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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Roberto Colaninno

Mantova 16 agosto 1943. Imprenditore. Presidente del gruppo Piaggio. «A uno che ha gestito mille miliardi di fatturato nessuno offrirà mai un’azienda da 10 mila miliardi se questi 10 mila miliardi non sono marci».
Vita Figlio di un sottufficiale dell’esercito e di una sarta, studi di ragioneria al Pitentino, università a Parma interrotta per lavorare. «Cosa poteva fare, nei primi anni Sessanta, un giovane ragioniere appena diplomato? Per prima cosa una domanda di assunzione in banca. Ma all’Agricola, la banca per antonomasia per un mantovano, gli risposero picche. Con la formula burocratica usuale: “Al momento non abbiamo disponibilità di posti in organico”. Ventiquattro anni dopo Colaninno sarà nominato consigliere di amministrazione di quella stessa banca. Una bella rivincita. A scoprire che quel giovane poteva avere del talento fu qualche tempo dopo Walter Francesconi, imprenditore, titolare di una piccola azienda, la Fiaam Filter, produttrice di accessori per auto. La conoscenza fu quasi casuale. Colaninno, abbandonata l’idea di fare il bancario, era entrato in uno studio legale specializzato in problematiche fiscali, al quale si rivolgevano industriali, commercianti e artigiani per risolvere i loro problemi con il fisco. E lì Francesconi, cliente dello studio, si accorse del giovane praticante brillante e discreto, già abituato a districarsi tra denunce Iva e ritenute d’acconto. Gli propose di occuparsi a tempo pieno della contabilità dell’azienda. Cosa che Colaninno fece talmente bene da meritarsi, passo dopo passo, la fiducia dell’azionista di controllo. Da lì a qualche anno avrebbe scalato le gerarchie interne fino a diventare amministratore delegato. L’esperienza in Fiaam è importante per capire la filosofia operativa di Colaninno. Uno che non si accontenta di lavorare per conto terzi, ma vuole entrare in prima persona in tutti i business. Quando Francesconi decide di vendere la società per ritirarsi dagli affari e dedicarsi alla pittura, è Colaninno che si preoccupa di trovare il compratore: la britannica Turner & Newall. Come mediazione ottiene una piccola quota del capitale. Qualche anno dopo la storia si ripete: gli inglesi lasciano e lui si dà da fare per collocare altrove la maggioranza. Questa volta la strada di Colaninno si incrocia con quella di Carlo De Benedetti: il finanziere piemontese, al culmine del suo successo, accetta di rilevare la Fiaam, collocandola nella Sogefi, altra società, mantovana di origine, concentrata sull’attività immobiliare e destinata a diventare il secondo polo industriale del gruppo, dopo l’Olivetti. È l’inizio di un sodalizio di successo. Per oltre quindici anni Colaninno guida da plenipotenzario la Sogefi. La società cresce rapidamente e da piccola holding diventa una multinazionale della componentistica auto, quotata in Borsa. De Benedetti lo lascia fare. E i successi permettono al ragioniere di Mantova di conquistare i galloni di uomo di fiducia dell’ingegnere. Fino a quando, nel 1996, viene chiamato a gestire la stessa Olivetti» (Giacomo Ferrari). «Di telefoni il ragionier Colaninno non si era mai occupato in vita sua fino all’età di 53 anni quando, in ventiquattr’ore, giusto il tempo di consultarsi con la moglie Oretta Schiavetti, accetta l’offerta di De Benedetti che lo vuole alla guida di un’Olivetti ormai con l’acqua alla gola. Nel 1997, dopo qualche mese di noviziato (dice all’Espresso, ndr): “Qui sono troppo intelligenti, hanno inventato tante cose, ma un’azienda non è un laboratorio e la Olivetti non ha le forze per coltivare tutti questi business: Omnitel e forse Infostrada hanno un domani, il resto è da vendere o da chiudere”. I telefoni sono il futuro da conquistare. Conclude Colaninno: “In questa posizione hanno fallito grandi nomi, se andrà male anche a me, nessuno mi metterà in croce”. È una missione impossibile, almeno in apparenza. E Colaninno si accontenta di