La Gazzetta dello Sport, 6 maggio 2010
Ieri, 5 maggio 2010, cioè 150 anni dalla partenza dei Mille, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è andato a Genova e parlando a bordo della portaerei Garibaldi ha rievocato il Grande Evento

Ieri, 5 maggio 2010, cioè 150 anni dalla partenza dei Mille, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è andato a Genova e parlando a bordo della portaerei Garibaldi ha rievocato il Grande Evento. Il passaggio-chiave del discorso è questo: «Tutte le iniziative comprese nel sobrio programma per celebrare il 150° dell’Unità d’Italia non sono tempo perso e denaro sprecato, ma fanno tutt’uno con l’impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti dinanzi a noi. Questo impegno si nutre di un più forte senso dell’Italia e dell’essere italiani, di un rinnovato senso della missione per il futuro della nazione. Deve guidarci più che mai, anche in queste celebrazioni, un forte spirito unitario. Esse non possono essere rivolte in polemica con nessuna parte politica, né formare oggetto di polemica pregiudiziale da parte di nessuna parte politica. C’è spazio per tutti i punti di vista e per tutti i contributi. Onoriamo così i patrioti eccetera eccetera».
• Ce l’ha con la Lega?
Anche con i movimenti neoborbonici, secondo i quali al tempo del povero Franceschiello il Sud stava meglio. Secondo una storica che si chiama Angela Pellicciari – e che Berlusconi ha consigliato di prendere come riferimento – l’Unità d’Italia fu un prodotto della massoneria inglese, che intendeva distruggere il Papa. Lei però mi ha interrotto troppo presto. Bisogna infatti dare un’altra notizia: il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi ha annunciato che sarà Giuliano Amato a prendere il posto di Ciampi alla testa del Comitato dei garanti per le celebrazioni dei 150 anni e ha aggiunto che «il governo ha intenzione di proclamare il 17 marzo 2011 festa nazionale per celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia». Secondo quanto riferiscono le agenzie, in questo suo discorso, pronunciato presso il monumento che ricorda l’impresa dei Mille a Quarto (lo scoglio da cui salparono effettivamente le navi “Piemonte” e “Lombardo”), Bondi avrebbe detto che in quel 17 marzo 1861 venne inaugurato il primo Parlamento italiano, Vittorio Emanuele II assunse il titolo di re d’Italia e dichiarò l’unità della nazione. Siamo in un guaio.
• Perché?
La prima riunione del Parlamento italiano fu il 18 febbraio e non il 17 marzo. Vittorio Emanuele II arrivò in Parlamento alle 11 del mattino e pronunciò davanti ai deputati e alla folla acclamante un discorso che cominciava così: «Libera ed unita quasi tutta per mirabile aiuto della Provvidenza, per la concorde volontà dei popoli, e per lo splendido valore degli Eserciti, l’Italia confida nella virtù e nella sapienza vostra. Nello attribuire le maggiori libertà amministrative a popoli che ebbero consuetudini ed ordini diversi veglierete perché l’unità politica, sospiro di tanti secoli, non possa mai essere menomata…».
• Ma allora la data del 17 marzo è sbagliata?
No. Quel giorno venne promulgata la legge sul re (un solo articolo: «Il re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di re d’Italia») e attraverso quella legge si comunicò ufficialmente al mondo che esisteva un Paese chiamato Italia. Inghilterra, Svizzera e Stati Uniti ci riconobbero subito, Napoleone III, invece, aspettò che morisse Cavour. Nel discorso del re, con quel richiamo all’«unità politica» che non deve essere «menomata», e ai «popoli che ebbero consuetudini ed ordini diversi» c’è tutto il terrore dei nostri padri: che il Paese, appena messo insieme, andasse subito in pezzi. Un terrore che guidò molte scelte sciagurate per almeno mezzo secolo. Non del tutto infondato, però. Il Paese rischia di andare in pezzi ancora adesso.
• La Lega?
La Lega alla fine, con tutti i suoi mugugni, potrebbe essere il collante che riesce a tenere insieme tutto. Se pensiamo ai tempi della minacciata secessione, le frasi che hanno pronunciato Calderoli e Bossi adesso sembrano molto moderate. Ieri Bossi ha detto: «Come lombardo ci vado piano. I lombardi volevano la loro libertà, ma non pensavano all’Unità d’Italia, si trovarono nei pasticci per i Savoia». Ricostruzione fantasiosa: quelli che non volevano i Savoia – quasi tutti mazziniani – erano un’ottantina e si lasciarono sbarcare a Talamone. Ma non importa. I leghisti dicono che all’unità d’Italia crederanno quando il Paese avrà struttura federale? Perché no?
• E la loro assenza dalle celebrazioni?
Ma guardi che qui ha ragione Calderoli: le celebrazioni, per quanto doverose, sono un’orgia di retorica, una rottura di scatole. Se lo faccia dire da uno che era liceale quando si celebrò il centenario. Alla fine, il flop dei vari comitati e la finta faccia feroce della Lega hanno ottenuto un risultato non da poco: del Risorgimento si parla parecchio. E gli anni per ora sono ancora 149. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 6/5/2010]