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 2009  novembre 11 Mercoledì calendario

C’è un altro morto provocato dal dissesto del territorio, una ragazza di 15 anni che a Ischia, sul lungomare di Casamicciola, stava seduta in macchina vicino alla madre

C’è un altro morto provocato dal dissesto del territorio, una ragazza di 15 anni che a Ischia, sul lungomare di Casamicciola, stava seduta in macchina vicino alla madre. Una frana è venuta giù dal monte che sovrasta il por­to, ha travolto l’automobile, l’ha sbattuta in mare. Anna De Felice, la giovanetta che stava andando a scuola presso l’Istitu­to Alberghiero, è morta annega­ta. La madre Aurora, portata al reparto Medicina del Rizzoli – l’ospedale dell’isola – non è in pe­ricolo di vita. Ci sono poi altri venti feriti, due dei quali in con­dizioni gravi

Com’è andata?
Pioveva da molti giorni e il ter­reno di Ischia, imbevuto d’ac­qua, s’è fatto particolarmente instabile. Lo ha spiegato bene Franco Ortolani, geologo e di­rettore del dipartimento di pia­nificazione e scienza del territo­rio dell’università Federico II di Napoli. In quella zona i ver­santi collinari sono molto ripi­di e il suolo particolarmente spesso. Quando le precipitazio­ni sono forti, il suolo diventa ancora più instabile per le forti pendenze. E un distacco di po­chi metri cubi di fango può da­re inizio a una vera e propria valanga che scende velocissi­ma a decine di chilometri l’ora. Ogni metro cubo di questo fan­go può arrivare a pesare fino a 1.500 chilogrammi. Se pensia­mo che un tir vuoto pesa intor­no alle otto tonnellate, il calco­lo è presto fatto: bastano cin­que o sei metri cubi di questo fango per far precipitare a valle l’equivalente di un tir. Con qua­li conseguenze è facile immagi­nare.

Ma a Ischia non c’era stata un’altra disgrazia come questa un po’ di tempo fa?
Sì, la cosa che fa più rabbia è che Ischia è un altro di quei po­sti dove queste cose succedono spesso. Il 30 aprile del 2006, al­l’alba, una frana di fango preci­pitò su una casa del Monte Vez­zi, tra Barano e Forio. Dentro c’erano sei persone e ne venne­ro estratte vive solo due. Orto­lani dice che tutta l’area vesu­viana è a rischio e che non se ne esce se non si coinvolgono nel­la prevenzione le comunità lo­cali.

Cioè, i Comuni o le Provincie o le Regioni devono cominciare a spendere soldi per difendere il territorio.
Ortolani parla anche di una consapevolezza diffusa che mo­difichi i comportamenti della popolazione. Per esempio indu­cendo le famiglie a lasciar libe­re le aree pericolose, dove le ca­se e le altre opere di urbanizza­zione sono un moltiplicatore del pericolo. Ma sono discorsi che non passano, come aveva­mo già visto a Sarno undici an­ni fa e, quest’anno, all’Aquila e a Messina. Il capo della Prote­zione civile, Guido Bertolaso, anche stavolta se l’è presa con le amministrazioni locali. La frana «da un lato mi fa grande rabbia, dall’altro mi rattrista moltissimo, perché significa che tutto il lavoro che è stato fatto fino a oggi evidentemen­te non è stato sufficiente. Lo sa­pevamo - ha aggiunto - Se non si fa questo grande progetto di manutenzione del territorio e di messa in sicurezza di tutto il nostro ambiente continuere­mo a dover subire questo gene­re di situazioni. La prevenzio­ne è fondamentale. Fino a quando non faremo prevenzio­ne seria in campo antisismico e del rischio idrogeologico dovre­mo continuare a confrontarci con questo genere di tragedie. La Protezione civile può garan­tire un intervento immediato, ma ci vuole progettazione, vi­sione di lungo respiro in modo da cominciare a fare una serie di opere di prevenzione».

Quanto ci vorrebbe per mette­re tutto in sicurezza?
I comuni italiani a rischio idro­geologico sono 5.581 e la metà di questi non fa neanche la ma­nutenzione ordinaria dei corsi d’acqua. Per salvaguardare il territorio ci vorrebbe un inve­stimento di 43 miliardi.

Perché le amministrazioni loca­li non investono su questo?
Perché la difesa del territorio è invisibile e non porta voti. Cer­cando in archivio ho trovato questo pezzetto, che le cito in­tegralmente: «Il dissesto idro­geologico italiano ha fatto, in mezzo secolo, oltre tremila vit­time, ha devastato un Comune su due e ha provocato 150.000 miliardi di danni. La bolletta pagata dagli italiani per le tera­pie intensive del giorno dopo ammonta a oltre quattromila miliardi l’anno, pari a 200 mila miliardi dal dopoguerra, una decina di miliardi al giorno. Il ministro dei Lavori pubblici lo scorso anno rilevava una assai incompleta attuazione della fondamentale legge per la dife­sa del suolo, la n. 183 risalente al 1989. Ogni anno l’entità del danno idrogeologico ammonta a circa tremila miliardi, coin­volgendo nel periodo postbelli­co il 55% dei Comuni italiani, con una perdita di più di tremi­la vita umane». Adattando i prezzi dalle lire all’euro è un di­scorso che potremmo riprodur­re identico oggi. Si tratta infat­ti di un’analisi del 1998, un’epo­ca dalla quale è cambiato mol­to poco. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/11/2009]