uno stipendio nemmeno troppo elevato (2,5 miliardi di lire dichiarati nel bilancio 1998) anche perché spunta da De Benedetti una stock option robusta: in pratica può acquistare a mille lire l’una 12 milioni di azioni Olivetti. Facendo leva su questa stock option costruirà le sue fortune di capitalista. Quella che è chiamato a condurre Colaninno è la liquidazione della Olivetti come gruppo industriale. I conti vengono risanati. Il titolo si rianima, anzi si esalta. I computer passano all’avvocato Edward Gottesman, la società Op Computers, che ha rilevato Scarmagno e gli altri stabilimenti, è in stato fallimentare, anche il diritto ventennale d’utilizzo del marchio Olivetti per queste produzioni è messo in vendita come un tornio, nella primavera del 1998 Colaninno vende alla Wang Laboratories di Joseph Tucci la Olsy, la vecchia Olivetti System & Networks che ancora ha 11 mila addetti e in cambio riceve il 20 per cento di Wang, un anno dopo, quando una sconosciuta società olandese lancia un’Opa sulla Wang, tutti sono felici di aderire: in testa Colaninno che si sdebita con Tucci chiamandolo nel consiglio Telecom. A questo punto – siamo ormai in estate – Colaninno comincia ad avere chiaro il quadro della situazione. L’emergenza Olivetti è finita. C’è ancora da sistemare la Olivetti Lexicon, la Olivetti Ricerca, un po’ di servizi centrali senza futuro: ottomila dipendenti, tutte aziende che perdono, ma perdono poco se paragonate ai computer e alla Olsy. E poi la telefonia è decollata. Alla grande. Omnitel è una storia di successo. Infostrada vale già tanti soldi. Il titolo si sta risvegliando: dalle 600 lire del 1997 viaggia verso le tremila. Grazie alla stock option, il Ragioniere è miliardario. La moglie, che si è comprata quasi un milione di Olivetti, è forse la più ricca insegnante di lettere di Mantova» (Massimo Mucchetti).
• «Trovatosi quel tesoro in tasca avrebbe potuto tenerselo, magari comprandosi il 49 per cento che era della Mannesmann. Si sarebbe ritrovato la Omnitel, che è una delle aziende di maggior successo d’Europa e che macina utili a più non posso. Consigliato da banchieri d’affari assai bravi a fare il loro mestiere che è quello di guadagnare commissioni miliardarie, e incoraggiato dal primo ministro del tempo, Massimo D’Alema, ha scelto invece di vendere Omnitel e Infostrada e tentare la conquista di Telecom. A Palazzo Chigi in quei mesi si ragionava in grande, si teorizzavano i campioni nazionali, vista da fuori sembrava una merchant bank (vedi anche ROSSI Guido – ndr), ma dentro ci si immaginava un ruolo di modernizzatori e architetti del nuovo capitalismo italiano. Colaninno in quel contesto era l’uomo che ci voleva, era quello che con il suo coraggio, la sua determinazione, la sua spregiudicatezza avrebbe dato la spallata al grande capitalismo facendolo apparire all’improvviso vecchio, esangue, superato. Si decise, il profeta del nuovo capitalismo italiano sarebbe stato lui. L’Opa del secolo, la madre di tutte le scalate, per qualche tempo fu vera gloria. Il ragioniere mantovano era diventato l’idolo dei piccoli azionisti, dei day trader, dei bocconiani, il mondo intero sapeva della sua esistenza e delle sue gesta. Passati i mesi, le cose si sono fatte più complicate. Colaninno si trovava a fare molti mestieri, quello del manager, quello dell’imprenditore, quello del socio-gestore, e con un’azienda da guidare di dimensioni neanche lontanamente comparabili con quelle che nella sua vita gli era capitato di guidare» (Marco Panara).
• Sulla scalata Telecom (opa lanciata il 21 febbraio 1999) vedi anche GNUTTI Emilio e RICUCCI Stefano.
• Fu della gestione Colaninno anche il tentativo di Telecom di creare con La 7 un polo televisivo alternativo a Mediaset «che, pur abortito sul nascere, portò a una improvvisa impennata dei prezzi sul fronte dei contratti ai teledivi che a Cologno monzese non gradirono. Fu allora che Colaninno bollò la levata di scudi del centro destra come un incomprensibile starnazzare di oche esagitate» (Paolo Madron).
