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 2009  novembre 07 Sabato calendario

Il tizio che con il mitra e un paio di pistole (sempre un maschio) ammazza tutti in un luogo affol­lato – un campus universitario, un ufficio, una sala d’aspetto’ è ormai un luogo comune della cronaca nera americana

Il tizio che con il mitra e un paio di pistole (sempre un maschio) ammazza tutti in un luogo affol­lato – un campus universitario, un ufficio, una sala d’aspetto’ è ormai un luogo comune della cronaca nera americana. Nelle ultime 48 ore, di massacri di que­sto tipo ce ne sono stati due. Uno a Orlando in Florida: nel Ga­teway Center, un palazzo d’uffi­ci di sedici piani che si trova al centro della città, un uomo di no­me Jason Rodriguez, 40 anni, ha aperto il fuoco contro i suoi vec­chi colleghi di lavoro. Ne ha am­mazzato almeno uno e ne ha feri­ti cinque, ma le notizie, mentre scriviamo, sono ancora fram­mentarie. Il presunto assassino è poi scappato a bordo di un Suv Nissan ed è stato arrestato dalle forze speciali nella casa della ma­dre dove si era rifugiato. L’altra sparatoria è avvenuta in Texas, nel Soldier Readiness Facility, il centro medico di Fort Hood. Fort Hood è una delle più grandi basi militari del mondo, 30 mila tra soldati e loro familiari, cen­tri commerciali, cinema, teatro, campo di softball. L’autore della strage – 13 morti, 31 feriti – si chiama Malik Nidal Hasan, 39 anni, nato in Virginia, ma figlio di un immigrato giordano, mu­sulmano convinto e per questo, specialmente dopo l’11 settem­bre, guardato con una certa diffi­denza. E tuttavia con un bel cur­riculum alle spalle: portava la di­visa da vent’anni ed era stato promosso da poco maggiore, s’era laureato in medicina e spe­cializzato in malattie mentali. Adesso sarebbe dovuto partire per l’Iraq e questa prospettiva lo sconvolgeva. Giovedì, dopo esse­re stato a fare spese in un centro commerciale (ci sono una venti­na di foto che lo ritraggono in jel­labah , il camice arabo, e sorri­dente mentre fa acquisti poche ore prima della strage), s’è pre­sentato al centro medico armato di una semi-automatica e di un altro paio di pistole. S’è messo a sparare in mezzo all’andirivieni di militari, medici, infermieri, assistenti e gente qualunque. Mentre faceva fuoco gridava «Al­lah Akbar», cioè «Allah è gran­de ». A bloccarlo, a quanto s’è ca­pito, è stata una poliziotta, Kim­berly Munley, che appena entra­ta nello stanzone ha capito cosa stava succedendo e chi era l’as­sassino e l’ha colpito quattro vol­te, restando a sua volta ferita molto gravemente. Malik, porta­to in ospedale, è ancora vivo.

E’ tutta follia o si può intravede­re un qualche movente?

Ci sono poche notizie, dunque andiamo a tentoni. La vicenda di Orlando – l’ex dipendente che va a sparare ai suoi ex colle­ghi – sembra collegata al dramma della disoccupazione americana, una condizione che riguarda 15 milioni e 300 mila persone. Del maggiore Malik sappiamo invece con certezza che non voleva andare in Iraq ed è certo che il movente del massacro è questo. Il terrori­smo non c’entra assolutamen­te. La follia, sì.

Ce ne sono molti, così? Che han­no paura, voglio dire? Mi pare­va che in Iraq, a parte tutto, il contesto si fosse fatto più sere­no.
Mica tanto. Il prossimo 16 gen­naio si vota e questo ha provoca­to una recrudescenza degli atti terroristici. Non si ricorda che pochi giorni fa a Baghdad, in Haifa Street, gli shahid hanno fatto saltare in aria l’hotel Pale­stine, provocando la morte di 160 persone?

Sa che cosa c’è? Nessun mas­sacro in Iraq fa più notizia. il risultato di quasi sette anni di orrori ai quali ormai abbiamo fatto l’abitudine.
Sì, ha ragione. Nel caso di Ma­lik c’era poi un altro fatto: ave­va lavorato sei anni, come psi­chiatra, al Walter Reed , l’ospe­dale militare più famoso d’Ame­rica. Qui arrivano i feriti della guerra in Iraq. Uno spettacolo orripilante, di cui nessuno si oc­cupa. Una tragedia nella trage­dia, i cui effetti si sconteranno nei prossimi quarant’anni.

Quanti sono questi feriti?
Ci sono sedici feriti per ogni morto. Poiché i morti sono a questo punto poco meno di 4500, i feriti si aggirano intorno ai settanta-ottantamila. un popolo di senza-braccia, di sen­za- gambe, di relitti umani che la guerra ha fatto diventar cie­chi, sordi, balbettanti, impoten­ti, folli. Chi lavora al Walter Re­ed vive in mezzo a questa uma­nità pressoché irrecuperabile. Linda Bilmes ha calcolato che nei prossimi quarant’anni gli Usa dovranno mettere sul piat­to della bilancia, tra assistenza medica e compensi di invalidi­tà per questi infelici, qualcosa come 350-700 miliardi di dolla­ri. Ma sa qual è il paradosso?

Quale?
Si tratta di uomini che in altri tempi sarebbero morti e che la tecnologia ha salvato. In Viet­nam, per ogni morto c’erano tre feriti. In Corea e nelle due guerre mondiali meno di due. Adesso il rapporto è di uno a se­dici! Questo inferno, di cui fa parte anche il maggiore Malik, ci è stato regalato dal progres­so. Mi domando, certe volte, se non sarebbe stato meglio, sem­plicemente, rimanere sul cam­po. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 7/11/2009]