La Gazzetta dello Sport, 31 ottobre 2009
Giovanni Cucchi, un geometra romano del quartiere Centocelle, e sua moglie Rita hanno diffuso l’altro giorno le foto del cadavere del loro figlio Stefano, di anni 31, morto nel reparto per detenuti dell’ospedale Sandro Pertini di Roma

Giovanni Cucchi, un geometra romano del quartiere Centocelle, e sua moglie Rita hanno diffuso l’altro giorno le foto del cadavere del loro figlio Stefano, di anni 31, morto nel reparto per detenuti dell’ospedale Sandro Pertini di Roma. Nelle foto il corpo di Stefano Cucchi appare variamente massacrato. Come sappiamo anche dai referti medici, risultano particolarmente evidenti profonde ecchimosi alla schiena in corrispondenza di tre vertebre fratturate (tra cui il coccige), la mandibola fatta a pezzi, un occhio schiacciato nell’orbita con vasti ematomi alle palpebre, segni di violenza di varia intensità diffusi in altre parti del corpo.
• Chi è stato?
Si sospetta, ma non si sa e dunque non si può dire. Ma vorrei cominciare il racconto di questo caso dalla fine. La sera di giovedì 22 ottobre Cucchi era in questo reparto carcerario dell’ospedale Pertini. Sarebbe morto di lì a poche ore. Deve aver sentito che gli mancava poco e ha chiesto una Bibbia. La Bibbia gli è stata rifiutata. Perché? Apparentemente è la domanda meno compromettente di tutta la vicenda. Ma credo che se l’agente carcerario – un agente carcerario in carne e ossa, con un nome e cognome – ci spiegasse perché ha negato una Bibbia a un uomo in punto di morte, capiremmo molte cose di questa storia.
• Reparto carcerario dell’ospedale significa che era come se fosse in carcere, ma stava in ospedale perché malato?
Sì. una storia che dura una settimana. Notte tra giovedì e venerdì 16 ottobre: Stefano Cucchi e un suo amico vanno in giro per il Parco degli Acquedotti, a Roma, a bordo di due macchine. Fanno gli spiritosi guidando le auto affiancate. I carabinieri li fermano e li portano alla stazione Casilina. Stefano è un epilettico, un tossico, già nei guai per aver forzato un posto di blocco qualche anno fa, adesso lavora da geometra con il padre. Ha addosso 20 grammi di hascisc «ben confezionato », due grammi di coca e quattro pasticche di ecstasy. Troppo. Lo chiudono nella cella della stazione e mandano via il suo amico.
• Lo picchiano a questo punto?
Non si sa. Le versioni possibili sono tre: i carabinieri lo hanno pestato quella notte; quella notte è caduto dalle scale e si è fatto male da solo, come ha riferito lui stesso a uno dei medici che lo hanno visitato; è stato picchiato dalle guardie carcerarie mentre si trovava nella cella del tribunale in attesa del processo per direttissima. Carabinieri e guardie carcerarie negano con forza. Che quel tipo di colpi sia stato provocato da un caduta mi pare però dura da digerire. vero che all’epoca del processo Pinelli abbiamo sentito incolpare di tutto un misterioso “malore attivo” e dunque vi sono casi in cui gli inquirenti e i giudicanti ammettono le versioni più inverosimili. Comunque, a questo processo per direttissima, celebrato a piazzale Clodio poche ore dopo, cioè a mezzogiorno di venerdì 16 ottobre, lo stesso giudice dottoressa Maria Inzitari vide che il giovane era malmesso, faccia gonfia, camminata claudicante. Dispose perciò una visita medica e rinviò l’udienza al 13 novembre. Ad assistere al dibattimento c’erano i genitori. E videro la faccia tumefatta del loro figlio. Quindi gli andarono dietro, per assisterlo sul piano giudiziario (Stefano aveva anche rifiutato l’avvocato di fiducia) e soprattutto su quello medico. Qui toccarono con mano l’odiosità di quella cosa che si chiama Stato italiano.
• Perché?
Non riuscirono a capire fino al lunedì dove il figlio era stato ricoverato. Lo avevano, infatti, portato prima al Fatebenefratelli e Stefano aveva chiesto di tornare in cella. Poi, era rimasto in cella appena un’ora, poiché stava male. Lo avevano perciò trasferito a questo reparto carcerario del Pertini. Qui finalmente lo trovarono i genitori, che chiesero subito di parlare con i medici. Gli fu risposto di no. Chiesero allora se ci fosse un modo per incontrare Stefano. E gli fu risposto che dovevano rivolgersi al tribunale. Passarono 24 ore. Martedì ottennero il permesso dal tribunale, ma, quando lo presentarono agli agenti, questi risposero che ci voleva la controfirma della direzione di Regina Coeli. Lei sa che nessuno spiega tutto insieme nella nostra burocrazia, no? Sarebbe troppo semplice. Ci volle così un altro giorno di attesa. E arriviamo a giovedì, quando il figlio era finalmente visibile con tutti i bolli messi al posto giusto, glielo presentarono in forma di cadavere. Pesava a quel punto 35 chili, dai 42 di una settimana prima.
• Ci sono inchieste in corso?
Parecchie, e quella della magistratura parla di omicidio preteritenzionale, almeno dieci anni di carcere. Il caso è talmente enorme che i partiti, una volta tanto, sono tutti d’accordo nel chiedere che si faccia luce. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 31/10/2009]