• Venduta Telecom (nel 2001, vedi TRONCHETTI PROVERA Marco) «ha incassato il colpo del rientro nel semianonimato di gente ricca, ma senza potere. La Fiat, raccontò a un’amica giornalista, poteva essere la grande occasione, ma non è andata. Segno che il format dei favolosi anni 1988-98, quelli in cui i raider specializzati diventavano imprenditori grazie a una buona intuizione, è ormai finito, azzerato dai nuovi modelli dell’era globalizzata. Che cosa poteva restargli, se non il suo motto: back to the basic? La Piaggio, sospira lui, è solo il primo passo» (Monica Setta).
• “Colaninno sale in Vespa” è il titolo dei giornali nel luglio 2003. Il finanziere conclude l’accordo di acquisizione con il fondo Morgan Grenfell, il proprietario di allora, e batte la concorrenza di un altro fondo, l’americano Cerberus: il marchio delle due ruote famoso in tutto il mondo torna in mani italiane. Il 24 settembre la firma. Nel 2004 lo sbarco in Cina (l’intesa con il gruppo Zongshen prevede la produzione e la commercializzazione di oltre 300 mila veicoli l’anno) e soprattutto l’acquisto dell’Aprilia, altro storico marchio del settore. Colaninno è alla guida del quarto polo motociclistico mondiale, il primo europeo: «600 mila moto l’anno, fatturato di oltre 1,5 miliardi di euro, 8 stabilimenti nel mondo, seimila dipendenti» (Valerio Berruti). Nel luglio 2006 porta l’azienda di Pontedera in Borsa.
• Nel 2007 si disse fiducioso: «Il risanamento del gruppo (Piaggio, Aprilia, Moto Guzzi, Gilera, Vespa, Derbi) è finito e ora guardiamo con fiducia al futuro». Nel 2008 è stato invece costretto a posticipare di un anno gli obiettivi del piano industriale: «Abbiamo rivisto le aspettative di vendita nei prossimi anni perché riteniamo che il ciclo negativo non sia finito. L’importante è che l’impresa generi cassa, controlli i debiti e sia altamente innovativa». Anche gli anni successivi si sono rivelati difficili per l’impresa di Pontedera: il mercato europeo in calo cronico, mentre l’India e il Vietnam, dove Piaggio si è insediata, richiedono più tempo del previsto per dare le soddisfazioni attese. [Alessandra Puato, Cds 28/10/2013].
• Al salone di Milano del 2013 ha annunciato il ritorno dell’Aprilia in MotoGp nel 2016: «Dopo i successi in Superbike, vogliamo tornare in MotoGP per vincere sin da subito. A me non piace arrivare secondo o terzo, punto a vincere perché è nel nostro dna».
• Altra società del gruppo Immsi, la holding di Roberto Colaninno, è la Intermarine per la quale il settore militare rappresenta ormai la quasi totalità del portafoglio ordini. «Siamo usciti dal mercato degli yacht e non abbiamo intenzione di rientrarci, nella difesa invece c’è un’importantissima ripresa» [Filippo Santelli, Cds 21/8/2013].
