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 2008  maggio 30 Venerdì calendario

C’è il caso di un bambino nato senza reni e, anche se la cronaca non lo dice, il problema è: farlo vivere oppure no? • In che senso “la cronaca non lo dice”?Il dubbio si legge tra le righe

C’è il caso di un bambino nato senza reni e, anche se la cronaca non lo dice, il problema è: farlo vivere oppure no?

• In che senso “la cronaca non lo dice”?
Il dubbio si legge tra le righe. Il bambino è nato a Foggia un mese fa, i genitori - Massimo e Maria Rita Vigilante, di 38 e 33 anni - hanno altri due figli. Questo terzo figlio si chiama Davide. Non ha i reni, non ha gli ureteri, cioè quei condotti che portano la pipì dai reni alla vescica, ha anche una vescica pochissimo sviluppata, polmoni difettosi, piedi ritorti, malformazioni al viso. La malattia si chiama sindrome di Potter. Non è mai sopravvissuto nessuno. Lo hanno messo in incubatrice. I medici hanno detto subito ai genitori che non c’erano speranze. Ma, a un certo punto, il bambino ha cominciato a respirare da solo. E questo ha cambiato i termini del problema: era trasportabile, non si poteva escludere del tutto - secondo i medici - una speranza.

• Quale speranza? Se non ha i reni...
I reni si possono trapiantare. Bisogna però che il piccolo arrivi a pesare almeno 8-9 chili. Cosa – stando a quello che dicono i medici – mai accaduta a nessun essere umano nato con la sindrome di Potter. In ogni caso: quando Davide ha cominciato a respirare, i medici hanno chiesto ai genitori se volevano trasportare il bambino all’ospedale Giovanni XIII di Bari, meglio attrezzato. Il papà e la mamma hanno chiesto il tempo di riflettere e hanno messo per iscritto che avrebbero dato una risposta il giorno dopo. Questo è bastato al giudice per toglier loro la patria potestà, affidare il piccolo a un medico e disporre d’autorità il trasporto a Bari.

• Si può fare? Un giudice può decidere che non io ho più il diritto di prender decisioni su mio figlio?
Si può fare. il diritto di famiglia del 1975. Il tribunale può sottrarre un bambino ai suoi genitori a seguito di un comportamento riprovevole o di una seria negligenza nella cura o nell’educazione del minore. Era questo il caso? Mah. Il fratello del padre, Antonio, ha lanciato una petizione sul suo blog per chiedere che la patria potestà venga restituita a suo fratello. Ha raccolto 900 firme e tra queste quella di Mina Welby. Dice che siamo in presenza di un “accanimento terapeutico”: «Per dializzare Davide hanno adoperato l’arteria ombelicale. Poi quella inguinale. Quando non sarà possibile usare altre arterie dovranno interevenire sulla giugulare. Poi non ci sarà più nulla da fare».

• Ma è giusto lasciar morire un bambino che potrebbe vivere? E sia pure se ci fosse una possibilità su un milione?
Questo è il problema. Chi è favorevole – in casi come questi – a lasciar morire il malato, controbatte: «Ma che vita sarebbe quella di un essere umano in condizioni fisiche simili?» Questa risposta, apparentemente sensata, ci costringe subito a definire la vita: è vita solo quella priva di dolore, priva di problemi, in qualche modo “perfetta”? Perché se la risposta è “sì”, si tratta allora di definire questa perfezione. I fondamentalisti della vita ad ogni costo ricordano il caso di quella mamma che preferì abortire piuttosto che veder nascere un figlio col labbro leporino. La legge attuale glielo permette. Ma è giusto? Non è un caso di selezione genetica?

• Scusi, sono esagerazioni. C’è una bella differenza tra il labbro leporino e un uomo costretto a vivere senza reni, con i piedi storti e le malformazioni al viso.
Lei ha ragione, ma il punto è stabilire se, quando parliamo di vita, siamo di fronte a un “valore non negoziabile” o no. Se la vita umana in quanto tale non è un valore negoziabile, allora bisognerà preservarla e difenderla quali che siano le menomazioni in cui si trova. Non sarà ammessa la distinzione tra “vita” e “vita”, “vita buona” e “vita cattiva”, “vita dolorosa o menomata” e “vita sana o senza dolore”. Dato che qualunque accidente – buono o cattivo – fa parte della vita. Lo so che la drammaticità del caso concreto può far considerare addirittura con fastidio queste discussioni, che sembrano assai astratte. Eppure, non si può legiferare su questa materia senza richiamarsi a un qualche principio: siamo solo un passaggio dell’evoluzione e quindi la scomparsa di un individuo o dell’intera nostra specie va guardata con indifferenza, come il momento necessario di un inarrestabile processo naturale? E siamo dunque, in questo senso, illimitatamente autorizzati a manipolare noi stessi per determinare il nostro destino? O siamo qualcosa di diverso dagli altri esseri viventi, e qualunque intervento relativo alla vita di ciascuno di noi, dal momento del concepimento in poi, è sacrilego quale che sia la condizione in cui ci troviamo? Le auguro di non dover mai decidere su queste questioni per qualche caso concreto che la riguarda. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 30/5/2008]