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 1870  settembre 10 calendario

• Alle ore 10, nel gabinetto di Pio IX, viene ricevuto il conte Ponza di San Martino che legge e commenta la storica lettera di Vittorio Emanuele II in data 8 corr

• Alle ore 10, nel gabinetto di Pio IX, viene ricevuto il conte Ponza di San Martino che legge e commenta la storica lettera di Vittorio Emanuele II in data 8 corr. al Papa. Questa lettera, premesso che il Re si rivolge al Pontefice «con affetto di figlio, con fede di cattolico» prospetta i pericoli che minacciano l’Europa, in faccia alla quale sente il dovere di prendere la responsabilità di mantener l’ordine nella Penisola e la sicurezza della Santa Sede. Richiama le condizioni d’animo delle popolazioni romane e la presenza fra loro di truppe straniere, e perciò vede l’indeclinabile necessità che le truppe italiane a guardia del confine si inoltrino per occupare le posizioni indispensabili alla sicurezza del Papa e al mantenimento dell’ordine: azione non ostile, ma puramente conservatrice. Nutre fiducia che il Papa possa prendere col conte di S. Martino gli opportuni concerti e conclude: «La Santità Vostra, liberando Roma dalle truppe straniere, togliendola al pericolo continuo d’essere il campo di battaglie dei partiti sovversivi, avrà dato compimento ad un’opera meravigliosa, restituita la pace alla Chiesa, mostrato all’Europa spaventata dagli orrori della guerra come si possano vincere grandi  battaglie ed ottenere vittorie immortali con un atto di giustizia, con una sola parola di affetto». Letta la lettera, Pio IX la lascia cadere sul tavolo ed esclama «essere inutili tante parole, esser più leale e sincero dire addrittura di volersi impossessare dello Stato di Santa Madre Chiesa», e pone termine all’udienza pronunciando queste parole: «Non sono profeta nè figlio di profeta, ma vi assicuro che in Roma non entrerete»!... Partito il conte di San Martino, Pio IX riceve subito il pro-ministro gen. Kanzler, che invita ad esporre nuovamente i criteri direttivi della difesa, le disposizioni date, le voci raccolte, ecc. e il Kanzler finisce la sua esposizione esclamando: «Le truppe formano un solo fascio di spade pronte tutte a farsi spezzare e tutte desiderose  di  brillare al sole». Segue un breve soliloquio del Papa, che poco dopo esclama: «Ebbene, a questo esercito io debbo dare un gran dolore: esso dovrà cedere», Prosegue dicendo come le truppe dovranno ritirarsi davanti all’invasore man mano, senza combattere, tranne che in qualche luogo propizio a spiegare «una salda resistenza» che capaciti il mondo cattolico della violenza patita e chiudersi in Roma, in cui gli Italiani non entreranno: «essi si fermeranno al largo; essi non potrebbero entrare; essi non entreranno... ma... anche in tal caso [che debbano entrare], vogliamo che la difesa sia limitata al sufficiente per dimostrare la consumazione di una aggressione e nulla più». Il gen. Kanzler, addolorato, disorientato, colpito da militare sdegno, tenta di insistere e dice tra l’altro: «Santità, l’intero esercito, dal più elevato ufficiale al più umile soldato, chiede di combattere e di morire»; al che Pio IX, rabbuiato in volto, risponde: «Vi chiediamo di cedere, non di morire che è quanto dire un sacrificio maggiore». Il drammatico colloquio ha, così, termine.