Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  luglio 04 Sabato calendario

Se non ci fosse stata la tragedia di Viareggio, questa settimana ci saremmo occupati della politi­ca estera di Obama in Oriente

Se non ci fosse stata la tragedia di Viareggio, questa settimana ci saremmo occupati della politi­ca estera di Obama in Oriente. Due avvenimenti di prima gran­dezza: martedì gli americani hanno cominciato a ritirarsi dal­­l’Iraq, e in Afghanistan siamo giunti al punto culminante di un’offensiva in corso da più di due mesi e che ha come obiettivo la riconquista dell’Helmand, la zona dove operano gli italiani. L’operazione si chiama Khanjar – Colpo di spada – e si propone di cacciare definitivamente i tale­bani da una zona strategica per la vicinanza col Pakistan e l’ab­bondanza delle coltivazioni di grano e soprattutto d’oppio, at­traverso le quali i talebani, che hanno costituito un governo provvisorio e comandano come fossero i capi di uno Stato indi­pendente, finanziano la propria guerra e il terrorismo internazio­nale. Cioè al Qaeda o quel che ne resta.

Il suo accenno agli italiani che cosa significa? Che stiamo combattendo anche noi?
No, il comando italiano ha ce­duto il territorio agli americani perché esercitino la loro offensi­va secondo le regole dell’Endu­ring Freedom ( search and de­stroy ) e non seguendo i nostri caveat. Gli italiani hanno assun­to un atteggiamento più offensi­vo solo nella provincia di Bad­ghis, a nord di Herat, e a sud di Kabul dove hanno soprattutto affiancato le truppe afgane. Ie­ri, a 20 chilometri da Farah, un nostro mezzo Lince ha subito un attentato suicida: due parà sono rimasti lievemente feriti, in un’operazione che ha porta­to alla cattura di un gruppo di insorti e al sequestro di armi.

La vera offensiva è però quella americana di adesso.
Sì. Lei ricorderà che Obama si propone di portare gli effettivi statunitensi in quel Paese dai 32 mila di gennaio ai 68 mila del prossimo dicembre. Ebbene il trasferimento più consistente è avvenuto negli ultimi due me­si: 8500 marines sono stati por­tati dagli Stati Uniti all’Afghani­stan. Di questi, quattromila par­tecipano all’attacco in corso in queste ore, insieme con 650 sol­dati e agenti di polizia afghani, appoggiati da 50 aerei e da un numero imprecisato di elicotte­ri. L’Helmand è la maggiore provincia afghana per estensio­ne (poco più piccola dell’Irlan­da) ed è uno dei bastioni taleba­ni nel sud dell’Afghanistan: vi si produce più della metà del­l’oppio afgano che a sua volta alimenta il 90% del mercato mondiale dell’eroina.

Come sta andando?
I talebani, mentre resistono, hanno ucciso un soldato ameri­cano. L’operazione Colpo di spa­da , che non è ancora conclusa, replica quello che l’esercito pakistano è riuscito a fare nella valle dello Swat. Uscendo, gra­zie alla voce grossa di Obama, da un criminale torpore, l’eser­cito del nuovo presidente Zar­dari, vedovo di Benazir Bhutto, è riuscito a riprendere il control­lo del territorio e a cacciare i ta­lebani, i quali s’erano impadro­niti delle miniere di smeraldi di Gojaro Valley, le più preziose al mondo. Per poche settimane, i talebani avevano costituito una Repubblica della sharia, obbli­gato tutti i maschi giovani a sca­vare e accumulato soldi ven­dendo diamanti grezzi al mer­cato nero. Centomila dollari al giorno. Colpire talebani e qaedi­sti sulle fonti di finanziamento (gli smeraldi qua, l’oppio là) è decisivo. E una mano la darà la Russia: alla vigilia della visita di Obama a Mosca, ha concesso di aprire un corridoio sul pro­prio territorio lungo il quale far passare armi e approvvigiona­menti per le truppe Usa.

E in Iraq? Non è contradditorio che mentre è in corso una gran­de offensiva complessiva, vi sia un ritiro da Baghdad?
Una volta tanto le promesse fat­te in campagna elettorale ven­gono mantenute. Barack aveva chiaramente detto che se fosse stato eletto avrebbe incremen­tato l’impegno in Afghanistan e avrebbe lasciato l’Iraq definiti­vamente entro il 2011. Aveva an­che detto la data in cui questo ritiro sarebbe cominciato: 30 giugno 2009, appunto. C’era so­lo un’area della scacchiera che si prevedeva diversa: quella ira­niana. Benché possa sembrare pazzesco, Washington sperava che alla fine Teheran avrebbe dato un contributo importante all’eliminazione dei talebani. I pashtun sono in maggioranza sunniti, cioè nemici degli sciiti che comandano in Iran.

Perché l’offensiva in Afghani­stan arriva proprio adesso?
Il 20 agosto ci sono le elezioni presidenziali. Far sì che si svol­gano regolarmente e pacifica­mente è una grande vittoria po­litica, carica di significato. Co­me in Iraq il ritiro avviene con l’ambizione di lasciare il con­trollo del Paese agli stessi ira­cheni, così in Afghanistan non può esserci soluzione se il basto­ne del comando non passa agli afghani. Secondo la valutazio­ne Usa, in quest’ottica la conqui­sta dell’Helmand è strategica­mente essenziale. Anche gli in­glesi erano riusciti a insediarsi laggiù, ma poi, nel febbraio 2007, i talebani li avevano ricac­ciati indietro. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/7/2009]