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 2008  maggio 28 Mercoledì calendario

I dati diffusi ieri dall’Istat mostrano che da gennaio ad aprile gli stipendi degli italiani, confrontati con quelli di gennaio-aprile 2007, sono aumentati mediamente del 2,8 per cento

I dati diffusi ieri dall’Istat mostrano che da gennaio ad aprile gli stipendi degli italiani, confrontati con quelli di gennaio-aprile 2007, sono aumentati mediamente del 2,8 per cento. Siccome l’inflazione nello stesso periodo è stata del 3,3, risulta che – sempre mediamente – le buste paga degli italiani hanno perso mezzo punto in potere d’acquisto.

• Quindi continuiamo ad andare male.
Un’altra indagine, stavolta della Nielsen, mostra che un terzo degli italiani, l’anno scorso, non è mai andata a mangiare fuori, né a pranzo né a cena. Potremmo tentare di consolarci del dato sugli stipendi pensando che, secondo la stessa Istat, ci sono ancora tanti contratti da rinnovare: 7 milioni e 100 mila dipendenti stanno aspettando di essere messi a posto. un numero che rappresenta il 58 per cento del monte retributivo totale e il 57,8% della quota dipendenti. Mancano, per esempio, i lavoratori dell’edilizia, una parte di quelli della Pubblica amministrazione (i dipendenti degli Enti locali e quelli del Servizio sanitario nazionale hanno firmato a fine aprile, gli effetti positivi si vedranno a maggio), l’agricoltura. In totale stanno a posto con i loro contratti il 42% dei dipendenti, cioè 5,2 milioni di lavoratori.

• Significa che, quando tutti i contratti saranno firmati, avremo una media retributiva al di sopra dell’inflazione?
Chi lo sa. Intanto bisogna vedere come andrà l’inflazione. L’Economist ha scritto che i due terzi dell’umanità, cioè quattro miliardi di persone, vanno incontro a un’inflazione a due cifre. Anche se l’Europa è certamento nell’altro terzo, è un fatto che ci aspetta per i prossimi cinque anni un mondo altamente inflattivo, tormentato dai rincari dell’energia e degli alimentari. La questione degli stipendi e dei salari è infatti puramente nominalistica se non ci si riferisce al potere d’acquisto della busta-paga. Qui precipitiamo nella questione della forma-contratto, l’infinita polemica che oppone Confindustria a sindacato. Anche se adesso pare che la pensino in modo non dissimile.

• Di che si tratta?
Qualche volta dovremmo aver accennato alla questione. In Italia domina la contrattazione a livello nazionale che garantisce la massima importanza ai capi sindacali. Senonché trattare a livello nazionale spinge naturalmente le retribuzioni di tutti verso un comune denominatore minimo. Se devo parlare a nome di tutti e tenendo conto delle realtà di tutti, mettendo insieme cioè le problematiche di Milano e quelle di Cosenza, dovrò forzatamente attestarmi sui parametri di Cosenza, per rendere poi i contratti gestibili ovunque. Cremaschi, uno dei cigiellini più estremisti, dice con espressione assai felice: «L’Italia è il Paese di massima arretratezza salariale e di massimo potere politico del sindacato».

• Sta dicendo che, se si abbandonasse la contrattazione nazionale e si facessero solo contratti aziendali, gli stipendi potrebbero essere più alti?
Non è l’unico elemento che può far crescere le retribuzioni, ma certo è un aspetto importante del problema. Intanto si semplificherebbe un minimo il panorama: lo stesso Epifani ha dovuto ammettere un certo sgomento di fronte a un mondo del lavoro regolato da 800 contratti. Gli economisti de Lavoce.info propongono addirittura di ridurre gli 800 contratti a uno solo, valido per tutti: molto dettagliato nella parte normativa, molto semplice in quella retributiva. Si limiterebbe a stabilire una soglia minima al di sotto della quale nessun datore di lavoro può permettersi di andare. La parte residua della retribuzione dovrebbe essere trattata a livello aziendale.

• Scusi, è pura teoria. Ci sono migliaia di aziende che non hanno rappresentanza sindacale, magari perché sono troppo piccole.
Boeri e Garibaldi – i due de LaVoce – propongono di prevedere a livello nazionale un aumento retributivo automatico collegato alla produttività. Che è un’idea coerente con quello che propone l’altro giuslavorista del Pd, Pietro Ichino. Certo, bisognerebbe guardar bene i parametri per stabilire la produttività, perché le aziende con i bilanci possono far quasi quello che vogliono... D’altra parte, tutte le indagini rilevano che i prezzi sono più alti al Nord del 15%. Il che significa che gli stessi ipotetici mille euro contrattati a livello nazionale, valgono al Sud il 15% più che al Nord. Un’altra distorsione da farsi venire il mal di testa, e che apparentemente si può correggere solo lasciando che sul territorio le parti contrattino liberamente i loro livelli retributivi tenendo conto anche di quello che costano i supermercati sotto casa. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 28/5/2008]