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 2011  ottobre 07 Venerdì calendario

Il cancro al pancreas alla fine ha ucciso Steve Jobs, che aveva solo 56 anni. Gliel’avevano diagnosticato nel 2004, poi, dopo una biopsia, era parso di natura curabile

Il cancro al pancreas alla fine ha ucciso Steve Jobs, che aveva solo 56 anni. Gliel’avevano diagnosticato nel 2004, poi, dopo una biopsia, era parso di natura curabile. Il grand’uomo della Apple aveva così tirato avanti fino all’anno scorso, inventando nel frattempo l’iPod, l’iPhone, l’iPad e tutto il resto. Il male era però riapparso, e ad agosto Steve aveva dovuto mollare tutto, chiedendo solo che gli riconoscessero una specie di presidenza onoraria. L’avevano rivisto qualche volta, magrissimo, quasi spettrale, nella misera condizione in cui siamo ridotti quando ci coglie quel male e che tanti di noi conoscono per averla vista addosso a qualche caro. L’altra notte, la fine.

  • Qual è stata l’invenzione più importante?
Credo l’iPod: lo scatolino che raccoglie ore e ore di musica e che non ha concorrenti. Tutte le invenzioni di Steve Jobs erano re-invenzioni, cioè un modo di guardare qualcosa che già esisteva da un punto di vista inaspettato. I computer sono nati prima della Apple, l’iPod ha disintegrato il mondo dell’mp3, regolarizzandolo addirittura dato che quelli che prima copiavano scaricano adesso da iTunes la musica o i film pagando. L’iPhone, rispetto alla nascita dei cellulari, è arrivato persino tardi. E l’iPad è stato un modo per contrastare il nuovo gadget editoriale, il tablet su cui si possono leggere i libri e i giornali, e di cui Amazon sperava di essere monopolista. Steve Jobs era naturalmente un immenso venditore: tenendo segrete le sue invenzioni, maltrattando i giornalisti che tentavano di avvicinarsi, punendo le fughe di notizie, preparava poi l’adunata mistica in cui consegnava alla folla in estasi un qualche oggetto informatico di sorprendente bellezza. Steve stava attentissimo alla grafica e nel famoso discorso di Stanford del 2005 spiegò che uno dei momenti decisivi della sua vita era stata la frequenza di un corso di calligrafia che lo aveva introdotto all’arte tipografica. Pensi un po’: il mago delle tastiere s’era formato alla scuola dei pennini e degli inchiostri.

Ognuna di quelle adunate era un evento.
Sì, con le file davanti ai negozi di gente che aspettava l’apparizione del feticcio e che si preparava ad adorarlo al di là del suo valore intrinseco e del suo prezzo spropositato. Il primo iPhone era in definitiva poca cosa, rispetto a quello che tecnologicamente avrebbe potuto contenere, e che la Apple avrebbe poi inserito man mano nelle versioni successive. E il costo – allora e adesso - era fuori dal mondo. Ma il prezzo, come sappiamo, non è determinato dal valore dell’oggetto, ma dalla domanda del pubblico. E pochi come Steve Jobs ha diritto al titolo di guru, cioè di grande suscitatore di domanda.

Per me, l’idea più grande è stata questa delle App (Applicazioni), con cui un telefonino iPhone si può trasformare in milioni di altre cose.
Ieri sui giornali americani è uscita una vignetta – ripresa poi da corriere.it – in cui si vede San Pietro alle prese con un librone alto così, e vicino a San Pietro c’è Steve, più giovane e col maglione dolce vita, che gli dice: «I have an APP for that».

La sua vita in due parole?
Madre americana, padre siriano, che all’ultimo tentò di incontrarlo e che Steve non volle vedere. Jobs è il cognome dei genitori adottivi (Steve ha sempre chiamato “mother and father” i suoi genitori adottivi e “biological mother and father” i suoi genitori naturali). Restò all’università sei mesi: aveva l’impressione di perdere tempo. Inizio a 20 anni nel solito garage, con Steve Wozniak. «Lavorammo sodo – ha raccontato poi – e dopo dieci anni, da due che eravamo nel garage, ci eravamo trasformati in una compagnia da due miliardi di dollari con 4.000 dipendenti». Come saprà – perché la storia è arcinota – la Apple entrò a un certo punto in crisi e Steve venne licenziato («un colpo di fortuna»). Fonda la NeXT e la Pixar, pasticcia felicemente con l’animazione (è suo il primo Toy Story) poi viene richiamato in Apple, che è ormai sull’orlo della chiusura. Seguono iPod, iTune, iPhone, iPad, i grandi successi degli ultimi anni e la rinascita dell’azienda, oggi la prima d’America.

Se volessimo riassumere la sua filosofia?
Ma ci ha dato lui stesso le regole a cui attenerci, nel famoso discorso di Stanford che ho già citato e in cui considerava il massimo della fortuna tre eventi disgraziati della sua vita: il fallimento all’università, il licenziamento dalla Apple e la diagnosi di tumore del 2004. Tutte cose che lo avevano rimesso in gioco, l’unica cosa che gli interessava davvero. La vita è poca – diceva - e non vale la pena di vivere quella di qualcun altro. Il discorso di Satnford si concluse con due frasi diventate celebri. «Stay hungry. Stay foolish». Cioè: «Siate affamati. Siate folli»

[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 7 ottobre 2011]