La Gazzetta dello Sport, 29 ottobre 2009
Il Consiglio dei ministri ha appena varato il disegno di riforma dell’Università e tutta una serie di organizzazioni studentesche sono già sul piede di guerra: l’Unione degli universitari (Udu) ha fatto sapere che «in diverse città universitarie sono già in atto presìdi per informare gli studenti e la cittadinanza dell’ultimo colpo che il governo sta infliggendo al sistema universitario pubblico»

Il Consiglio dei ministri ha appena varato il disegno di riforma dell’Università e tutta una serie di organizzazioni studentesche sono già sul piede di guerra: l’Unione degli universitari (Udu) ha fatto sapere che «in diverse città universitarie sono già in atto presìdi per informare gli studenti e la cittadinanza dell’ultimo colpo che il governo sta infliggendo al sistema universitario pubblico». Altro slogan: «Non si privatizza il diritto allo studio». Si contesta anche lo strumento della delega legislativa «che lascia carta bianca al governo di legiferare senza nessuna forma di consultazione con chi l’università la vive quotidianamente ». Nei giorni scorsi l’Udu ha occupato i rettorati di Parma e Palermo e lo studentato di Catania. Ieri alcuni studenti hanno occupato simbolicamente degli uffici del Ministero della Pubblica Istruzione. Il 6 novembre, a Roma, è in programma una manifestazione nazionale.
• Che cos’è questa cosa della «privatizzazione»? Vendono le università?
La riforma prevede per ogni ateneo un consiglio d’amministrazione, responsabile di tutta la parte economica (costi, ricavi, bilancio eccetera), in cui il 40% dei posti sia assegnato a membri esterni. Suppongo che la Gelmini e Tremonti pensino a un qualche rapporto con le realtà economiche del territorio, sostanzialmente i rappresentanti delle grandi aziende o magari degli enti locali. Non lo sappiamo ancora, perché questo è uno dei punti che sarà deciso attraverso i decreti delegati, lo strumento di cui gli studenti non vogliono sentir parlare.
• Di che si tratta?
Tu fai una legge che fissa i criteri generali della riforma e lasci poi al ministro il compito di specificare nel dettaglio come questi criteri saranno osservati. Per esempio, il disegno di legge stabilisce che il consiglio d’amministrazione di ciascuna università sia composto di undici membri (contro i 30 attuali) e che quattro non provengano dall’università. Ma con quale criterio e con quale procedura debbano essere scelti questi quattro, lo stabilirà il ministro successivamente con un decreto delegato. Agli studenti questo sembra pericolosissima, ma in realtà è una formula che i governi hanno adoperato tante volte, anche per le leggi relative alla scuola. Quanto alla privatizzazione, di cui stavamo parlando prima, il disegno di legge prevede anche un nucleo di valutazione dell’attività dell’ateneo che sarà composto in maggioranza da membri esterni. Mi pare francamente il minimo: non giudicarsi da soli! Anche qui, però, stabilito il principio sarà il decreto delegato a stabilire il come.
• La legge le piace?
Tremonti, che ne ha ritardato l’approvazione di qualche giorno per i soliti problemi di soldi, l’ha definita «una grande riforma ». parte in causa, e quindi il suo giudizio va preso con le molle. Delle novità interessanti però ci sono: questa che abbiamo appena detto della valutazione fatta da esterni mi piace. C’è poi il tentativo di bloccare parentopoli, cioè l’abitudine dei baroni di distribuire cattedre a mogli, figli e amanti ( nella foto Eidon, una protesta di dottorandi ). La legge sancisce l’incompatibilità di parentela nello stesso ateneo, certo aggirabile scambiando i favori con un’altra università... Si incoraggiano le università troppo piccole a fondersi o magari a fondere facoltà o corsi di laurea in modo da risparmiare. Si riducono anche i membri del Senato accademico (non più di 35 contro i 50 di oggi) al quale si lasciano esclusivamente le responsabilità scientifiche. Il rettore, che sarà a capo sia del Senato che del cda, non potrà governare per più di otto anni e si farà in modo che i docenti lavorino effettivamente per le 1.500 ore stabilite, di cui almeno 350 dedicate all’insegnamento. Si parla anche qui di tornelli, cartellini e chissà che altro. Magari se ne occuperà Brunetta.
• I professori stanno zitti?
Per ora stanno zitti. La legge comincia adesso il suo iter parlamentare e ci vorranno almeno sei mesi. Gasparri ha dubbi sul sistema di governo. Certe formazioni studentesche sono già in trincea, più per abitudine che per altro. I professori aspettano e faranno lobby, come sempre. Oltre tutto parecchi sono seduti in Parlamento. E poi il vero momento chiave saranno i decreti delegati. Da varare tra un anno-un anno e mezzo. Badi che non si sa neanche se per quell’epoca ci sarà ancora questo governo.
• Lo stato dell’Università com’è?
I pochi soldi con cui si finanziano gli studi superiori se ne vanno tutti in stipendi. Nell’ultima classifica internazionale, quella stilata pochi giorni fa dal Times , c’è una sola università italiana tra le prime duecento, l’Alma Mater di Bologna. A queste graduatorie si può credere oppure no, ma certo non c’è nessuna classifica, tra quelle in circolazione, che mette il nostro sistema universitario in cima. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 29/10/2009]