le gerarchie del partito, finché, alla testa dei “giovani turchi” sassaresi, lo conquistò sgominando gli avversari. Nel 1956 su un numero del giornaletto La voce universitaria di Sassari era comparsa, anonima, una ingenua poesiola: «Dei pulcini il più vorace / è senz’altro Fra’ Cossiga / a cui il Banco molto piace / ma di più piace la Peppa». «Il Banco», naturalmente, è il Banco di Sardegna nel cui consiglio d’amministrazione il «vorace» Cossiga entrò, per meriti esclusivamente politici, nel 1957, a 29 anni. «La Peppa» citata è invece Giuseppa Sigurani, che diventerà sua moglie nel 1960.
• Deputato dal 1958 non si fece notare troppo (anzi, si impegnò poco) fino a quando il partito non gli affidò, nel 1965, la difesa del ministro delle Finanze Giuseppe Trabucchi, accusato di aver favorito nella concessione delle licenze di importazione dei tabacchi due ex democristiani, che in cambio gli giravano dei soldi. Le camere dovevano concedere l’autorizzazione a farlo processare dalla Corte Costituzionale e Cossiga, dopo aver «rassicurato gli sfiduciati, convinto gli indecisi, sferzato i perplessi, lavorato ai fianchi i giornalisti, distribuito notizie e interviste» (Gianni Barbacetto) presentò una cosiddetta soluzione giuridica («solo al ministro spetta decidere se un atto amministrativo sia o no conforme alla legge») e fece dire a Trabucchi che questo passaggio di denaro c’era stato, sì, ma a favore del partito. Risultato: 476 votarono per il “non doversi procedere” e 461 votarono contro Trabucchi, voto sufficiente per chiudere il caso e cominciare a guardare con interesse a questo giovane parlamentare che aveva fatto il miracolo.
• Nel 1966 (terzo governo Moro) Cossiga diventò sottosegretario alla Difesa con delega ai Servizi segreti: la sua passione. Dalla posizione privilegiata che occupava come responsabile governativo dei Servizi di sicurezza gestì il passaggio dal Sifar al Sir e lo scandalo, sollevato sull’Espresso dalla coppia Scalfari-Jannuzzi, dei 157 mila fascicoli su privati cittadini che il generale De Lorenzo aveva raccolto durante il suo periodo a capo dei servizi. Cossiga fece il suo mestiere con tanta abilità che nel 1974 Leone persuase Moro a farlo nominare ministro senza portafoglio, cui seguì nel 1976 l’ascesa al ministero dell’Interno, in uno dei momenti più difficili del Paese: terrorismo dilagante, manifestazioni di piazza continue, comunisti prossimi a diventare il primo partito del Paese. Dopo la morte di Giorgiana Masi (19 anni, uccisa a Roma, sul Ponte Garibaldi, il 12 maggio 1977 durante una manifestazione che celebrava i tre anni dal referendum sul divorzio), il suo nome apparve scritto sui muri con la K: Kossiga invece di Cossiga. Fu profondamente segnato dal sequestro e dall’assassinio di Moro (16 marzo-9 maggio 1978): si dimise da ministro dell’Interno, in soli due mesi gli vennero i capelli bianchi, cadde in una depressione profondissima e tentò di sparire dalla vita politica italiana. «Mi svegliavo di notte urlando che ero stato io ad ucciderlo. Il che era “fattualmente” vero. Ero stato io a rappresentare con durezza la linea dell’intransigenza. E sapevo che la linea dell’intransigenza avrebbe portato quasi certamente all’uccisione di Moro».
• Nel 1979 Pertini lo nominò presidente del Consiglio. Restò in carica pochi mesi, evitò per un pelo di doversi dimettere quando fu accusato di aver fatto sapere a Carlo Donat-Cattin che suo figlio - militante di Prima linea - era ricercato e cadde infine quando il Parlamento bocciò il decreto anti-inflazione. Incaricato di formare un nuovo governo, Cossiga cadde di nuovo il 27 settembre 1980 con un voto unico nella storia della Repubblica: il suo decretone economico, che tra l’altro autorizzava l’acquisto dell’Alfa Romeo da parte dei giapponesi della Nissan (contrarissima la Fiat), fu approvato a scrutinio palese e poi bocciato a scrutinio segreto.
