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 2009  luglio 17 Venerdì calendario

Governo nervoso che non riesce a fare le nomine Rai, deve subire un’intemerata del presidente del­la Repubblica (un unicum nella nostra storia) e assistere ancora una volta alla fronda di Fini che elogia il Quirinale anche per marcare la sua differenza da Ber­lusconi e soprattutto dalla Lega

Governo nervoso che non riesce a fare le nomine Rai, deve subire un’intemerata del presidente del­la Repubblica (un unicum nella nostra storia) e assistere ancora una volta alla fronda di Fini che elogia il Quirinale anche per marcare la sua differenza da Ber­lusconi e soprattutto dalla Lega.

E’ roba seria? Non sono le solite schermaglie che non portano da nessuna parte?
Beh, il presidente della Camera è un pezzo da novanta dell’at­tuale maggioranza. Ha definito «politicamente incisiva» una lettera che Napolitano ha scrit­to l’altro giorno al presidente del Consiglio e ai presidenti del­le due Camere per criticare du­ramente la legge sulla sicurez­za, quella che contiene il reato di clandestinità per gli stranieri che vengono da noi senza per­messo e che prevede la creazio­ne di un sistema di ronde priva­te che garantiscano la sicurez­za dei cittadini.

Che cosa ha avuto da dire Napo­litano?
Cinque cartelle di osservazioni. Sostanzialmente: la legge è un aggregato di provvedimenti molto diversi uno dall’altro, sta­bilisce regole che troppe volte risulteranno impossibili da ap­plicare, manca di organicità, si contraddice con altre norme in vigore e contraddice se stessa all’interno dello stesso testo. I tecnici del Quirinale hanno stu­diato a lungo quella legge e sot­tolineato con la matita blu un mucchio di punti. Per esempio: se uno viene condannato per­ché è entrato clandestinamen­te in Italia e dopo l’espulsione rientra, non potrà più essere processato perché in Italia non si può finire davanti al giudice due volte per lo stesso reato. Dunque, il reato di clandestini­tà – pazzescamente – favori­rebbe l’immigrazione irregola­re. La storia dello spray al pepe­roncino rosso di cui potranno dotarsi i volontari metropolita­ni senza che per ciò li si possa definire «armati»: se il peperon­cino rosso non è un’arma, po­tranno dotarsene anche i delin­quenti senza incorrere poi nel­le aggravanti previste dalla leg­ge. E così via. Il Presidente la­menta anche che un provvedi­mento partito con 22 articoli, nel corso di un anno si sia tripli­cato.

Se non gli stava bene non pote­va respingerlo?
E’ la domanda giusta. Il Colle ha spiegato che, pur così criticabi­le, il pacchetto sicurezza conte­neva però delle norme di con­trasto alla grande criminalità che rendevano comunque con­sigliabile la sua promulgazio­ne. Solo che così facendo non si sa se il Quirinale abbia fatto qualcosa di costituzionalmente ammissibile. La Costituzione prevede che una legge sia ap­provata o motivatamente re­spinta. Il fatto che sia giudicata con un documento ufficiale in­dirizzato alle tre cariche dello Stato ha preso tutti di sorpresa. Marcello Pera, che è stato presi­dente del Senato tra il 2001 e il 2006, ha scritto che Napolitano si è arrogato un diritto che non ha. Dice sostanzialmente la stessa cosa anche Di Pietro, per­ché accusa Napolitano di esser­si nascosto dietro una missiva che lascia il tempo che trova per far entrare in vigore «un’al­tra legge porcata». Marcello Sorgi, sulla Stampa , ha osserva­to che la lettera di Napolitano è un primo passo verso il presi­denzialismo, quel sistema cioè in cui il presidente della Repub­blica è il vero dominus della po­litica. Sul modello francese.

Berlusconi che ha detto?
Non ha fatto una piega. «Otti­mo, grazie, terremo conto delle osservazioni». Il Cavaliere non vuole nessuna polemica con il Quirinale anche perché è con­vinto che quando si mette con­tro Napolitano perde qualche punto nei sondaggi. I leghisti, molto malmostosi dietro le quinte, non hanno aperto boc­ca. Solo Fini, ieri sera, ha deci­so di dir la sua.

Il «politicamente incisiva»? Ba­sta questo per far fibrillare tut­ti?
Certo, perché è l’ennesimo di­stinguo di Fini rispetto ai suoi. Capiamo bene la direzione che hanno sempre le frecciate del presidente della Camera: il ber­saglio non è proprio Berlusco­ni, che al tempo di Noemi e del­le escort Fini ha difeso senza tentennamenti dall’assalto dei giornalisti spagnoli. Il bersa­glio è Bossi: il fondatore di An ha annunciato pubblicamente che avrebbe votato per l’odiato referendum, ha criticato a suo tempo i respingimenti, ha solle­citato il Cavaliere a prestare una maggiore attenzione al Sud, ha tenuto una posizione in­dipendente in tutte le grandi questioni che il governo Berlu­sconi ha affrontato negli ultimi sei mesi, al punto che Sansonet­ti, a quell’epoca direttore di Li­berazione , scrisse un articolo per confessare il suo smarri­mento di fronte alla constata­zione che troppe volte si trova­va d’accordo con l’ex nemico. Il presidente della Camera tira su Bossi e grazie a questo resta sul­la scena, disponibile a sfruttare sviluppi della situazione che sembrano ancora molto impro­babili, ma non del tutto impossi­bili. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/7/2009]