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 2009  marzo 13 Venerdì calendario

Tre impiegati della sezione belga di Medici senza frontiere sono stati rapiti in Darfur, regione del Sudan occidentale in preda alla guerra civile

Tre impiegati della sezione belga di Medici senza frontiere sono stati rapiti in Darfur, regione del Sudan occidentale in preda alla guerra civile. Sono un medico italiano che si chiama Mauro D’Ascanio, un coordinatore- medico francese di nome Raphael Meonier, e un’infermiera canadese, Laura Archer. Con loro c’erano anche 2 operatori locali che però sono già stati rilasciati. «I tre sono vivi, stanno bene e si sta lavorando per liberarli», hanno dichiarato esponenti del governo sudanese.

Il Sudan non è quel posto di cui abbiamo parlato qualche giorno fa, quello il cui presidente doveva essere arrestato?
Sì. Ricorderà che il Tribunale internazionale dell’Aja, dopo sette mesi di riflessioni, aveva accolto la richiesta del procuratore generale Ocampo e chiesto l’arresto del presidente del Sudan, Omar al-Bashir. Le stesse regole che si è dato il Tribunale internazionale, però, rendono di fatto impossibile eseguire il mandato: ad arrestare Bashir, un dittatore feroce e sanguinario, dovrebbero essere gli stessi sudanesi. La richiesta dell’Aja è stata seguita, in Sudan, da grandi manifestazioni di solidarietà verso Bashir e da una serie di rappresaglie che faranno soffrire ancora di più quel popolo. Tra queste, la decisione di espellere 13 Organizzazioni umanitarie non governative e in particolare le sezioni francesi e olandesi di Medici senza frontiere. Ecco una prima conseguenza di un atto demagogico – la richiesta d’arresto – col quale all’Aja si sono fatti belli sulla pelle degli altri.

Pensa che anche il sequestro dei tre sia una conseguenza di quella richiesta d’arresto?
Non lo so. Il governo italiano s’è guardato bene dal prendere una posizione netta sul mandato di cattura per Bashir, in modo da non mettere a rischio gli investimenti italiani laggiù, che sono notevoli. Il governo sudanese si dice peraltro convinto che proprio le organizzazioni no-profit abbiano fornito al tribunale dell’Aja le notizie utili per il mandato di cattura. In ogni caso, adesso c’è un italiano in mano a banditi forse sudanesi. Secondo Unamid, l’agenzia delle Nazioni Unite, ci sarebbe già stata la richiesta di un riscatto. Medici senza frontiere dice di no. La Farnesina ha chiesto il massimo riserbo. Sempre l’Unamid, attraverso il portavoce Kamal Saki, ricostruisce così il blitz: «Un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione ieri (mercoledì, ndr) attorno alle 20 (18 in Italia) negli uffici di Msf-Belgio a Saraf Umra, circa 200 km a ovest di El Fasher. Si tratta della prima volta che operatori umanitari internazionali vengono rapiti in Darfur». Un comunicato del Quirinale fa sapere che il presidente Napolitano segue «con viva preoccupazione » la vicenda.

Chi è questo medico italiano rapito?
Un veronese di 34 anni, specializzato in medicina d’urgenza e medicina tropicale. Esperienze in Guinea Bissau, Messico, Brasile, Guatemala. Era arrivato in Darfur a settembre. Gli era stato affidato l’ospedale di Serif Umra.

In Sudan non opera anche Gino Strada?
Sì, Emergency ha un ospedale cardiologico-modello a Karthoum, la capitale. l’unico centro del genere in tutto il continente, se si esclude il Sudafrica. Strada ha duramente criticato l’iniziativa dell’Aja: « vero che è stato il Consiglio di Sicurezza ad affidare alla Corte Penale Internazionale il compito di indagare sulle violenze in Darfur, ma non riesco a comprendere come il massimo organismo dell’Onu possa investire di un compito così delicato un istituto che non è riconosciuto da tutti i Paesi. La credibilità del Tribunale dell’Aja è così minata per sempre». Emergency sta per aprire un centro pediatrico a Nyala, nel Darfur meridionale. Bisogna sperare che questa iniziativa non venga bloccata dalla nuova situazione.

Ho sentito che Medici senza frontiere, proprio l’altro giorno, aveva criticato la stampa italiana che si disinteressa delle grandi tragedie del mondo.
Sì, nel Quinto Rapporto sulle Crisi Dimenticate si mette in evidenza che, per esempio, il mese di colera in Zimbabwe, con centinaia di migliaia di uomini e donne in fuga verso il Sudafrica, ha prodotto solo 12 notizie nei tg Rai e Mediaset. Nello stesso periodo, i notiziari si sono occupati 33 volte delle nozze Gregoraci- Briatore. Idem l’Etiopia (6 notizie), messa a confronto con Carla Bruni (208). un’accusa vera, e che nello stesso tempo non sta in piedi. Detto in due parole: se la tragedia di Zimbabwe ed Etiopia è entrata nella testa di qualcuno è perché i giornali che l’hanno raccontata hanno pubblico. E se hanno pubblico è perché parlano anche di temi popolari, come Carla Bruni o Briatore. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 13/3/2009]