7 febbraio 1963
Oggi si apre il Festival di Sanremo. Milva e Claudio Villa dati per favoriti
La Stampa, 7 febbraio 1963
«Sanremo, 6 febbraio. Sanremo non sa più di mare. Sa di cioccolata. Le sue vie sono letteralmente tappezzate di manifesti ognuno dei quali presenta il viso ingigantito e perennemente sorridente di un cantante o di una cantante del Festival. Ingrandimenti elefantiaci di quelle figurine che si trovano appunto in certe tavolette di cioccolata. I suoi negozi discografici e le sue edicole vendono le musiche e i testi di canzoni che in molti casi sembrano prese di peso dai cioccolatini. Nelle hall assiro-babilonesi dei grandi alberghi si sentono animate discussioni sul valore di Amore, mon amour, my love, di Occhi neri e cielo blu, Quando ci si vuol bene. Un ciclone vanigliato ma non per questo meno violento e turbinoso ha portato lo scompiglio nel regno ovattato dei ricchi, interrompendo i misurati bisbigli di vecchie dame britanniche, le sonore risate di matrone milanesi in pelliccia, le abitudini rituali di portieri gallonati, di autisti in livrea, di microscopiche cagnette di lusso.
Questo monsone zuccherato ha il suo epicentro in quella gigantesca torta nuziale che è il Casinò Municipale di Sanremo e più precisamente nel teatro dove domani sera avrà inizio il 13° Festival della canzone.
Poltrone di legno lucido, tendaggi rosa, un tetto di vetro a scacchi rosa e lilla, questo salone sembra davvero una gigantesca scatola di cioccolatini.
Su queste poltrone di legno che, nonostante la loro evidente durezza pare abbiano raggiunto quotazioni favolose, siederanno domani milletrentasei spettatori paganti, centododici dei quali, scelti per sorteggio, avranno diritto di voto. Gli altri trecento voti saranno espressi dalle venti giurie esterne, composte di quindici membri ciascuna, in rappresentanza di tutte le regioni italiane. Quest’anno il regolamento prevede una singolare variante: la scelta dei giurati esterni è affidata alla libera discrezione di un notaio il quale tuttavia dovrà seguire obbligatoriamente la seguente ricetta: uno studente e una studentessa di Università, uno studente e una studentessa di scuola media, un libero professionista, un commerciante, un impiegato, un artigiano, un barista, un barbiere, un operaio, una insegnante, una casalinga, una dattilografa, una commessa. Consessi a prevalenza maschile – nove uomini contro sei donne – che rendono un certo omaggio alla intellighentia (un professionista, una insegnante, due universitari), ma relegano in secondo piano il mondo operaio e trascurano del tutto quello contadino. Evidentemente si è voluto dare la precedenza ai piccoli ceti medi, con particolare riguardo a quelle categorie di persone – barbieri, commesse, baristi, commercianti – che hanno continui contatti e ininterrotti scambi di opinione con il grande pubblico. L’humus della musica leggera.
Se il Festival sa di cioccolata, non bisogna tuttavia ingannarsi sulla sua vera natura. Dolce, lucida è soltanto la crosta che non è poi neppur tanto spessa. Basta grattarla con l’unghia ed ecco affiorare un grumo intricato e duro di interessi, di contrasti, di ambizioni del tutto analogo a quello che si riscontra in qualsiasi altro campo della produzione umana.
Quest’anno uno degli aspetti più originali di queste lotte e di questi contrasti è dato dal fatto che molti divi della canzone, lungi dall’arrabattarsi per essere inclusi nella “rosa” del Festival, hanno lottato con le unghie e con i denti per rimanerne esclusi. La presenza di Milva, Claudio Villa, Tony Renis, Aurelio Fierro, Fio Sandon’s, Wilma De Angelis, Joe Sentieri, Johnny Dorelli, Tonina Torrielli, Sergio Bruni, Emilio Pericoli, Luciano Tajoli è più che sufficiente ad assicurare il successo della manifestazione; ma nel cuore dei “tecnici” e dei tifosi non riesce a far dimenticare l’assenza di Modugno, Nilla Pizzi, Celentano, Fidenco, Gino Paoli, Gaber, Betty Curtis, Peppino di Capri, Tony Dallara. Senza parlare di Mina, intenta a studiare tenerissime ninnenanne.
Naturalmente la Direzione del Festival ha usato ogni sorta, di allettamenti per vincere questa nuovissima “paura di Sanremo”; ma spesso non è riuscita a superare le più o meno legittime riluttanze dei cantanti.
Il tiro alla fune fra organizzatori e divi è stato tuttavia una gara di gentilezza, un minuetto settecentesco in confronto alle lotte sorde ingaggiate dalle case discografiche per assicurarsi il successo o per lo meno il buon piazzamento delle proprie canzoni. Come ogni anno nei corridoi del Casinò si parla di acquisti in massa di biglietti, di combines a vantaggio di questa o quella canzone, di do ut des, proprio come avviene nelle corse ciclistiche tra le varie squadre in gara.
Infine le parole che dovrà pronunciare il presentatore sono state vagliate, soppesate, esaminate nel timore che possano avvantaggiare questo o quel concorrente. Mike Bongiorno era stato costretto ad imparare a memoria alcuni brevi sketches preparati a suo tempo da Dino Falconi; ma anche queste innocue battute sono state amputate, tagliate, svuotate in una disperata ricerca di equanimità. Falconi stamattina se ne lamentava: in sostanza quello che lui ha scritto e quello che Bongiorno ha imparato a memoria pare sia ridotto a poco più del tradizionale “ed ora, signore e signori, abbiamo l’onore di presentarvi... ”.
La giornata odierna è stata dedicata alle prove; e abbiamo voluto assistere a quelle delle due canzoni favorite: Amore, mon amour, my love cantata da Claudio Villa e Ricorda cantata da Milva eseguite entrambe con l’accompagnamento della grande orchestra di Gigi Cichellero. A parte la nostra assoluta incompetenza in materia, la prima non l’abbiamo potuta giudicare perché Villa – pullover celeste, pantaloni grigi, mani in tasca, occhi chiusi – cantava quasi sottovoce per non rivelare le sue carte e risparmiarsi per domani sera. Quanto alla seconda non siamo del pari riusciti a compilare alcun giudizio, attratti come eravamo dalla personalità di Milva. Magra, elegante, con la gracilità ed il pallore di una mannequin, esplodeva di tanto in tanto inaspettatamente in gesti di una forza travolgente, in toni da uragano. Una sintesi di Christian Dior, Elizabeth Arden, e il Mulino del Po. Di fronte ad un tale violento suggestivo contrasto come si fa, ditemi, a stare attenti alla musica?».
Gaetano Tumiati