La Gazzetta dello Sport, 14 novembre 2009
Tra un po’, negli Stati Uniti, cominceranno i processi agli attentatori dell’11 settembre…• Ma la mente dell’attentato di New York sarà ucciso?Ci sono gli organizzatori e quelli che si sono occupati della cosiddetta logistica

Tra un po’, negli Stati Uniti, cominceranno i processi agli attentatori dell’11 settembre…
• Ma la mente dell’attentato di New York sarà ucciso?
Ci sono gli organizzatori e quelli che si sono occupati della cosiddetta logistica. Alcuni terroristi sono saliti sugli aerei e sono andati a schiantarsi sugli obbiettivi previsti. Altri, che li avevano aiutati a preparare l’attentato o che lo avevano addirittura progettato, sono rimasti a terra. Il cervello dell’operazione è Khalid, o Khaled, Sheik Mohammed, che due anni fa, in un interrogatorio davanti a un tribunale militare di Guantanamo, ha raccontato di aver diretto a Kandahar la «casa dei martiri» dove erano ospitati i futuri attentatori dell’11/9. Seguì lui addestramento e preparazione. Khaled è uno che si dà molte arie, al momento di quell’interrogatorio s’è attribuito trenta complotti, a partire da quello al World Trade Center del 1993. Dice di aver organizzato lui i massacri dei turisti a Bali e a Mombasa e di aver progettato attentati contro Wojtyla, Carter, Clinton, il Big Ben, la Sears Tower di Chicago, il Canale di Panama. I dettagli non corrispondono sempre, ma il ruolo di regista dell’11 settembre parrebbe fuori discussione. I servizi americani pagarono per la sua cattura 27 milioni di dollari. Le ultime notizie lo dànno parecchio collaborativo: dopo un anno di prigione segreta da qualche parte e 183 waterboarding a Guantanamo ha accettato di istruire gli agenti dell’intelligence americana su come pensa e agisce al Qaeda. Durante le lezioni parlava inglese e ci teneva che gli studenti americani stessero attenti. Ha rimproverato un agente che non si ricordava i dettagli di una lezione precedente. Ha detto che il sistema del waterboarding è una stupidata controproducente.
• Di che si tratta?
E’ una tortura, detta anche “falso annegamento” o “asse della lavandaia”. Il prigioniero viene assicurato a una tavola inclinata, con i piedi in alto e la testa in basso, mani e piedi legati. Lo si interroga e intanto gli si versa dell’acqua sulla faccia. Altre fonti dicono che Khalid non resisteva più di due minuti e poi confessava subito qualcosa per farli smettere. Il waterboarding è uno degli orrori di Guantanamo, il campo di concentramento cubano dove gli americani tengono rinchiusi i presunti terroristi.
• Non doveva chiudere?
Barack Obama, al momento del suo insediamento, aveva promesso di smantellare la prigione entro un anno, cioè entro il prossimo 22 gennaio. Ieri invece il presidente ha fatto sapere cher ci vorrà più tempo e questo ha provocato le dimissioni del suo consigliere giuridico, Greg Craig.
• Perché non si riesce a chiudere?
A Guantanamo sono rimasti 215 prigionieri. Di questi, almeno 120, per lo più sauditi o yemeniti, sono jihadisti convinti. Il dilemma dell’amministrazione, relativamente a costoro, è il seguente: o li continuano a tener dentro per un tempo indefinito (e quindi Guantanamo non chiude) oppure li restituiscono ai paesi di provenienza, dove saranno subito liberati. E, una volta liberi, secondo gli americani ricominceranno subito la guerra santa. C’è poi un piccolo gruppo di detenuti che non pongono problemi di sicurezza e che gli americani vorrebbero mandare in Europa, con la difficoltà che gli europei non sono troppo sicuri di volerli accogliere. Infine, un’ottantina vanno processati e anche per questi ci sono un mucchio di polemiche. I repubblicani, per esempio, giudicano pericoloso per la sicurezza nazionale che il processo a Khalid e agli altri quattro si faccia a Manhattan, a due passi da Ground Zero.
• E dove avrebbero dovuto farlo, questo processo?
L’amministrazione aveva a disposizione tre soluzioni: mantenere i tribunali militari di Guantanamo oppure riassegnare tutti i casi ai tribunali civili o anche creare una struttura giuridica completamente nuova e dedicata ai casi di questi detenuti. Una scelta precisa non è stata fatta. Mentre Khalid e gli altri compariranno a New York davanti a un tribunale civile, il quintetto guidato da Nashiri che attentò alla Cole – un cacciatorpediniere che nel 2000 venne fatto saltare per aria nel porto di Aden da un barchino-bomba – dovrà rispondere a un tribunale militare. Il presidente delle corti per i crimini di guerra di Guantanamo Bay, infatti, non ha sentito ragioni e ha deciso il rinvio a giudizio prima che Obama decidesse la sospensione per 120 giorni di ogni decisione in materia. I tempi dei dibattimenti non si conoscono ancora, ma qualcosa sulle sentenze si sa già: Eric Holder, segretario alla Giustizia, s’è augurato ieri che i procuratori chiedano la pena di morte. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 14/11/2009]