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 2009  agosto 12 Mercoledì calendario

Dopo parecchi giorni di dibatti­to, possiamo affermarlo con sicu­rezza: fatta eccezione per Berlu­sconi e per la Lega, tutti sono con­trari alle gabbie salariali

Dopo parecchi giorni di dibatti­to, possiamo affermarlo con sicu­rezza: fatta eccezione per Berlu­sconi e per la Lega, tutti sono con­trari alle gabbie salariali. Sinda­cati, confindustria, partiti di de­stra e partiti di sinistra.

Che cosa s’intende, esattamen­te, per “gabbie salariali”?
Che non tutti guadagnano allo stesso modo, pur facendo lo stesso lavoro. Nel nostro caso: se tu vivi al Sud devi guadagna­re di meno perché al Sud la vita è meno cara. Gliela dico rozza­mente per farle capire senza tanti fronzoli il succo della que­stione.

Quindi, per esempio, io faccio il ragioniere in un’azienda del Nord che ha anche una filiale al Sud. Mi trasferiscono nella filia­le e per questo solo fatto il mio stipendio viene tagliato?
Senta, non mi faccia entrare nei dettagli, perché i dettagli di quest’idea non li conosce nessu­no. Prima di tutto l’espressione “gabbie salariali” fa parte del re­pertorio della Lega, che tira fuo­ri quelle due parole quando vuol attirare l’attenzione. Per dire, guardando il mio archivio ho trovato una dichiarazione di Rosy Mauro del 15 aprile 2008, subito dopo la vittoria del cen­tro- destra alle elezioni: «Basta con la Triplice, siamo nelle fab­briche, al fianco dei lavoratori. E vogliamo le gabbie salariali». Bossi, sabato scorso a Pontida, l’ha detta così: «Gli stipendi qui al Nord sono troppo bassi. Inve­ce di dare tanti soldi allo Stato bisogna metterli in busta paga. La vita al Nord è più cara che al Sud. Questa estate la Lega si batterà per i salari legati al co­sto della vita». Su questa frase due osservazioni: Bossi non di­ce che bisogna abbassare gli sti­pendi al Sud, ma che bisogna alzarli al Nord. Seconda osser­vazione: «I salari legati al costo della vita» ce li avevamo con la famosa indennità di contingen­za. C’è stato un tempo, cioè, in cui periodicamente i nostri sti­pendi venivano aggiornati in base all’indice del costo della vi­ta, calcolato dall’Istat. Si scoprì poi che in questo modo l’inden­nità di contingenza (o scala mo­bile) alimentava a sua volta l’in­flazione e che nel tempo la diffe­renza tra stipendi più alti e sti­pendi più bassi tendeva a spari­re. Sicché alla fine non conveni­va fare lavori di troppa respon­sabilità o fatica. Craxi tagliò 4 punti nel 1984, l’anno dopo Ber­linguer tentò di reintrodurli con un referendum e fu battu­to. Nel 1992 il governo di Gulia­no Amato d’accordo con i sinda­cati abrogò definitivamente la scala mobile.

Se capisco il ragionamento di Bossi, si tratterebbe in questo caso di reintrodurre non una, ma tante contingenze. Magari una per ogni Regione?
Così parrebbe anche da quello che ha detto in seguito Berlu­sconi al Mattino di Napoli: «Quanto alle gabbie salariali tutti condividono l’esigenza di rapportare retribuzione e costo della vita al territorio. Legare i salari ai diversi livelli del costo della vita fra Sud e Nord rispon­de a criteri di razionalità econo­mica e di giustizia». Senonché sono tutti contrari, e la verità forse sta in una dichiarazione di Calderoli che corregge sue uscite precedenti sulle gabbie: «La mia proposta è che la con­trattazione nazionale sulla bu­sta paga sia relativa solo al mini­mo garantito e che poi abbia un forte peso la contrattazione re­gionale basata sul potere reale d’acquisto e nel contempo su quella flessibilità indispensabi­le al mondo delle imprese». Qui forse ci siamo.

In che senso?
Lo scorso 22 gennaio il governo e i sindacati, con l’eccezione della Cgil, hanno firmato un ac­cordo per una nuova forma di contratto che dia grande valore alla contrattazione decentrata (territoriale o aziendale) rispet­to alla contrattazione naziona­le, incaricata di stabilire i mini­mi salariali e le parti normati­ve. Questa intesa è stata ribadi­ta il 15 aprile in un documento sottoscritto tra sindacati – es­sendo sempre contraria la Cgil – e Confindustria. Qui è previ­sta la possibilità di forti dero­ghe alle intese nazionali, moti­vate da particolari situazioni territoriali o aziendali o magari dalla volontà di attirare investi­menti o di conquistare mercati. su questo complesso di intese già in atto che forse il governo vuole intervenire, incoraggian­done l’applicazione magari con qualche meccanismo fiscale.

Si può fare tutto questo senza il sindacato più grande?
Ieri Fassino, in un’intervista al Corriere, ha invitato Epifani a sedersi nuovamente al tavolo. I problemi esistono, comunque vogliano rappresentarli Bossi, Berlusconi o la Cgil. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 12/8/2009]