• Nel 1983 fu nominato presidente del Senato: «Ero come un maestro di scuola elementare che sgridava i bambini: ti tolgo la parola, siediti altrimenti ti caccio via, tu devi stare zitto e così via. Intendiamoci: un presidente deve fare molta attenzione. Se è bravo, e io ero bravo, dell’assemblea fa quello che vuole».
• Nel 1985, il segretario della Dc, Ciriaco De Mita, lo fece eleggere presidente della Repubblica al primo scrutinio, cioè anche con i voti dei comunisti: già più giovane sottosegretario alla Difesa, più giovane ministro dell’Interno, più giovane presidente del Consiglio, divenne anche il più giovane presidente della Repubblica. Fu un presidente della Repubblica assai strano: silenziosissimo nella prima parte del mandato e poi, negli ultimi anni, improvvisamente e imprevedibilmente loquace: “esternava”, come si diceva allora, di continuo, su quasi tutto e spesso in modo non facilmente comprensibile o apparentemente contraddittorio. Eugenio Scalfari, che gli era stato molto amico, andava dicendo in giro (e scrivendo su Repubblica) che il Parlamento avrebbe dovuto interdirlo. La classe politica ne era visibilmente imbarazzata. Più tardi, Cossiga sostenne che quei suoi interventi erano grida d’allarme per l’arrivo della bufera tangentopoli e per la prossima fine del sistema che egli prevedeva con preoccupazione.
• «In realtà io non esterno, io comunico. Io non sono matto, io faccio il matto. È diverso. Io sono il finto matto che dice le cose come stanno» (1991), «Non si spiegavano perché io dicessi certe cose, non si accorgevano che stava franando tutto» (2004).
• I giornali presero a chiamare le sue esternazioni “picconate” (termine inventato da Mario Pirani) dopo la scoperta, da parte del giudice Felice Casson (che indagava sulla strage di Peteano, vedi CICUTTINI Carlo), di una rete militare segreta e parallela, chiamata Gladio, formata da privati cittadini e collegata con la Nato. La Nato pose il segreto di Stato internazionale sulle attività e i fini di Gladio. Cossiga ne difese la legittimità contro tutti, arrivando a esternare quasi tutti i giorni, ad avvertire di pericoli che nessuno vedeva, a proferire minacce la cui natura non si capiva e a invitare il Parlamento a incriminarlo per cospirazione politica. Era il 1991, Gladio (secondo Cossiga «un’organizzazione di patrioti, di brava gente») venne citata anche nel discorso di Capodanno. Solo poche settimane dopo fu arrestato Mario Chiesa e cominciò lo scandalo cosiddetto di tangentopoli o di Mani pulite che avrebbe spazzato via Dc, Psi e gli altri partiti della Prima Repubblica.
• Rassegnò le dimissioni da presidente della Repubblica il 28 aprile 1992, due mesi prima della scadenza naturale del mandato.
• Divenne senatore a vita quale presidente emerito della Repubblica.
• Nel febbraio del 1998 fondò l’Udr (Unione Democratica per la Repubblica), a cui aderirono, tra gli altri, Casini, Mastella, Buttiglione. Caduto Prodi (che ne aveva rifiutato l’aiuto), l’Udr, con una manovra politica diretta personalmente da Cossiga, annunciò il suo appoggio al governo D’Alema, suscitando la reazione di Casini, che se ne andò. «Le uniche due cose per le quali entro nella storia della politica italiana sono i missili, che io riuscii a portare in Italia, e l’operazione D’Alema. Purtroppo l’operazione D’Alema è stata una disgrazia per D’Alema. Perché il suo partito non gliel’ha mai perdonata». Poco dopo lo stesso Cossiga accusò i suoi partner politici di cercar solo poltrone, lasciò la presidenza del partito e si iscrisse al gruppo misto. Uscito anche Buttiglione, Mastella sciolse definitivamente l’Udr per fondare nel febbraio 1999 l’Udeur (aderente al centrosinistra) Parla bene inglese (valutato otto dal mensile Speak up).
