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 2008  maggio 23 Venerdì calendario

Ultime sulla Franzoni nel carcere di Dozza (Bologna): per ora sta in cella da sola, due guardie la sorvegliano per impedirle di fare qualche pazzia

Ultime sulla Franzoni nel carcere di Dozza (Bologna): per ora sta in cella da sola, due guardie la sorvegliano per impedirle di fare qualche pazzia. Ieri mattina le hanno permesso di fare una breve passeggiata in cortile, accompagnata da un’agente. Poi è stata ricevuta dallo psicologo. La direzione del penitenziario le ha garantito sei colloqui al mese con i figli. Il procuratore generale di Torino ha chiesto che le si applichi l’indulto, in modo che la pena si riduca da 16 a 13 anni.

• C’è una grande preoccupazione in giro, mi pare. Si teme che si possa togliere la vita?
Il professor Annibale Crosignani, primario emerito di psichiatria alle Molinette di Torino, dice che a questo punto possono succederle tre cose: un qualche gesto incauto, risultato di un’ansia che si protrae da sei anni; la caduta in uno stato di depressione o sfinimento spirituale, vale a dire l’annichilimento di sé, una disperazione che ben conoscono medici e sacerdoti; un recupero lento, una presa di coscienza di ciò che è accaduto in particolare e della sua posizione nel mondo più in generale. La questione della “posizione di sé nel mondo”, della presa di coscienza – premessa indispensabile al recupero – non è così peregrina come può sembrare. La Franzoni è stata una bambina viziata, che in famiglia, fino alla tragedia di Samuele, hanno chiamato “la bimba”, ricoprendola di coccole. La stessa gestione del caso è, a quello che si sa, tutta del padre Giorgio, un uomo autoritario che ha prima licenziato Grosso e chiamato Taormina, poi ha lasciato che del caso si occupasse l’avvocato d’ufficio Paola Savio, quindi ha richiamato Grosso, che ha invano pronunciato la sua difesa davanti alla Cassazione. L’impressione è che si sa sarebbe potuto far di più, tecnicamente, per la donna.

• In che modo?
Le madri che ammazzano i loro bambini piccoli sono purtroppo un classico della cronaca nera e della psichiatria: in Italia ce ne sono una decina ogni anno. L’iter giudiziario che segue queste tragedie è sempre lo stesso: la donna si dichiara inferma di mente (parziale o totale), viene dunque messa in un ospedale specializzato, di solito quello di Castiglione dello Stiviere, e ci resta una decina d’anni. Dopo di che esce e non mi chieda se è guarita o no. Ogni tanto, s’ammazzano. La cosa di cui soffrono viene chiamata poeticamente “sindrome di Medea”. Ora, fin dal primo istante, la Franzoni non ha voluto essere una Medea. Il discorso – così come ha preteso il padre – è stato: no, io non sono inferma di mente, non sono matta, eccetera. IO SONO INNOCENTE. Da questa presa di posizione, mai negata, è scaturito tutto il resto. Cioè un processo, per dir così, “normale” e una condanna, anche questa, “normale”. Anzi, generosa: perché il piccolo Samuele, di tre anni, è stato ammazzato con 17 colpi in testa e il cervello alla fine gli usciva dalle orecchie. Se chi ha commesso questa barbarie era in grado di intendere e di volere, cioè era perfettamente in sé, lei lo capisce... in questo caso 16 anni sarebbero pochi.

• Ma lei ci crede che sia stata lei, o no?
La risposta più giusta l’ha data forse Bruno Vespa: « stata lei, ma non lo sa». possibile anche questo. La nostra capacità di rimozione è immensa. La scienza conosce persino il caso di personalità multiple, tizi che hanno addirittura nomi diversi a seconda della personalità che in quel momento li muove. Ci sono in letteratura casi persino divertenti, a illuminare malinconicamente queste tragede, ma non è il caso adesso di parlarne, all’apparente epilogo di questo dramma. Dico “apparente”, perché ho l’impressione che la questione non sia affatto chiusa.

• Quella della Cassazione non è l’ultima parola?
Sì. Ma l’avvocato Paola Savio ha detto di voler lavorare per una revisione del processo e Taormina promette di continuare le indagini per conto suo, nel nome di Samuele. Poi ci sono gli strascichi delle querele per calunnia alla Franzoni e allo stesso Taormina, il cosiddetto Cogne-bis. Infine i vicini di casa della Franzoni, quelli che Annamaria a un certo punto ha indicato come i veri assassini, hanno querelato a loro volta. Era ovvio.

• L’avvocato Grosso, in Cassazione, ha sostenuto che manca il movente.
Soprattutto manca l’arma del delitto. Quanto al movente, la mamma che ammazza il proprio piccolo non ha mai movente, se non – come si dice – “l’impeto”. Il movente ci vuole per sostenere che qualcun altro, acquattato dietro la villetta, sia entrato in casa e abbia fatto quello che ha fatto nei pochi minuti disponibili. Il movente di qualcun altro, nel caso, lo devono tirar fuori proprio i difensori della Franzoni. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 23/5/2008]