• All’inizio di giugno 2008 spunta il suo nome tra gli industriali italiani nella cordata per il salvataggio di Alitalia, ma per lui è pregiudiziale una scelta precisa sul partner internazionale. «Oltre a questa, l’ex alfiere della razza padana ha messo altre due condizioni: essere lui a comandare, e conoscendolo la cosa non sorprende affatto, visto che da sempre ritiene la sua propensione ad aggiustare giocattoli rotti imprescindibile dal suo pieno e diretto coinvolgimento. Inoltre che lo Stato, ovvero il venditore, non sia esoso e crei un contesto favorevole all’operazione, cosa su cui il futuro acquirente, chiunque esso sia, può già contare» (Paolo Madron). Alla fine è entrato da presidente nella Cai, la società costituita apposta per rilevare le attività di Alitalia e Air One (vedi BERLUSCONI Silvio, PADOA-SCHIOPPA Tommaso e TOTO Carlo). Dopo cinque anni Alitalia è di nuovo in difficoltà. Nel febbraio 2013 Colaninno è stato costretto a chiamare a raccolta i soci per finanziare un prestito obbligazionario. A ottobre 2013 l’Assemblea di Alitalia ha approvato l’aumento di capitale al quale aderiscono la famiglia Benetton, Roberto Colaninno, Banca Intesa. Nel cda del 31 ottobre 2013 Alitalia ha preso atto dell’impegno di Poste Italiane alla sottoscrizione di 75 milioni di euro a copertura dell’eventuale inoptato. Tra i soci ancora mancanti all’appello della sottoscrizione Air France, che attende il momento opportuno per dettare le proprie condizioni. Nello stesso cda Colaninno ha formalizzato le sue dimissioni da presidente nella Cai rimanendo socio di riferimento della compagnia.
• «Ho creduto nel progetto Alitalia nel 2008 e continuo a credere e a difendere l’investimento che ho fatto: Alitalia è un marchio straordinario, una compagnia con enormi potenzialità di business» (ad Alessandro Plateroti) [S24 5/11/2013].
• È uscito dal cda di Capitalia dopo la fusione con Unicredit (non prima di aver fatto da mediatore nella disputa tra Geronzi e Arpe).
• Il sultano dell’Oman ha commissionato ai suoi cantieri navali Rodriquez cinque catamarani per 90 milioni di dollari.
• Ha affidato a Massimiliano Fuksas, «architetto di fiducia della famiglia Colaninno» (La Nuova Sardegna), il progetto del Museo storico della Vespa: una gigantesca bolla rossa lunga 300 metri che galleggerà a mezz’aria dentro la fabbrica di Pontedera.
• In quanto ex consigliere della Banca agricola mantovana, condannato in primo grado a 4 anni e 1 mese, più l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, per il crac Italcase.
• Sposato dal 1969 con Oretta Schiavetti, «bella ragazza di buona famiglia, lombarda doc» (Giancarlo Mazzuca), conosciuta durante un’escursione in montagna a metà degli anni Sessanta. Laureata in Lettere, con la passione dei mobili antichi, lei si presentò anche nella lista dei Popolari (prima dei non eletti) alle amministrative di Mantova. Due figli, Matteo (1970, vedi) e Michele (1977). Il secondogenito, laurea in Economia alla Cattolica, è direttore generale dell’Immsi, consigliere d’amministrazione della Piaggio e dei cantieri navali Rodriquez di Sarzana, amministratore delegato di Omniaholding, cassaforte di famiglia. Il 17 ottobre 2007 il matrimonio con Anna Di Salvo, amante dell’arte e della cultura, responsabile delle relazioni esterne del Centro di Palazzo Te, in quella che fu la basilica di corte dei Gonzaga.
Commenti «Sono allibito che Colaninno definisca le critiche del centrodestra come “starnazzamento”. Gli faccio sommessamente presente che noi non siamo oche e che lui non è al di sopra del giudizio politico» (Marco Follini dopo un’intervista di Colaninno al Tg1 sull’operazione Seat Telemontecarlo).
• «Il Ragioniere mantovano (Roberto) è talmente legato all’Ingegnere (Carlo De Benedetti - ndr) da citarlo in 23 pagine su 211 (più di quanto faccia per Enrico Cuccia, Massimo D’Alema o gli Agnelli) nell’intervista-libro-memoriale (Primo tempo, Rizzoli 2006) con Rinaldo Gianola, giornalista ex Repubblica, da anni vicedirettore dell’Unità» (Fabio Dal Boni).
• «Alla Piaggio Colaninno ha realizzato un’operazione di risanamento industriale, che alcuni paragonano al lavoro di Sergio Marchionne in Fiat. Ha riportato in utile una società che dagli anni Novanta era entrata in un tunnel dal quale sembrava che non sarebbe più uscita» (Il Foglio).
• Gianni Agnelli a Luca Cordero di Montezemolo che richiesto di un parere aveva detto di veder bene Colaninno alla Fiat: «E se questo poi lancia un’Opa sulla General Motors?».