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 2009  agosto 25 Martedì calendario

A Milano c’è un assessore alla Sa­lute che si chiama Giacomo Lan­di di Chiavenna. I giornali se ne sono a un tratto occupati perché l’assessore ha constatato una dif­fusione abnorme, tra i giovani della città, della cosiddetta mi­croprostituzione, un termine in­ventato da lui stesso e col quale si definisce quella pratica, messa in atto soprattutto dalle ragaz­ze, di spogliarsi davanti a una webcam e di farsi pagare

A Milano c’è un assessore alla Sa­lute che si chiama Giacomo Lan­di di Chiavenna. I giornali se ne sono a un tratto occupati perché l’assessore ha constatato una dif­fusione abnorme, tra i giovani della città, della cosiddetta mi­croprostituzione, un termine in­ventato da lui stesso e col quale si definisce quella pratica, messa in atto soprattutto dalle ragaz­ze, di spogliarsi davanti a una webcam e di farsi pagare. Un mo­do, cioè, per arrotondare la pa­ghetta, dato che l’allarme riguar­da le minorenni. A questo feno­meno si accoppia l’altro, che ri­guarda soprattutto i maschi: una dipendenza dai video porno che fa somigliare gli affezionati del genere a dei drogati. brutto negli adulti, è molto preoccupan­te negli adolescenti.

Che cosa vuole fare l’assesso­re per combattere il fenome­no?
Spedire una lettera ai genitori della città perché stiano in guar­dia. Ha anche in programma opuscoli informativi, campa­gne pubblicitarie sui giornali e una mobilitazione degli specia­listi da mandare nelle farmacie perché facciano – suppongo – campagna direttamente. Landi dice che qualche mese fa si so­no scoperti dei ragazzini di una scuola elementare che si scam­biavano filmati zoofili, cioè im­magini di sesso tra esseri uma­ni e animali. A Milano la cosa sarebbe piuttosto urgente per­ché, come dice il sessuologo e psicoterapeuta Alberto Capu­to, «qui il fenomeno è esploso per la prima volta in Italia, dato che questa è allo stesso tempo la nostra città più tecnologica e quella con un gran numero di giovani, grazie all’Università».

Pensa che l’invio della lettera aperta alle famiglie possa fun­zionare?
Ho provato a mettermi nei pan­ni del padre o della madre a cui arriva questa lettera del Comu­ne. Suppongo che nella mag­gior parte dei casi il padre o la madre pensino: «Ma guarda un po’!» e si dimentichino subito dopo del problema. Chi può im­maginare e ammettere, infatti, che il proprio figlio sia pornodi­pendente o la propria figlia mi­cro- prostituta? I genitori che vengono chiamati dagli inse­gnanti e informati di qualche enormità commessa dai loro fi­gli cascano sempre dalle nuvo­le. D’altra parte ha ragione an­che Willy Pasini, il sessuologo, che sull’iniziativa milanese ha scosso la testa: «Il degrado è ge­nerale, il sesso è una dipenden­za come le altre in una società che ha completamente smarri­to i valori». E infatti la questio­ne è se la liberazione sessuale, cioè la caduta di ogni pregiudi­zio e di ogni remora relativa­mente al sesso, non abbia avu­to come contropartita la sua perdita d’importanza e dunque un trattamento della materia al limite dell’indifferenza. Le ra­gazzine che si tolgono il reggise­no davanti alla webcam si stupi­rebbero di tanto scandalo se leg­gessero i giornali e ne venissero a sapere qualcosa. E quanto ai ragazzini – e ai maschi in gene­re – si segnala da tutte le parti in realtà una caduta del deside­rio. Affamati e affannati davan­ti ai computer quando assisto­no alle acrobazie dei pornodivi e degli amateur, e dunque mol­to più colti in sesso teorico dei loro nonni, disarmati poi o im­branati o al limite impotenti da­vanti alle donne vere, quando gli capitano. Non le risulta che le donne hanno smesso di escla­mare «Gli uomini, che mascal­zoni!», e imprecano invece adesso «Gli uomini, che disa­stro!»?

Se si limitassero in qualche mo­do gli accessi a Internet per i ra­gazzini?
Il sessuologo Caputo sarebbe d’accordo («un’altra idea sareb­be quella di convincere le fami­glie a mettere dei filtri al pc di casa»). In realtà non funzione­rebbe: in Giappone, dove il pro­blema è scoppiato già qualche anno fa, verificarono che per questo tipo di mercato è mici­diale la combinazione telefoni­no- rete: ti filmo col telefonino e poi metto il filmato in rete. YouTube ha tutta una casistica di video non pubblicabili, ma Internet è come sappiamo un oceano incontrollabile e il cellu­lare un mezzo per navigare troppo facile. Bisognerebbe for­se limitare l’uso del telefonino o forse l’uso del telefonino trop­po tecnologico. Ma se l’immagi­na la baraonda delle polemi­che? Per non dire della guerra che subito le lobbies telefoni­che scatenerebbero.

Beh, è vero che proibire non è mai bello.
Eppure, per me, maestra di sen­sualità ed erotismo resta anco­ra la Chiesa, grande conoscitri­ce del peccato e quindi sapien­te dispensatrice di proibizioni. Era la Chiesa che ci faceva sem­brare il sesso chissà che. E che dava alle femmine, benché cari­che di desiderio, una ragione al­ta per resistere agli assalti dei maschi ed esaltarne la libidine.

Non vorrà mica tornare alle gonne lunghe e alle camicette chiuse al collo?
No, vorrei solo che si recuperas­se un po’ di vergogna. Una ra­gazza che si vergogna non met­te le proprie tette su Internet. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 25/8/2009]