• Ha due figli. Anna Maria, la maggiore, è archeologa, una lunga permanenza all’estero, divisa tra Londra e New York. Il secondogenito si chiama Giuseppe (vedi), ingegnere aeronautico, calca anche lui la scena politica.
• Nel 2007 venne meno alla leggendaria riservatezza sulla sua famiglia per confidarsi con Bruno Vespa, autore de L’amore e il potere. Da Rachele a Veronica, un secolo di storia d’Italia (Rai-Eri Mondadori) svelando che il matrimonio celebrato nel 1960 con Giuseppa Sigurani era stato annullato dalla Sacra Rota. I due, divisi dal 1993, avevano ottenuto il divorzio cinque anni più tardi, a conclusione di una storia di coppia trascorsa per gran parte come separati in casa. Con “Geppa”, «bionda con gli occhi azzurri, bellissima, altera di grande e forte carattere, molto colta» (Vespa), famiglie tra le più in vista di Sassari, poi farmacista, avevano preso a frequentarsi poco più che ragazzi. «Se non ci fosse stata la politica, se cioè Cossiga non avesse avuto incarichi pubblici questa situazione si sarebbe risolta assai prima» raccontò un intimo della famiglia ricordando come i successi di lui non fossero stati salutati con entusiasmo da lei. Lorenzo Fuccaro: «La sua asprezza di carattere era tale, ricorda chi conosce bene entrambi, che il giorno in cui Cossiga venne eletto presidente della Repubblica, tornando a casa trovò tutte le luci spente come segno di totale indifferenza se non di irritazione verso quella nomina. Ora si apprende che, dopo sette anni di istruttoria presso una commissione istituita da Giovanni Paolo II, il tribunale religioso ha deciso, con l’avallo di Benedetto XVI, di dichiarare nulla l’unione tra i due».
Malattie Soffre di depressione: «Montanelli mi chiamava “collega”, non certo in giornalismo. Eravamo in buona compagnia: Roosevelt, Churchill, Dostoevskij, Kafka. C’è chi nasconde la depressione e chi la ammette. Ricordo una battuta di Andreotti. Qualche “amico”... “fratello” democristiano, quando ero candidato alla presidenza del Senato, gli disse: “Ma ci mettiamo a eleggere un depresso?”. Andreotti rispose: “Se non avesse avuto la depressione dopo il caso Moro, mi guarderei dal farlo votare perché sarebbe un farabutto”».
• «Sono stato più volte gravemente malato. E mi hanno fatto ventuno anestesie totali. Sono un malato perfetto. Obbedisco sempre, mi fanno di tutto, non protesto nemmeno per i clisteri. Prendo dodici pillole al giorno».
• Soffre anche di vitiligine.
• «Sono un ipocondriaco gioioso, ho un sacco di malattie, se guarissi da tutte forse ne morirei».
Critica «Inesplicabile è la sua personalissima politica estera: è senz’altro un benemerito dell’atlantismo, tiene corsi nelle università più prestigiose della Gran Bretagna, ma vola da Gheddafi e aiuta i baschi con un tale impeto da sfiorare, anzi quasi da cercare l’incidente diplomatico con Aznar. Del tutto inclassificabili i suoi movimenti qui in Italia, da un decennio a questa parte. Il momento più alto quando ha fondato un partitino (l’Udr - ndr) e l’ha portato al governo rivoluzionando gli equilibri, anche se poi - attenzione qui - la fine di quell’esperienza gli è parsa determinata da un destino misterioso, una specie di sortilegio predisposto dalle vittime. Ora sostiene di svegliarsi al grido di: “Viva la gloriosa Prima Repubblica!”. Ha nostalgia del Pci, ma è stato l’ultimo ad abbracciare Craxi; rivendica con orgoglio l’organizzazione di Gladio, però ha proposto pensioni e onorificenze per le eventuali spie nominate nel dossier Mitrokhin; detesta la lobby di Lotta continua, eppure interviene alla presentazione dei libri di Toni Negri e ha fatto da testimone di nozze a un ex terrorista» (Filippo Ceccarelli).
