Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 05 Sabato calendario

Ieri nell’aula prima del Tribunale di Torino, il pentito Gaspare Spatuzza ha parlato, sostanzialmente ripetendo quanto era contenuto nei verbali degli ultimi interrogatori già pubblicati dai giornali

Ieri nell’aula prima del Tribunale di Torino, il pentito Gaspare Spatuzza ha parlato, sostanzialmente ripetendo quanto era contenuto nei verbali degli ultimi interrogatori già pubblicati dai giornali. E’ entrato in aula intorno a mezzogiorno e ha deposto protetto da due paraventi. Ieri sera era già finito tutto: il processo d’appello contro Dell’Utri, che in primo grado è già stato condannato a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa, riprenderà la settimana prossima a Palermo.

Vogliamo raccontare, per filo e per segno, questa deposizione tanto attesa? 


Certo, compatibilmente con lo spazio disponibile. Spatuzza ha cominciato ammettendo «di aver fatto parte dagli anni Ottanta al Duemila di un’associazione terroristico-mafiosa denominata Cosa Nostra».




Come sarebbe “terroristica”? 


Lo ha spiegato subito lui stesso: «Dico terroristica per quello che mi consta personalmente, perché dopo gli attentati di via D’Amelio e Capaci, ci siamo spinti oltre, come l’attentato al dottor Costanzo (Maurizio, ndr ) e quello a Firenze dove morì la piccola Nadia». Come dirà poco dopo, questa nuova forma terroristica della mafia lo angosciava, perché i morti provocati col sistema di metter bombe non li sentiva come «nostri». Ma vediamo in dettaglio: alla vigilia degli attentati del 1993 (a Roma nella Chiesa di San Giovanni in Laterano e al Verano; a Milano ai giardini di via Palestro) Spatuzza fu incaricato di fare il postino, cioè di spedire cinque lettere, alcune delle quali indirizzate ai giornali. «Queste lettere provenivano dal boss Giuseppe Graviano. Il fatto che prima di fare un attentato mi dicessero di informare qualcuno con delle lettere è un’anomalia che mi ha fatto capire che c’era qualcosa sul versante politico». Alla fine del 1993, a Campo Felice di Roccella, Graviano ordina a Spatuzza di compiere un’azione «in cui moriranno un bel po’ di carabinieri ». Si trattava dell’attentato allo Stadio Olimpico in occasione di Roma-Udinese (23 gennaio 1994). Spatuzza: «Utilizzammo una tecnica che nemmeno i talebani hanno mai usato. Mettemmo del tondino di ferro per rendere più devastante l’effetto della deflagrazione». Ma l’attentato fallì perché l’ordigno non funzionò: «Io e Benigno (un picciotto di mafia, ndr ) ci spostammo a Monte Mario. Benigno diede l’impulso al telecomando, ma grazie a Dio l’esplosione non avvenne».




Che senso avevano queste stragi?
Se lo chiese anche Spatuzza. «Dissi a Graviano che ci stavamo portando un po’ di morti che non ci appartenevano, ma lui mi disse che era bene che ci portassimo dietro questi morti, così “chi si deve muovere si dà una mossa”».

Questo qualcuno erano Berlusconi e Dell’Utri?
Spatuzza incontrò Graviano (è sempre il suo racconto di ieri) al bar Doney in via Veneto a Roma. Il boss «aveva un atteggiamento gioioso. Ci siamo seduti e disse che avevamo chiuso tutto e ottenuto quello che cercavamo grazie alla serietà delle persone che avevano portato avanti quella storia e non come quei quattro crasti socialisti che avevano preso i voti nel 1988 e 1989 e poi ci avevano fatto la guerra. Mi vennero fatti due nomi tra cui quello di Berlusconi. Io chiesi se era quello di Canale 5 e mi disse: sì. C’era pure un altro nostro paesano. Graviano disse che grazie alla serietà di queste persone ci avevano messo il Paese nelle mani». Successivamente Spatuzza si trovò nel carcere di Tolmezzo con Filippo Graviano, il fratello del boss Giuseppe: «Nel 2004 lui stava malissimo, io gli parlavo dei nostri figli, di non fargli fare la nostra fine... ho avuto la sensazione che stava crollando. Mi disse di far sapere a suo fratello Giuseppe che se non arrivava qualcosa da dove doveva arrivare, allora bisognava parlare ai magistrati». Il pm ha chiesto spiegazioni sulla frase «da dove doveva arrivare» e qui Spatuzza ha nuovamente nominato Berlusconi e Dell’Utri. «I timori di parlare del presidente del Consiglio erano e sono tanti».

Che cosa dobbiamo dedurre da questa testimonianza? 


Siamo alle cose che ci siamo detti ieri. Senza riscontri, sono chiacchiere. E finora sono chiacchiere. Berlusconi e Dell’Utri hanno fortissimamente criticato la testimonianza e il battage che le è stato costruito attorno. Ma la presa di posizione più significativa è di Castelli, che fu ministro della Giustizia durante la legislatura 2001-2006 (secondo e terzo governo Berlusconi): «Sulla partita di Spatuzza la magistratura si gioca la propria credibilità. Se ci fossero riscontri oggettivi, è chiaro che si aprirebbe un fronte preoccupante per il governo. Ma se questi riscontri oggettivi non ci fossero, allora si aprirebbe uno scenario sul modo di agire di alcune parti della magistratura che sarebbe ancora più preoccupante». [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 5/12/2009]