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 2009  luglio 26 Domenica calendario

Una piccola quota dei soldi che il governo riserva alle università italiane sarà distribuita con un criterio di merito

Una piccola quota dei soldi che il governo riserva alle università italiane sarà distribuita con un criterio di merito. Questo sempli­ce fatto ha scatenato una ridda di accuse e controaccuse, soprat­tutto perché a essere più penaliz­zate sono le università meridio­nali rispetto a quelle settentrio­nali. E questo, volendo, può esse­re letto come l’ennesimo capitolo della presunta discriminazione del Nord verso il Sud, che sta agi­tando l’intera scena politica e di cui abbiamo parlato appena un paio di giorni fa.

Sono sorpreso che solo una pic­cola parte dei soldi destinati al­le università sia ripartito secon­do il merito. Non sarebbe giu­sto ripartire tutto secondo il merito?
Finora nella decisione su come distribuire i soldi ha prevalso il cosiddetto criterio della spesa storica: cioè ci si basava sulle percentuali degli anni prece­denti, senza distinzioni di nes­sun tipo. La discussione non ri­guardava quindi il criterio del­la ripartizione, fissato una vol­ta per tutte, ma l’entità dello stanziamento complessivo di cui tutte le parti interessate (lobbies) ogni anno pretende­vano l’incremento. Stavolta a un taglio dei fondi consistente, dovuto alla crisi e alle note diffi­coltà di bilancio, ha fatto segui­to la decisione di abbandonare parzialmente il criterio della spesa storica e di introdurre un criterio di merito: 525 milioni di euro, pari al 7 per cento dello stanziamento complessivo, sa­ranno distribuiti per due terzi tenendo conto della qualità del­la ricerca e per un terzo della qualità dell’insegnamento.

Come si stabiliscono la qualità della ricerca e la qualità dell’in­segnamento?
Per la ricerca: il 50% del punteg­gio è attribuito sulla base di cri­teri adottati dalle università di tutto il mondo e cioè numero di pubblicazioni, numero di cita­zioni in riviste autorevoli, ecce­tera. Per un 30% il voto dipen­de dalla capacità dimostrata da ciascun ateneo di farsi finanzia­re dall’Europa o almeno da isti­tuzioni o aziende internaziona­li. E per un 20% dal numero di ricercatori e docenti che hanno partecipato a progetti interna­zionali. Per la didattica: il 20% dipende da un voto che è stato assegnato dagli studenti stessi, per un 40% dalla quantità di studenti che si iscrivono al se­condo anno avendo superato i due terzi degli esami previsti, per un 20% dai laureati che han­no trovato lavoro entro tre anni dalla laurea e per un ultimo 20% dal numero di precari im­piegati (più alto il numero di precari, più bassa la valutazio­ne). vero che il ministro ha fat­to ricorso, per le valutazioni, a un lavoro promosso dalla Mo­ratti quattro anni fa e che quin­di c’è sicuramente qualche sfa­satura tra le decisioni prese e la situazione di alcuni atenei nel 2009. Però l’importanza del da­to politico di fondo resta: ricor­rere al merito, cominciare a giu­dicare il lavoro delle universi­tà, troppo spesso fabbriche di sprechi e clientelismi prive di ogni controllo.

E’ stata stilata una graduato­ria? Qual è la migliore universi­tà italiana?
Sì, è stata stilata una classifica e ai primi cinque posti ci sono, nell’ordine: Trento, i Politecni­ci di Torino e Milano e le univer­sità di Bergamo e di Genova. Grazie a queste posizioni in classifica, queste cinque univer­sità riceveranno 26 milioni di euro più del previsto. Agli ulti­mi cinque posti ci sono le uni­versità di Sassari, Messina, Pa­lermo, Foggia e, ultima, Mace­rata. Qui saranno tagliati 17 mi­lioni e mezzo di finanziamenti e sarebbero stati anche di più se il ministero non si fosse impo­sto un limite, nelle sforbiciate, del 3%.

Prendono i soldi le università del Nord e li perdono quelle del Sud?
E’ così. E c’è anche un altro ele­mento che sta facendo discute­re: sembrano favorite le univer­sità a forte vocazione tecni­co- scientifica su quelle umani­stico- giuridiche. In questo, i ne­mici del ministero vedono una malizia. Molti per esempio dico­no: come si possono contare i posti di lavoro ottenuti dai lau­reati quando l’offerta di lavoro al Nord e al Sud è così differen­ziata? vero, ma allora, se non trova poi uno sbocco sul merca­to del lavoro, a che serve un’uni­versità al Sud? Ieri sul Corriere della sera Francesco Giavazzi, elogiando l’iniziativa del mini­stro, ha però avvertito, con al­larme, che in novembre molte università, se non si fa qualco­sa, dovranno chiudere. Perso­nalmente la cosa mi allarma fi­no a un certo punto: meglio po­che università d’eccellenza che molte università mediocri.

Non si potrebbe aumentare la quota di finanziamento legata al merito?
Aumenterà dall’attuale 7 fino al 30%. Ma prima ci vorrà l’appro­vazione da parte del Parlamen­to dei sei provvedimenti con i quali Tremonti e la Gelmini vo­gliono governare in futuro l’uni­versità. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 26/7/2009]