• «La vera specialità di Francesco Cossiga, il campo nel quale ha conquistato un indiscutibile, inattaccabile primato nazionale - e forse mondiale - è quello delle dimissioni. In un paese nel quale i politici di ogni colore si industriano per ottenere un incarico, una poltrona o un pennacchio, lui si è specializzato nel liberarsene. Fatta eccezione per il nome, il cognome e l’indirizzo di casa, l’uomo che è stato l’ottavo presidente della Repubblica si è infatti sistematicamente spogliato di ogni titolo, carica, grado, qualifica, incarico o semplice appartenenza. Il disegno forse non è chiaro. Però il metodo è limpido: andarsene sempre sbattendo la porta. Cossiga dà il meglio di sé non quando viene nominato, ma quando si dimette» (Sebastiano Messina).
Frasi «Non sono di destra perché credo nel peccato originale».
• «In vita mia le fregature le ho sempre prese da chi mi dava del lei, non del tu».
• «Quello di presidente della Repubblica è stato il lavoro più noioso e ingrato che io abbia mai svolto. Il lavoro vero, dolorosissimo, è stato quello di ministro dell’Interno. Il lavoro pesante quello di presidente del Consiglio. Il lavorio divertente quello di presidente del Senato».
• «Non sono bugiardo. Però dico bugie».
Vizi Pettegolissimo.
• Spiritosissimo: quando il governo D’Alema stava per cadere, spiegò a Gian Antonio Stella che gli chiedeva lumi sulla situazione politica: «“Amico mio, le citerò una lezione di vita presa da due film. Nel primo, cioè Lawrence d’Arabia, lui lo prende in quel posto e ci resta male. Nel secondo, Ultimo tango a Parigi, lei lo prende nello stesso posto ma ci resta bene”. Vuol dire che comunque D’Alema… “Mi saluti la famiglia”» (Corriere della Sera 25 gennaio 1999).
• Patito di Beautiful. Durante la presidenza, approfittava dei viaggi di rappresentanza in America per informarsi in anticipo sugli sviluppi della storia. Tornato in Italia, li raccontava, facendo dispetto agli appassionati.
• Amante e esperto di tecnologia, gira con una borsa piena di cellulari («Ne ho dodici, nessuno dei quali acquistato. Ciascuno con la sua suoneria: l’inno dell’Unione Sovietica, l’Internazionale, “Deutschland, Deutschland”…»), si collega al Web da qualunque posto col portatile (via Wi-Fi o via Umts), prende appunti su un palmare e aggiorna l’agenda trasferendo i dati sul pc, ha la casa cablata via Adsl, naviga su Internet attraverso reti senza fili ecc. Spiega: «Ho iniziato come radioamatore. All’epoca c’erano gli apparati a valvole e si trasmetteva sulle onde corte. Poi è arrivato il satellite e la trasmissione delle immagini compresse. Oggi utilizzo i cellulari di ultima generazione per seguire la televisione. Ai miei collaboratori mando sms e a quelli più tecnologizzati mms. La mattina mi collego subito a Internet, scrivo e invio direttamente dichiarazioni e articoli, sfuggendo così al controllo dei miei collaboratori, che si alzano più tardi, ma vorrebbero lo stesso monitorare tutto quello che dico o faccio». «Mi piace giocare col computer. Faccio il solitario sul pc. Sul cellulare ho un giochino dove credo di aver raggiunto punteggi record».
• Grafomane, scrive articoli su Libero e Il Riformista firmati con gli pseudonimi di Franco Mauri per il centrodestra, e Mauro Franchi per il centrosinistra: «Sono lunghissimi, perdo il senso della misura e i giornali hanno il permesso di tagliarli».
• Gli sono state conferite ventisei lauree honoris causa: «Più di Spadolini. Credo di essere quello che ne ha di più in assoluto».
• Colleziona soldatini d’epoca.
Tifo Juventino: «I veri sardi sono juventini».