Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  ottobre 15 Giovedì calendario

L’ultimo dato sugli affamati lo ha dato ieri la Fao: 1,02 miliardi di persone. In agosto la Fao ave­va presentato un rapporto, cen­trato soprattutto sulla capacità della Terra di dar da mangiare a tutti, da cui gli affamati risulta­vano 923 milioni

L’ultimo dato sugli affamati lo ha dato ieri la Fao: 1,02 miliardi di persone. In agosto la Fao ave­va presentato un rapporto, cen­trato soprattutto sulla capacità della Terra di dar da mangiare a tutti, da cui gli affamati risulta­vano 923 milioni. Un raffronto in linea, anno su anno, stima in­vece un aumento di affamati del 9%, con una percentuale allar­mante anche nei Paesi ricchi do­ve il numero di persone che ha difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena (le parole «pranzo» e «cena», a dire la veri­tà, sono esagerate nel nostro ca­so) è cresciuto del 15,4%.

Anche in Italia?
Anche in Italia, stando almeno a uno studio diffuso qualche giorno fa dal Banco alimentare e presentato in Campidoglio dal cardinale Bagnasco. Si è fis­sata la «soglia-fame» al di sotto dei 222 euro al mese spesi per nutrirsi. Sembra impossibile che da noi ci sia qualcuno pove­ro fino a questo punto. Invece il Banco alimentare risponde: so­no in tre milioni, il 4,4% delle famiglie residenti nella Peniso­la. Il profilo dell’affamato italia­no è questo: meridionale, disoc­cupato, titolo di studio basso, famiglia numerosa. Sessanta volte su cento, il nostro concit­tadino che si trova in questa condizione ha perso il lavoro. I troppi figli sono un altro fatto­re: di tutte le coppie che hanno almeno tre figli, il 10 per cento sta sotto la soglia-fame. Che per il nostro Sud i ricercatori del Banco alimentare (una onlus di Comunione e Libera­zione) hanno anche abbassato a 196-207 euro al mese. Terzo elemento, qui da noi, è l’età: il 4,5% degli anziani (una percen­tuale che corrisponde a quella della media nazionale) soffre la fame. Il Banco ha anche stila­to lo scontrino mensile dell’affa­mato italiano. Le voci principa­li: 28 euro di pane e cereali, 35 di carne e salumi, 14 di frutta, 10 di pesce, 9 di bevande.

Che cosa dice il rapporto della Fao?
Che la crisi ha fatto la sua par­te: gira meno denaro («calo dei flussi finanziari»), ci si scambia­no meno merci («calo dei flussi commerciali»), sono precipitati gli investimenti e diminuiti gli aiuti allo sviluppo. Ultimo da­to, estremamente significativo: sono calate le rimesse dall’este­ro, perché la disoccupazione, ovunque, ha colpito prima di tutto gli immigrati.

Quelli che stanno peggio?
L’area Asia-Pacifico: 642 milio­ni di persone denutrite. Nel­l’Africa subsahariana sono 265 milioni, in America Latina e Ca­raibi 53 milioni, nel Vicino Oriente e nel Nord Africa 42 mi­lioni. Inutile dire che l’obiettivo di dimezzare il numero di chi ha fame entro il 2015, ribadito ancora due anni fa (Dichiara­zione del Millennio), è stato completamente abbandonato.

Che cosa si può fare?
La Fao ha stimato che quest’an­no i 71 Paesi più poveri del mon­do sperimenteranno una cadu­ta degli aiuti del 25% rispetto al 2008. Tuttavia il problema è so­lo fino a un certo punto quello degli aiuti: bisognerebbe che il mondo occidentale facesse en­trare l’agricoltura del Terzo mondo nel circuito del commer­cio internazionale. Vale a dire, bisognerebbe che aumentassi­mo gli acquisti da quelle aree del pianeta, in modo da sostene­re la domanda. Il risvolto di una politica di questo tipo, pe­rò, sarebbe permettere ad afri­cani, asiatici, sudamericani di far la concorrenza ai nostri pro­dotti. Se lo immagina il caos po­litico che ne verrebbe? In un certo senso il sussidio al Terzo Mondo, che risolve i problemi fino a un certo punto, è in real­tà un aiuto indiretto ai nostri, una forma di protezionismo ma­scherata. Eppure, una crescita della domanda mondiale è la soluzione per uscire dalla crisi. Almeno da questa crisi. C’è poi il problema, naturalmente, di non consumare il pianeta.

In che senso?
Non è ipotizzabile né che il mondo occidentale continui a consumare ai ritmi di adesso né che il Terzo mondo, crescendo, si dia allo spreco come abbia­mo fatto noi. Mi rendo conto che questo ragionamento con­tiene una grande ingiustizia, perché siamo stati e siamo noi occidentali a bruciare risorse senza remore, sottraendole ai nostri figli e rendendo più diffi­cile il riscatto degli affamati. Se tutto il mondo si comportasse come gli europei e gli america­ni, ci vorrebbero tre Terre per apparecchiare la tavola. Qual­che cifra da un rapporto Fao di poco precedente a quello diffu­so ieri: solo l’11 per cento della Terra (un’area grande cinque volte l’Italia) è utilizzabile per la produzione agroalimentare. Di qui al 2050 gli abitanti del Pianeta saliranno a 9,3 miliar­di. Continuando così, avremo da questa parte un mondo di ciccioni, che campa di bistec­che da due chili e per i quali già adesso la Croce rossa ha previ­sto ambulanze speciali da 140 mila euro l’una. Dall’altra par­te, ci sarà un terzo dell’umanità costretta a campare con mezzo dollaro al giorno. Gli affamati di domani, cioè, tre volte quelli di oggi. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 15/10/2009]