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 2007  novembre 10 Sabato calendario

Le femmine hanno le stesse opportunità dei maschi – proprio le stesse – solo in quattro paesi: Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda

Le femmine hanno le stesse opportunità dei maschi – proprio le stesse – solo in quattro paesi: Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda. Nel resto del mondo sono favoriti gli uomini. Qual è il paese d’Europa dove gli uomini sono più favoriti, cioè dove le donne sono più discriminate?

• Lo sta chiedendo a me?
Risposta facile, no? Da sempre, l’Italia. Guardi, tra le decine di documenti ho qui una ricerca commissionata nel 2005 dal mensile Men’s Health alla società Sagoma: esce fuori lo stesso risultato, siamo ultimi. Ecco qui un’altra ricerca, compiuta da Luisa Rosti nel 2004: in Italia le donne sono le meglio valutate a scuola e le meno valorizzate sul lavoro. E ancora l’Istat, l’estate scorsa: i dati della Rosti sono confermati ancora una volta, «le donne guadagnano il 9 per cento in meno degli uomini e il Paese è penultimo in Europa per tasso di occupazione femminile. Il tasso di disoccupazione è diminuito (10 per cento), ma le donne in carriera sono poche, percepiscono salari più bassi rispetto agli uomini e spesso sono senza figli». Questo nonostante che le femmine a scuola vadano meglio dei maschi.

• Questi dati che citava all’inizio da dove arrivano?
Dal World Economic Forum sul Global Gender Gap, “Foro Economico Mondiale sul Gap di Genere». Siamo ottantaquattresimi al mondo, battuti da Botswana, Romania e Paraguay, ultimi in Europa, l’unico grande paese che ci sta dietro è il Giappone.

• Anti-donne più di noi?
Il Giappone ha una lunga tradizione di discriminazione femminile, della quale non è semplice liberarsi. Noi pure. La storia è importante: abbiamo dato il voto alle donne nel 1946, cioè dopo la guerra. La difficoltà con cui la nostra legislazione ha accolto le leggi sul divorzio o sull’aborto, e il malumore con cui le sopporta oggi, dicono che la storia pesa. La mentalità che ci hanno consegnato padri e nonni conta molto, nonostante si abbia la sensazione di una libertà femminile esagerata fino alla sguaiatezza. I numeri tuttavia non mentono. Le donne guadagnano meno, le donne trovano più difficilmente un’occupazione, le donne non fanno carriera come gli uomini. Del resto basta guardare la presenza femminile in Parlamento – più o meno un parlamentare donna ogni dieci – e ricordare con quanta pervicacia è stata bloccata la legge sulle quote rosa. Legge orribile, sia chiar il solo fatto che si debba parlare di quote rosa dice quanto siamo lontani dalla pari opportunità.

• E la ragione di queste discriminazioni? A parte la solita mentalità maschilista prevalente eccetera eccetera. Cioè, c’è una spiegazione concreta?
Io ho trovato molto convincente un’inchiesta di Newsweek dell’anno scorso, fatta in occasione dell’8 marzo. Era imperniata sul seguente quesit «In quale parte del mondo le donne hanno più possibilità di fare carriera: negli Stati Uniti, dove il congedo di maternità dura tre mesi, non esistono asili pubblici, né agevolazioni per i padri; o in Europa, dove il periodo di maternità retribuita va da cinque mesi a tre anni, gli asili sono gestiti o finanziati dallo Stato e una miriade di agenzie governative sono incaricate di promuovere le pari opportunità?». Come risposta si adoperava uno studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro dal quale risultava che la classifica, in percentuale, dei dirigenti (“decision makers”) pubblici e privati in Europa e negli Stati Uniti è la seguente: 1. Usa, 45% di donne dirigenti; 2. Gran Bretagna, 33%; 3. Svezia, 29%; 4. Germania, 27%. L’Italia era al 18%, ma qui ci interessa la tesi di partenza che la ricerca documentava: «incentivare le donne ad abbandonare il lavoro per periodi molto lunghi (non meno di un anno, in media, in Italia) significa accrescere a dismisura la probabilità di esclusione, o di auto-esclusione, dai percorsi di carriera più gratificanti» (così il sociologo Giuliano Da Empoli).

• Sembra paradossale: per aiutare le donne a far carriera bisogna dargli meno garanzie.
E non solo alle donne. Quando un imprenditore deve assumere un individuo di 30 anni, terrà anche conto del fatto che, se è donna, il suo investimento rischia di essere vanificato dall’arrivo di qualche figlio, perché la donna sparirà per un periodo lungo, che può arrivare anche a due anni. Non dimentichi che assumere qualcuno, da noi, è più vincolante che sposarselo. Anche se il maschio ha il voto di laurea più basso, perciò, è più conveniente alla lunga mettersi in casa un uomo. Una ricerca della U2 Coach mostra che da noi una donna su cinque smette di lavorare dopo la maternità e nel 31% dei casi questo avviene perché o la licenziano o non le rinnovano il contratto. Per ovviare a questo ci vorrebbero politiche per la famiglia completamente diverse da quelle che pratichiamo noi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 9/11/2007]