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 2009  novembre 17 Martedì calendario

Mimmo Raccuglia ha passato la prima notte da de­tenuto nella camera di sicurezza della squadra mobile di Paler­mo, dov’era stato portato subito dopo la cattura a Calatafimi

Mimmo Raccuglia ha passato la prima notte da de­tenuto nella camera di sicurezza della squadra mobile di Paler­mo, dov’era stato portato subito dopo la cattura a Calatafimi. Fi­nirà certamente al 41 bis, il carce­re duro riservato ai super-boss: il ministro Alfano ha detto ieri che è pronto a firmare i relativi docu­menti. L’altra sera Raccuglia sta­va ancora con le manette ai pol­si, seduto davanti agli agenti, quando ha visto entrare il procu­ratore aggiunto Antonio Ingroia e i sostituti Roberta Buzzolani e Francesco Del Bene. S’è subito al­zato in piedi, ha fatto un rispetto­so cenno di saluto e poi ha mor­morato: «Non ho niente da dire» e «Avete visto in che condizioni vivevo?».

In che condizioni viveva?
Non così terribili, se paragona­te a quelle – per esempio – di Provenzano. Una palazzina monofamiliare di tre piani, di una coppia tutta ancora da de­cifrare (Benedetto Calamusa, di anni 44, e Antonia Soresi di 38, incensurati e adesso nei guai per favoreggiamento) che aveva ceduto al boss la ca­meretta del figlio di 12 anni. Raccuglia s’era portato in ca­mera un tapis roulant e uno sti­molatore per gli addominali, in modo da non perdere la for­ma. La latitanza alla fine è co­me una galera e “Il Veterina­rio” – come lo chiamano – era ricercato da tredici anni. Nella stanza del figlio c’erano anche tuta, calzettoni, borsa da gin­nastica e una decina di pac­chetti di sigarette. Niente li­bri, niente immagini sacre, niente abiti firmati a parte un paio di jeans marca Valentino, puliti e stirati. L’hanno indivi­duato perché ha acceso il tele­visore e da fuori, dove gli agen­ti della Catturandi erano appo­stati, s’è vista la luce azzurri­na. Tecnicamente, la casa do­veva essere vuota. Sono entra­ti dentro in cinquanta. Raccu­glia ha tentato di scappare dal­la terrazza, ma l’hanno blocca­to. Prima ha buttato fuori dal­la finestra un sacco pieno di pizzini, con 120 mila euro in banconote e armi di fabbrica­zione cinese, due pistole e un mitra. Niente di pittoresco, in definitiva. I pizzini sono allo studio degli esperti, che li defi­niscono “molto interessanti”.

La gente ha applaudito?
A Palermo. Perché la via Cabasi­no di Calatafimi, dove l’hanno preso (al numero 20), è piutto­sto ostile alla polizia e amica in­vece, a quanto pare, di questi de­linquenti. Speriamo che questi italiani stiano con i malavitosi per forza e non per amore, per­ché l’ambiente in cui la malavi­ta si muove è decisivo per la pro­tezione o la caduta dei grandi capi. Qualche traditore – e di pe­so – ci deve essere, perché i boss non cadono nella rete solo gra­zie alle indagini. Raccuglia s’è portato tutte le estati in vacan­za la moglie Maria Castellese e due volte l’ha pure messa incin­ta. I poliziotti non sono mai riu­sciti a capire in che mare andas­se a riposarsi.

Adesso che compiti aveva?
Secondo gli inquirenti, era un numero 2. Guardingo e spen­to. Faceva il vice di Matteo Messina Denaro, che è il nu­mero 1 della mafia nel trapane­se. Matteo Messina Denaro, 47 anni, latitante da quando ne aveva 31, mafioso classico, abiti firmati, femmine eccete­ra. L’altro grande boss ancora in circolazione, che sta a Paler­mo, è Gianni Nicchi, 28 anni appena, ma già con 15 anni in primo grado sul groppone, per associazione mafiosa. Gran sniffatore, lo chiamano “Tiramisu” (mentre il sopran­nome “Veterinario” a Raccu­glia dipende dal fatto che ama gli animali e sa spremere bene i negozianti come si fa con le tette delle mucche). Credo che Nicchi sia l’unico padrino nato nel Nord Italia, a Torino.

Questo Raccuglia che aveva fatto?
Durante la latitanza gli hanno da­to tre ergastoli, già passati in giu­dicato. Era tra i guardiani del pic­colo Giuseppe Di Matteo, il bam­bino tenuto più di due anni pri­gioniero, e per un periodo molto lungo in una buca, che poi Gio­vanni Brusca fece strangolare a Vincenzo Chiodo («Allibertati di lu cagnuleddu») e sciogliere nel­l’acido. Raccuglia ha poi ammaz­zato altra gente tra Altofonte, Piana degli Albanesi, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato. In­somma, i corleonesi di Riina. Sto­rie orrendamente squallide.

La mafia è colpita a morte?
Questo ultimo arresto è un gran colpo e fanno bene tutti quanti a congratularsi con i magistrati e la squadra Catturandi di Paler­mo. Però, se guardiamo al com­plesso dell’organizzazione crimi­nosa italiana e se scomponiamo i suoi 90 – o secondo altri 130 - mi­liardi di fatturato, vediamo che la parte di introiti spettante alla mafia rappresenta al massimo un 30 per cento di quella ricchez­za. Il resto se lo spartiscono ”ndrangheta e camorra (alla Sa­cra Corona Unita restano le bri­ciole). ’Ndrangheta e camorra hanno più profilo internaziona­le, come abbiamo verificato tra l’altro due anni fa in occasione dell’eccidio di Duisburg. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 17/11/2009]