La Gazzetta dello Sport, 3 marzo 2009
Eccoci alle prese con un’altra giornata nera delle Borse. Ha cominciato Tokyo, di prima mattina: chiusura a -3,81%

Eccoci alle prese con un’altra giornata nera delle Borse. Ha cominciato Tokyo, di prima mattina: chiusura a -3,81%. Le piazze europee hanno seguito a ruota: Francoforte -3,48%, Parigi -4,48%, Londra -5,33%, Milano (la peggiore) -5,67%. Ieri sera alle otto, Wall Street stava sotto di tre punti e mezzo. E la situazione tendeva al peggioramento.
• Mi rispiega un momento queste percentuali, che cosa significano?
Significano che i titoli in vendita sulle varie piazze ieri costavano meno di venerdì. E come mai? Perché la maggior parte degli operatori preferiva vendere piuttosto che comprare. I primi infatti a svalutare le azioni sono quelli che le posseggono: ho comprato a 100, ma la situazione è talmente brutta che sono disposto a vendere a 20. Perché penso che domani, quello che oggi si può ancora piazzare a 20, dovrò darlo via a 10. O magari a zero.
• Ma non c’era stato il piano di Obama? E i potenti d’Europa non si sono incontrati domenica scorsa da qualche parte per studiare i rimedi?
I potenti d’Europa si incontrano tutte le domeniche e chiudono in genere le loro riunioni con qualche comunicato generico dal quale non si capisce che cosa vogliono fare. Il fatto che si incontrino ogni domenica non può che suscitare allarme: di che cos’hanno da discutere ogni sette giorni? Il guaio, se si vedono tanto spesso, dev’essere davvero grosso. E se nessuno capisce, alla fine di ogni vertice, che cosa abbiano intenzione di fare, il guaio ha l’aria di essere ancora più grosso. Domenica dovevano affrontare la crisi dell’Europa dell’Est, specialmente nella parte dove non girano ancora gli euro. In Polonia si adopera lo zloty e questa moneta si è svalutata, sull’euro, di un terzo. In Ungheria, il fiorino vale il 23% in meno. In Cechia la corona sta sotto del 17%. Significa che le merci, in questi Paesi, costano di più, nelle stesse percentuali. E che quindi il reddito di polacchi, ungheresi e cechi è stato brutalmente tagliato dalla crisi mondiale. A Bruxelles, domenica scorsa, il primo ministro ungherese Ferenc Gyurcsany voleva che le nazioni forti dell’Europa occidentale mettessero sul piatto 180-190 miliardi di aiuti. Gli occidentali hanno detto di no a un piano di aiuti generale. «Vedremo caso per caso». Il blocco dell’Europa orientale, infatti, non è unito: i redditi di Slovenia e Slovacchia, dove circola l’euro, sono rimasti per ora indenni dalla bufera. Sloveni e slovacchi al piano di aiuti si oppongono. In ogni caso il no della Merkel e degli altri è una delle cause del crollo di ieri.
• Perché?
Gli operatori lo hanno interpretato come una mancanza di idee. Non hanno torto. Un’altra ragione è che a essere fortemente indebitate sono le banche di questi Paesi dell’Est Europa. E chi sono i loro creditori? Le banche dell’Europa occidentale, che molto spesso sono anche le padrone di quelle orientali. Il mercato giudica molto pericolosa questa partita di giro, come si vede dai colpi inferti a Unicredit (tornata ieri sotto l’euro), benché Tabellini l’altro giorno sul Sole 24 Ore abbia spiegato che si tratta di Paesi piccoli con numeri piccoli. Però se Ungheria e Lettonia – per esempio – falliscono, allora l’Austria non incasserà i suoi soldi e forse andrà in default anche lei. E così via.
• Qualche buona notizia?
Il mercato dell’auto, specie in Italia. Gli effetti degli incentivi e della rottamazione non si sentono ancora e i numeri dicono che le vendite in febbraio sono calate del 24,45% rispetto all’anno scorso. Però Fiat è cresciuta in Borsa ieri (+1,61%) in presenza di un aumento degli ordinativi adesso, aumento i cui effetti si vedranno a marzo. Nel resto del mondo, naturalmente, anche questo segmento va molto male.
• Quindi ancora Italia sugli scudi?
Non troppo. Gli ultimi calcoli dell’Istat valutano nel 2008 una discesa del Pil dell’1%, il minimo da 30 anni in qua. Il rapporto col deficit è comunque al 2,7, ancora dentro i parametri di Maastricht. Nonostante i rischi di Unicredit e i tonfi di tutti i bancari, possiamo consolarci con quello che sta succedendo alla londinese Hsbc, la più globale delle banche: utili tagliati del 70%, seimila persone licenziate e chiusura delle filiali americane. Gli esperti considerano quest’ultimo fatto un segnale molto preoccupante: significa che quella banca rinuncia a far credito nel resto del mondo per concentrarsi nel suo Paese. proprio il contrario di quello che predicano i potenti alla fine dei loro vertici: no al protezionismo, cioè alla chiusura di ciascuno dentro casa sua, uniti tutti insieme per battere la crisi. Solo teoria, si direbbe. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 3/3/2009]