La Gazzetta dello Sport, 4 agosto 2009
«Alcuni giorni fa, in un villaggetto presso Gojra, si era tenuta una grande festa di matrimonio cristiana» racconta frate Hussein Younis all’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi

«Alcuni giorni fa, in un villaggetto presso Gojra, si era tenuta una grande festa di matrimonio cristiana» racconta frate Hussein Younis all’inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi. «Come è usanza, alla fine della cerimonia in chiesa gli invitati hanno tirato verso la coppia fiori, riso, alcune monete per augurare prosperità, e biglietti con frasi di saluto o salmi. I musulmani hanno cominciato a sostenere che in realtà i versetti religiosi erano pagine del Corano strappate. Sono volati insulti, accuse, poi pietre. Nel pomeriggio erano già state date alle fiamme alcune abitazioni. La nostra gente ha contato otto autobus carichi di estremisti arrivati da lontano. Volti sconosciuti di gente armata sino ai denti. Prima hanno tirato le pietre, poi hanno utilizzato benzina e infine pistole, mitra e persino un lanciagranate. Il bilancio di sangue poteva essere molto peggio, se i cristiani non fossero fuggiti subito. I miei familiari non sono stati abbastanza veloci e sono bruciati vivi, intrappolati tra le fiamme. Mio genero aveva il cranio sfondato ».
• In che parte del mondo siamo?
In Punjab, cioè in Pakistan. Il fatto è accaduto sabato scorso. I morti sono ufficialmente sei, tra cui due bambini ( nella foto Afp, la protesta contro il massacro). Tutti bruciati vivi. Padre Younis dice che i morti sono sette: «Tutti membri della mia famiglia, fanno tutti di cognome Hameed, è il clan familiare del marito di mia sorella: due bambini, tre donne, due uomini. Tutti massacrati o bruciati vivi per una sola colpa: essere cristiani, una piccola minoranza che non supera il 2% dei 170 milioni di pakistani».
• Veramente, in Pakistan, i cristiani sono perseguitati?
Mica solo in Pakistan. Ha dimenticato le monache sequestrate in Kenia? E don Santoro ammazzato a pistolettate in Turchia? E le stragi in India? E i cristiani che devono fuggire dall’Iraq? Sa che in Cina devono convivere due chiese, una di Stato e una che fa riferimento a Roma, e che il Papa è costretto alla massima prudenza nei rapporti con Pechino proprio perché la Chiesa che fa riferimento a lui non subisca persecuzioni? Prudenze tante volte inutili perché i religiosi che hanno passato gran parte della loro vita in galera non si contano. Persino nelle Filippine i cristiani, benché maggioranza assoluta (l’85%), sono attaccati dagli estremisti islamici e non troppo protetti, alla fine, dal governo.
• Già, i governi. Che cosa fanno?
Il presidente pakistano Zardari ha reagito, riguardo all’episodio di sabato, con una certa energia, mandando milizie paramilitari nel Punjab. Ma è proprio di ieri la notizia che il tribunale speciale di Kandhamal - in India - ha prosciolto da ogni imputazione 16 persone che erano state accusate di aver preso parte agli attacchi contro la comunità cristiana della regione l’anno scorso. I morti secondo il governo furono 40, secondo fonti non ufficiali almeno 100. Ma che cosa è accaduto al processo? «Molti testimoni non si sono presentati in tribunale, chi è venuto non ha riconosciuto i colpevoli» ha detto il pubblico ministero P.K. Kadra. E all’arcidiocesi di Bubhameswar hanno spiegato che «i testimoni sono continuamente minacciati, persino un poliziotto si è rifiutato di deporre».
• Ma che scopo ha la persecuzione dei cristiani?
Qualche volta possono esserci ragioni molto materiali: le case dei cristiani fanno gola a qualcuno, si promuove allora un attacco al quartiere. Successe così a Karachi sei anni fa: bastò spargere la voce che i cristiani avevano buttato un Corano in una fogna e la folla partì all’assalto, impossessandosi effettivamente delle case. Altre volte la motivazione è politica, come nel Punjab indiano: attaccare la minoranza cristiana significa intaccare la tolleranza del Partito del congresso (quello di Sonia Gandhi), che cerca di far convivere tutte le fedi. In India, sulla persecuzione dei cristiani e dei musulmani ha costruito la sua fortuna un forte partito, il Bhartiya Janata Party, per fortuna oggi all’opposizione. Infine i cristiani sono identificati con l’Occidente e dunque perseguitati in quanto ’americani’. Accade poi che la comunità cristiana sia più ricca delle altre e offra servizi che le altre comunità non garantiscono. In qualche modo i fedeli della nostra religione appaiono così dei privilegiati. C’è infine, specialmente nei rapporti con le popolazioni islamiche, il ricordo del colonialismo e l’identificazione della Chiesa con il potere degli antichi oppressori. Un sentimento ancora molto vivo persino in Cina.
• Non converrebbe difendersi da questi attacchi? Rispondere colpo su colpo?
Credo che la Chiesa sia contrarissima a un’idea del genere. Ma il vescovo pakistano Timotheus Nasir, uno che ha restituito il passaporto, ha cominciato proprio in questi giorni a predicare proprio la resistenza attiva. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 4/8/2009]