La Gazzetta dello Sport, 18 novembre 2009
Oggi il governo mette la fiducia per far passare, prima che decada, il decreto legge sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali

Oggi il governo mette la fiducia per far passare, prima che decada, il decreto legge sulla liberalizzazione dei servizi pubblici locali. C’è un gran rumore per questo, e non solo perché si tratta dell’ennesimo decreto su materie non proprio urgenti e dell’ennesima fiducia che impedisce dibattito e miglioramenti, ma perché il tema è delicato: si tratta di privatizzare la gestione e la distribuzione dell’acqua, sottraendola ai Comuni e alle Regioni e affidandola a privati.
• Come mai una decisione come questa? Se c’è un bene che a prima vista si direbbe di tutti è l’acqua.
Attenzione: non viene privatizzata l’acqua, che resta un bene pubblico (per dir così: dell’umanità). Viene privatizzata la gestione dell’acqua, ossia la responsabilità di quel sistema che dalla sorgente fa arrivare l’acqua al nostro rubinetto.
• Perché questo? Non capisco.
Le faccio la storia per sommi capi. Ogni anno entrano nella nostra rete 7,8 miliardi di metri cubi d’acqua. Ne escono dai rubinetti, però, solo 5,4 miliardi. Il resto – ossia il 30,1% – va perso. La percentuale 30,1 è naturalmente una media. A Milano si perde solo il 10%, in Puglia – dove c’è l’acquedotto più grande d’Europa – più del 50%. Queste perdite equivalgono a un valore di due miliardi e mezzo l’anno. Chi deve riparare la rete idrica? Chi deve migliorare il servizio? In altri termini: chi deve fare gli investimenti? Cedendo la gestione della rete si obbligano i privati a tirar fuori i soldi.
• I privati però mica tirano fuori i soldi per beneficenza. Vogliono guadagnarci.
La legge prevede che in ogni caso le tariffe non potranno aumentare più del 5% l’anno. La regola è: i comuni o le società locali partecipate dal pubblico scendano fino al 40% o al 30 se sono quotate, e lascino tutto il resto ai privati. Quelli che sono favorevoli al nuovo sistema dicono: in questo modo finiranno anche le pratiche di sottogoverno che la gestione delle acque ha comportato, con sprechi, clientelismo e corruzioni di ogni genere. Il privato – dicono costoro – andrà diritto al punto, guadagnare sì, ma dare il servizio. E più acqua venderà, più guadagnerà, cioè proprio il desiderio del profitto lo spingerà a modernizzare la rete, a portare il cosiddetto oro blu ovunque e comunque a tenere in ordine il sistema. Il ragionamento degli oppositori è completamente diverso. Quali investimenti?, dicono. I privati, per guadagnare, tenderanno a tirar fuori la minor quantità di soldi possibile e a portare al massimo livello le tariffe. Tutto il resto è illusione. Il servizio sarà peggiore e i cittadini lo pagheranno di più. A riprova di queste argomentazioni si portano i casi di Arezzo e Latina, dove la gestione è già stata privatizzata e i prezzi sono i più alti d’Italia. Ci sono altri esempi, relativamente ai servizi che sfruttano le reti. In primis, quello delle Autostrade, dove i mancati investimenti hanno dato luogo a infiniti rimpalli di colpe. Ricordo anche che in Inghilterra, quando misero all’asta le licenze Umts, il matematico che aveva preparato la gara spiegò che era inutile partire da una base d’asta bassa nell’illusione che così, poi, i gestori sarebbero stati calmi con le tariffe. «I gestori » disse quel brav’uomo «applicheranno in ogni caso le tariffe più alte possibili. Tanto vale fargli pagar care le licenze». Questa cosa andrebbe ricordata più spesso: chi vende per il proprio profitto ti farà sempre pagare il massimo possibile.
• Quindi dobbiamo schierarci contro.
E però: in Danimarca, Svizzera e Olanda, dove il servizio è pubblico, l’acqua è più cara della media europea. Ed è vero che nel mondo occidentale, per esempio in Francia (anche se a Parigi ci stanno ripensando) la gestione del servizio idrico è appaltata per il 70% ai privati. Si sono così formati dei veri colossi del settore, quasi tutti a nucleo francese. Per esempio, Suez o Veolia (che gestisce Latina). In questo campo, poi, noi siamo una terra promessa, stanno arrivando anche gli americani e gli inglesi. Ci sarà però battaglia: per cedere la gestione dell’acqua, bisogna che il servizio sia giudicato «di rilevanza economica» e così lo definisce infatti la legge su cui oggi si voterà la fiducia. Ma spetta allo Stato stabilire quale bene pubblico ha rilevanza economica? In Puglia, per esempio, l’acquedotto è pubblico quasi al cento per cento e Nichi Vendola non vuole l’ingresso dei privati. La sua giunta ha perciò deliberato di trasformare l’Acquedotto da spa ad azienda di diritto pubblico e ha deciso di approvare una legge regionale in cui l’acqua verrà dichiarata bene comune senza rilevanza economica.
• Mi pare una resistenza strana. In questi casi non vince lo Stato?
Non è detto. Parecchi consigli comunali hanno approvato statuti in cui l’acqua viene definita «senza rilevanza economica». Ci sarà battaglia. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 18/11/2009]