La Gazzetta dello Sport, 17 marzo 2009
Ci sono dati Cgil che drammatizzano ulteriormente la crisi: Pil a meno 4% in tre anni, disoccupazione al 10,1% nel 2010, cioè 2

Ci sono dati Cgil che drammatizzano ulteriormente la crisi: Pil a meno 4% in tre anni, disoccupazione al 10,1% nel 2010, cioè 2.547.000 persone a spasso. Brunetta domenica scorsa ha detto invece che «il peggio è passato» e ha assicurato che i 9 miliardi messi da parte per gli ammortizzatori sociali sono «soldi veri». Ieri sera il Tg4 ha fatto un servizio sulle vacanze e detto chiaramente che tutte queste difficoltà non ci sono, la gente si prepara a far festa per Pasqua come tutti gli anni.
• Chi ha ragione?
Mah. Anche se ognuno stressa il proprio punto di vista per ragioni politiche, credo che il pessimismo della Cgil sia più vicino alla realtà dell’ottimismo governativo. Del resto la crisi è globale e non può esserci un sollievo italiano che non abbia qualche corrispondenza con miglioramenti percepiti anche all’estero. E all’estero stanno tutti con la testa sotto le coperte, la popolarità di Obama è più bassa di quella che aveva Bush a questo punto e questo perché il piano preparato dal presidente Usa lascia perplesse troppe persone. I ministri finanziari continuano a incontrarsi ogni weekend e tutto il Pianeta aspetta questo famoso vertice del 2 aprile che dovrebbe trovare il bandolo della matassa. Quindi, sulle difficoltà delle nostre piccole e medie imprese e sui relativi rischi di chiusura e disoccupazione c’è poco da strologare. Ieri sul Corriere Sergio Rizzo ha fatto il quadro della situazione e non è per niente allegro.
• Quante aziende stanno chiudendo?
Le cito il finale dell’articolo: «Al ministero dello Sviluppo si aprono decine di vertenze al mese. C’è la chiusura dello stabilimento di Venturina in Toscana della Cst net, fabbrica di circuiti stampati con 95 dipendenti che fa capo al gruppo Lonati, a cui lo Stato aveva dato un contributo a fondo perduto di 9 milioni. C’è l’amministrazione straordinaria del gruppo Ittierre. Il concordato preventivo della Nicoletti, fabbrica di mobili imbottiti con 375 lavoratori. C’è la crisi del distretto delle ceramiche di Civita Castellana: 3000 persone. C’è la Speedline, produttore di cerchi per auto con 620 dipendenti, colpita dalla crisi dell’auto... ». Prima, Rizzo aveva parlato delle difficoltà del tessile e della rabbia che prende la piccola e media impresa quando s’accorge che gli unici capaci di smuovere il governo sono quelli della Fiat (cosa neanche troppo vera)
• Indesit?
Non la cita nemmeno, la Indesit piemontese è già data per spacciata. Rizzo racconta che l’uscita della Marcegaglia dell’altro giorno («dateci soldi veri») è il risultato delle pressioni di centinaia di aziende piccole e medie, di cui s’è fatto portavoce l’udinese Giuseppe Morandini. La Confindustria vuole cinque miliardi di fondo di garanzia, il governo ha promesso 450 milioni e secondo gli imprenditori non ci saranno alla fine che 50 milioni. Anche gli industriali mettono in evidenza che con la cassa integrazione ci sono problemi. Rizzo: «Le piccolissime imprese non hanno cassa integrazione e le più grandi la stanno finendo. L’Ilva di Cornigliano, per esempio. A giugno scade la cassa ordinaria per 400 lavoratori e ad agosto la cassa straordinaria per altri 500. E dopo? C’è sempre la cassa in deroga, che finisce però a dicembre».
• La Cgil invece che cosa chiede?
Una tassa di solidarietà che duri due anni, imposta ai redditi superiori ai 150 mila euro l’anno: l’aliquota per costoro andrebbe portata dal 43 al 48%, questo renderebbe disponibili un miliardo e mezzo di euro «che consentirebbero di estendere l’indennità di disoccupazione ordinaria, aumentare di circa 200 euro gli importi mensili di cassa integrazione ordinaria e straordinaria e ampliare la platea per il sostegno al reddito dei collaboratori ».
• Non si può fare?
Un aumento secco delle tasse deprimerebbe ulteriormente la domanda e il problema di tutti, adesso, è proprio la domanda. inutile fabbricare se nessuno compra. C’è poi il fatto che noi abbiamo già adesso una delle più alte pressioni fiscali al mondo e un analogo, altissimo tasso di evasione. Alzare di cinque punti l’ultima aliquota avrebbe come effetto un aumento di tutti e due gli indici, cioè pressione ed evasione ancora più alte, con probabile risultato pari a zero in termini di cassa. C’è poi un’obiezione politica di cui i soggetti in campo dovrebbero a un certo punto farsi una ragione: questo è un governo di destra votato da un blocco sociale di destra. Questo blocco non vuole più tasse, ma meno tasse. Non si può certo chiedere a Berlusconi di travestirsi da Prodi. E cinque punti di aliquota forse non li avrebbe concessi neanche Prodi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/3/2009]