La Gazzetta dello Sport, 2 dicembre 2009
L’Istat ha confermato ieri i dati che il Cnel aveva diffuso una quindicina di giorni fa e cioè: gli inattivi in Italia sono più di due milioni, la percentuale di giovani in cerca di lavoro è del 26,9%

L’Istat ha confermato ieri i dati che il Cnel aveva diffuso una quindicina di giorni fa e cioè: gli inattivi in Italia sono più di due milioni, la percentuale di giovani in cerca di lavoro è del 26,9%...
• «Inattivi», «in cerca di lavoro »... Perché non dire francamente «disoccupati»?
E’ un concetto non del tutto sufficiente. I sociologi e gli economisti dividono i senza lavoro in tante categorie, tra queste c’è per esempio quella degli «scoraggiati », gente più inattiva che disoccupata, gente cioè che ha addirittura perso la speranza di trovare lavoro, che non lo cerca nemmeno più. Altre volte s’è usato il termine «né né» riferito a certi giovani e cioè a ragazzi anche 30-35 anni, che non vogliono né lavorare né studiare. Vale a dire: stanno benissimo così. Questo spiega perché due milioni di disoccupati danno luogo, nonostante tutto, a una contestazione a basso voltaggio, specialmente quando si tratta di giovani. Sappiamo già che c’è la famiglia a proteggere da queste disoccupazioni, inoccupazioni, depressioni, pigrizie. la famiglia che regge il colpo, a costi che qualche economista giudica eccessivi. Il 45% delle coppie sposate di età inferiore ai 65 anni vive a un chilometro di distanza dalla casa dei genitori. Una famiglia italiana su dieci racconta di essere stata aiutata almeno una volta da papà e mammà (in Spagna una su venti, in Gran Bretagna una su cento). Alberto Alesina e Andrea Ichino ( L’Italia fatta in casa , Mondadori) sostengono che il peso del nostro welfare – un quarto del Pil – dipende da questa struttura sociale familistica, che frena oltre tutto intraprendenza, avventure, traslochi, rischi. Quindi, due milioni di disoccupati e, di questi, 560 mila con meno di 40 anni e piuttosto rassegnati. I lanci Istat della agenzie di ieri non lo dicono, ma stanno crollando i contratti a termine, quelli cioè che si sperava servissero d’ingresso ai giovani. Nel secondo trimestre di quest’anno ne sono stati cancellati 191 mila.
• Soluzioni?
Non le conosce nessuno. Il ministro Scajola ieri ha fatto osservare che i dati degli altri Paesi sono molto peggiori dei nostri: il tasso di disoccupazione dell’Eurozona è al 9,8%, quello della Ue al 9,3, noi siamo al 7,8. Stiamo effettivamente peggio solo nella fascia dei 15-34enni, dove il nostro tasso di non-occupazione è al 26,9% contro il 20,6% dell’Eurozona. Queste astrazioni percentuali le interessano sul serio? Ieri è stato affrontato il caso concreto di Termini Imerese.
• La Fiat?
Sì. Nei giorni scorsi Scajola aveva detto che è follia chiudere Termini. Marchionne aveva risposto, forse un po’ troppo bruscamente, che il ministro dovrebbe imparare a leggere i dati. Ieri i due si sono incontrati. Il risultato è questo: Marchionne ha detto che di auto, a Termini, non se ne produrranno più. Si fabbricherà invece qualcos’altro. Ma che cosa? Il grande manager ha risposto: «Non lo so ancora». Scajola s’è dichiarato soddisfatto. Il turno pomeridiano di Termini, invece, ha scioperato e i sindacati hanno mugugnato. Non erano ancora stati diffusi i dati sulle vendite di automobili, un vero boom a novembre: +31,25% sull’anno scorso e +27,74% per la Fiat. In altri tempi sarebbe bastato questo per spingere i segretari confederali a battere i pugni sul tavolo.
• Invece?
Fare una macchina a Termini Imerese costa mille euro di più che farla in qualunque altro posto. Cgil, Cisl e Uil lo sanno. La Regione, generosa all’inizio dell’impresa (1970), non ha poi investito nel cosiddetto indotto, quel tessuto produttivo di piccole imprese che vivono della grande fabbrica fornendo componenti o magari assistenza. Nel bel golfo tra Palermo e Cefalù non c’è, metalmeccanicamente parlando, praticamente niente. Le fabbriche dell’indotto hanno scioperato ieri col turno del pomeriggio e s’è visto che sono appena tre: la Lear, la Bienne Sud e la Clertem. Settecento persone che si aggiungono ai 1400 della fabbrica propriamente detta.
• Se la Regione Sicilia tirasse fuori i soldi? Se lo Stato rinnovasse gli incentivi alla rottamazione?
Sì, certo. La Regione Sicilia ha messo sul tavolo 400 milioni e lo Stato potrebbe incoraggiare il Lingotto con gli incentivi. Due problemi: gli altri imprenditori italiani – e con loro la Lega – detestano la Fiat proprio perché la considerano ultraprivilegiata, perennemente soccorsa dai governi (anche se con Marchionne assai meno d’un tempo). Secondo problema: Roberto Mastrosimone, della Fiom-Cgil, ieri ha dichiarato che «la vertenza di Termini Imerese non può essere caricata solo sulle spalle dei lavoratori ma anche della società civile». Una frase come minimo arrischiata. La società civile non è più quella d’un tempo. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 2/12/2009]